Fratelli di Rai: la destra vuole cambiare la narrazione del Paese attraverso la tv pubblica
Ed è già partita la fatwa contro Report e Ranucci
Una novità, positiva, associata al nome della Rai, c’è: la composizione tutta al femminile dei vertici della commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, meglio nota come Vigilanza Rai. Almeno sulla parità di genere c’è un passo in avanti.
La presidente è Barbara Floridia, senatrice del Movimento 5 Stelle, che per accettare l’incarico ha dovuto dimettersi da capogruppo al Senato: sarà affiancata da due vicepresidenti donna. Insomma, tutto bene a Palazzo San Macuto, dove ha sede l’organismo? Non proprio.
Il primo elemento che balza agli occhi, oltre al trio di donne al comando, è infatti la lentezza con cui si è formata la commissione: ci sono voluti cinque mesi. Un’attesa tanto lunga non si vedeva dal famoso caso-Villari del 2008, che era però diverso trattandosi di un esponente dell’opposizione eletto con i voti della maggioranza, nonostante la contrarietà dell’opposizione stessa.
In questa legislatura, in un gioco di veti incrociati, il centrodestra ha rallentato le nomine, nell’attesa di definire gli equilibri tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: bisognava provvedere alla distribuzione delle presidenze delle altre commissioni. Gli effetti si sono avvertiti sull’azienda di viale Mazzini, visto che la Vigilanza Rai è chiamata a esprimersi, per legge, sul piano industriale che di conseguenza ha subito dei rallentamenti.
«L’impressione è che abbiano tirato a lungo per mettere mano ai vertici Rai», dice a Tpi Vinicio Peluffo, deputato del Pd e componente della commissione, che evidenzia un ulteriore elemento: «Dalle polemiche sul Festival di Sanremo in poi c’è stato un approccio molto aggressivo della maggioranza, in cui è stato preso a pretesto qualsiasi episodio per scatenarsi contro i conduttori».
La partenza a rilento dell’organismo non è il solo nodo. La composizione dell’ufficio di presidenza della Vigilanza Rai, per quanto al femminile, non è l’indicatore di un Parlamento attento al recupero di un servizio pubblico a disposizione del cittadino. Le due vicepresidenti sono Augusta Montaruli di Fratelli d’Italia e Maria Elena Boschi di Italia viva, in quota Terzo polo.
La deputata di Fdi è stata così parzialmente ricompensata dopo le dimissioni rassegnate da sottosegretaria all’Università in seguito alla condanna per peculato nell’ambito del processo sull’impiego dei fondi, dal 2010 al 2014, destinati ai gruppi consiliari della Regione Piemonte. Certo, la poltrona garantita a Montaruli non ha lo stesso valore, ma la decisione del suo partito è una chiara indicazione: Meloni non l’ha mollata dopo la sentenza in via definitiva. Insomma si parla di una fedelissima della premier.
Così come Boschi non incarna una ventata di novità: negli anni scorsi, quando occupava posizioni di primo piano, ha dimostrato di avere la querela facile. Ne sanno qualcosa Marco Travaglio e Ferruccio De Bortoli, anche se all’ex direttore del Corriere della Sera, non è mai arrivata. Era solo stata annunciata.
Di sicuro il fondatore e leader di Italia viva, Matteo Renzi, novello direttore del quotidiano Il Riformista, edito da Alfredo Romeo coimputato con il padre dell’ex premier Tiziano Renzi per traffico illecito di influenze nel caso Consip, è noto per impegnare molto i propri legali sul fronte delle querele.
Uno dei casi più clamorosi è stata la decisione di puntare a portare in tribunale la professoressa che ha registrato il video in autogrill, in cui si vede l’ex presidente del Consiglio che parla con Marco Mancini, uno dei profili più importanti nel panorama dei servizi segreti italiani. Chissà se ora nelle nuove vesti di direttore, seppure a tempo, di un giornale cambierà approccio. Floridia, da presidente della Vigilanza Rai, avrà un bel daffare.
