La contorta legge per la raccolta firme alle Europee non fa altro che alimentare l’astensionismo e la sfiducia nei cittadini
Uno dei temi che assilla la vita politica di questo Paese da ormai innumerevoli anni a questa parte è il costante calo di fiducia nei partiti e in generale una sorta di diffidenza verso i rappresentanti eletti, sfiducia che si palesa in maniera puntuale nei grandi appuntamenti elettorali. Alle ultime europee del 2019 è andata a votare poco più della metà degli aventi diritto, un campanello d’allarme che, di elezione in elezione, sentiamo risuonare con una certa enfasi solo nelle 24 ore che seguono il voto, poi sparisce, dissolto nelle centinaia di dichiarazioni dei sondaggisti, degli opinionisti, dei politologi. Un consesso mediatico che spesso, più che far riflettere su questo dato preoccupante che prefigura una diminuzione della vita democratica del Paese, tende ad annacquarlo con il gossip politico sul perdente e di questo o quel partito, riducendo tutto a una narrazione più simile e più adatta alle colonne della Gazzetta dello sport che a un serio dibattito sulla rappresentanza in Italia.
Partecipare alle elezioni europee in questo paese non è affatto semplice, o meglio, può essere estremamente semplice per chi ha delle rendite di posizione da spendere ma sicuramente è estremamente difficile per i normali cittadini. Un parlamentare eletto nelle file del partito che nel corso della legislatura si sia dissociato da questo e abbia creato un minuscolo gruppo in Parlamento, può per esempio creare il suo movimento o aderire a movimenti che hanno bisogno di un espediente tecnico per poter partecipare alle elezioni. Per vedere la propria lista nelle urne europee serve raccogliere 150.000 firme, o in alternativa basta trovare un membro eletto in Parlamento, per bypassare questa enorme incombenza.
A dir la verità, fino a pochi mesi fa per non raccogliere le firme, bastava esprimere all’interno nelle file della lista che aspira a candidarsi, un esplicito riferimento a uno dei gruppi presenti nel Parlamento europeo ma, qualche mese prima delle elezioni in un delicato semestre in cui l’Unione Europea raccomanda di non legiferare in materia, il governo ha deciso di abrogare questa possibilità con un decreto ad hoc. Una delle liste fortemente penalizzate da questo decreto, è stata la lista “Pace terra dignità” proposta da Michele Santoro e Raniero Lavalle. L’iniziativa di Santoro, assimilabile a un grande movimento d’opinione più che un partito, conta nel suo movimento l’adesione di Rifondazione Comunista, ovvero un partito fondatore della Sinistra Europea che pertanto avrebbe potuto evitare la raccolta delle firme ma, in difetto del decreto di Fratelli d’Italia, è stato costretto in questa difficile incombenza. Contestualmente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella cui evidentemente non è sfuggito l’obiettivo anti-democratico del decreto, è intervenuto per dimezzare la richiesta minima di firme da 150.000 a 75.000.
E così, a un mese dalle elezioni europee l’unica lista in grado di raccogliere le 75.000 firme previste, dopo la “legge tranello” promossa da Fratelli d’Italia e non osteggiata dalle opposizioni, è stata proprio la lista di Santoro Pace terra dignità. A dir la verità i volontari della lista ne hanno raccolte più di 100.000, ma questo incredibilmente non è bastato a vedere ammessa alle prossime elezioni l’unica lista legittimata dall’esplicito sostegno popolare.
Infatti, la legge che disciplina la raccolta firme per le europee appare totalmente scollegata da qualsiasi parametro che rappresenti la realtà demografica del paese. Bisogna infatti sottolineare che le 75.000 firme previste al raggiungimento del quorum, sono suddivise nel numero minimo di 15.000 per ognuna delle cinque circoscrizioni che compongono il collegio elettorale del nostro paese, ovvero Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole.
Tale ripartizione non tiene affatto conto della densità demografica delle varie circoscrizioni, il Nord ovest con Regioni come la Lombardia, supera abbondantemente i 16 milioni di abitanti, mentre le Isole comprendendo solo Sicilia e Sardegna non arrivano ai 6,5 milioni di abitanti, un dato molto minore della metà. È evidente che la possibilità nel raggiungimento del quorum tra Sicilia e Sardegna è enormemente più difficoltosa rispetto alla raccolta nel resto del paese. Ma le sorprese non finiscono qui: la legge disciplina anche le firme minime per ogni regione, che devono raggiungere il numero di 1500 cadauna. Allo stesso modo, lo svantaggio in termini demografici delle isole, si riflette in uno squilibrio ancora più evidente per quel che riguarda regioni come la Valle d’Aosta, che con una popolazione di circa 130000 abitanti, deve raccogliere un minimo di firme pari a quello della Lombardia che di abitanti ne ha 10 milioni, pena l’esclusione dell’intero nord ovest, ovvero del 30% circa dell’elettorato italiano.