Il primo segnale del nuovo-vecchio corso è arrivato all’alba della prima seduta dell’organismo di controllo. Il deputato di Noi Moderati, Maurizio Lupi, ha già indicato il primo obiettivo: la trasmissione Report di Sigfrido Ranucci.
«Report, troppo spesso, nonostante una redazione piena di bravissimi giornalisti d’inchiesta, non fa informazione e servizio pubblico, ma killeraggio politico e giornalistico», ha dichiarato Lupi, che non ha gradito il servizio su Federico Vespa, figlio del noto giornalista Rai Bruno Vespa, e di presunti legami con mondi estremisti.
Per il parlamentare centrista «è gravissimo utilizzare una vecchia inchiesta, peraltro conclusasi con proscioglimento e archiviazione, per raccontare collusioni inesistenti». Insomma, si riparte dalla solita passione di pressare Ranucci.
Una battaglia che già non piace al segretario dell’Usigrai, Daniele Macheda: «Il contratto di servizio prevede la promozione del giornalismo d’inchiesta», spiega a Tpi. Invece, annota il leader del sindacato, «la prima uscita di Lupi è stata quella di richiedere la convocazione di Ranucci.
Ma l’auspicio è che la Vigilanza Rai, da poco insediata, non agisca per mettere il bavaglio». Da qui il rilancio del suo impegno: «L’informazione deve essere al servizio dei cittadini, libera dal condizionamento della politica, indipendentemente da chi sia al potere».
Intanto una parte del centrosinistra annuncia le barricate: «Chi vuole mettere le mani su Report troverà la nostra opposizione e si dovrà rendere conto che il pluralismo pilastro della democrazia, non può essere imbavagliato», commenta Angelo Bonelli, altro componente della commissione in quota Alleanza verdi-sinistra.
Un auspicio che tuttavia sembra ben distante dalla realtà. La governance non consente la costruzione di un consiglio di amministrazione super partes, perché ogni partito deve esprimere qualche esponente di area. L’Usigrai, in tal senso, ha chiesto una riforma sostanziale e ha denunciato come nell’ultimo caso, quando si è insediato l’attuale ad Carlo Fuortes, ci fosse stata una forzatura: l’esclusione di Fratelli d’Italia, allora all’opposizione, negli organismi di vertice dell’azienda.
E Macheda chiede chiarimenti in caso di sostituzione alla catena di comando: «I cambi ai vertici? Va bene, ma ci dicano il perché. C’è una esigenza industriale? Qualcosa non funziona? Bene, si può fare tutto, ma bisogna dare una motivazione alle sostituzione, assumersi la responsabilità delle scelte affinché non ci sia solo una ragione politica».
Eppure l’informazione in Rai ha già cambiato passo. Gli ultimi dell’Agcom, risalenti al mese di febbraio, confermano uno strapotere del centrodestra, in primis della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e dei partiti di maggioranza.
Solo la premier, nelle edizioni del Tg1 di febbraio, ha avuto spazi di parola pari del 18,4 per cento. E, al netto degli esponenti del governo, Fratelli d’Italia ha parlato in video per oltre l’8 per cento.
Per capire il quadro, pur mettendo insieme tutte le opposizioni parlamentari, lo spazio garantito è stato inferiore al 20 per cento per il telegiornale diretto da Monica Maggioni. Maggiore visibilità al governo è stata addirittura data dal Tg2. Un numero su tutti aiuta a capire: il tempo di parola concesso alla premier ha superato il 21 per cento, mentre al governo è stato garantita una voce per il 20,5 per cento del tempo.
«A preoccupare – aggiunge Peluffo – non sono solo gli squilibri nei tg. Emergono altri temi, penso a quello del canone, che in questa maggioranza vogliono eliminare. Allora chiedo come si pensa di garantire quelle risorse all’azienda»? Il vero obiettivo è in fondo quello dichiarato dal sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, all’indomani del Festival di Sanremo: cambiare la narrazione del Paese. Ovviamente spostata tutta a destra con parole d’ordine identitarie.