Basta guardare a questi numeri per capire come la razionalità che sostiene i principi di questa legge, sia totalmente iniqua rispetto alla facoltà dei cittadini di vedere riconosciuto il proprio diritto alla partecipazione della vita democratica del paese. Facoltà che varia di molto a seconda della regione in cui risiede. Questo tema poteva essere affrontato molti mesi, o anni, prima dai partiti che attualmente risiedono in Parlamento, ma tale priorità evidentemente non è contemplata come tale dagli attuali rappresentanti. Viene il dubbio, se non la velata certezza, che tutto ciò oggi non venga superato, per favorire una sorta di “esclusivismo” della classe politica che, tesa alla conservazione, rifugge qualsiasi incentivo al pluralismo politico e rimane sorda sulla necessità del Paese di riconquistare ampie fasce di un elettorato affetto da un’astensionismo progressivo e inesorabile.
Inoltre va aggiunto che, dopo le innovazioni tecniche nella Pubblica Amministrazione implementate dalla gestione del processo pandemico, l’attuale modalità di raccolta firme ha qualcosa di lunare e obsoleto. Se pensiamo infatti che, nel periodo della pandemia l’identità digitale (SPID) è stata usata per qualsiasi servizio e/o commessa che i cittadini avessero dovuto svolgere con la pubblica amministrazione, che l’ingresso al lavoro e nei locali pubblici era legato a un QR code, sembra quasi una barzelletta, dal sapore però drammatico, che per raccogliere le firme utili alla presentazione di una lista elettorale, si debbano ancora fare infiniti passaggi. Infatti la raccolta delle firme presume la presenza in loco degli autenticatori, persone non sempre reperibili, in quanto per autenticare una firma bisogna essere pubblici ufficiali, avvocati o notai. Una volta autenticate le firme vanno spedite ai Comuni che a loro volta devono attribuire dei certificati per ognuno dei singoli firmatari, e, se la spedizione ai comuni viene fatta in via digitale – PEC -, è richiesta una seconda autenticazione su ogni singolo certificato. Una procedura quasi infernale che potrebbe essere facilmente superata con il semplice utilizzo della Spid, e che favorirebbe di molto la partecipazione alla vita democratica di tanti e tante cittadini e cittadine.
Ma non fiorisce qui. Il tema vero non sta solo nella critica verso una legge molto migliorabile e nello sprono ad alcune decisioni che potrebbero incentivare di molto la democrazia nel Paese, il punto che risulta veramente incredibile in un paese come l’Italia, sta nel fatto che, la lista proposta da Michele Santoro rischia di essere esclusa dalla circoscrizione più popolosa d’Italia (il Nord Ovest) per un problema di forma sul piano giuridico, che però assurge come una inezia sul piano della logica e del buon senso. Nonostante i vincoli di cui sopra, la lista è riuscita raccogliere le firme utili ed ha superato di molto il numero richiesto, e l’ha fatto anche in regioni ostiche come la Valle d’Aosta, dove ha raccolto circa 1600 firme, una soglia che avrebbe permesso la lista e il fatto di candidarsi nel nord ovest. All’atto della consegna presso la Corte d’appello però 200 firme sono state ritenute non valide, perché autenticate da una Consigliera Regionale della stessa Val d’Aosta che ha dimenticato di scrivere la sua qualifica sul modulo, ovvero “consigliere regionale”. L’autenticatrice in questione non è stata neanche sentita dai giudici, sarebbe bastata una chiamata, sarebbe bastato anche andare su Internet e vedere quale fosse il suo profilo nella Regione Val d’Aosta per capire che quelle firme sono valide. Tutto ciò invece non è stato preso in considerazione e la Corte d’Appello di Milano ha ricusato la richiesta di partecipazione, sia nel primo che nel secondo livello di giudizio, costringendo a ricorrere al Tar e mettendo in forse la partecipazione nella lista sull’intero Nord Ovest.
Ora, al netto del fatto che le Corti d’Appello svolgono il loro lavoro con perizia svolgendo il loro ruolo, rimane il fatto allucinante che la richiesta di partecipazione di decine di migliaia di cittadini venga annullata senza possibilità di rettifica per la mancanza di un timbro. La vicenda, che concluderà entro i prossimi 10 giorni il suo iter, ha del surreale. Mettendo da parte il piano giuridico, sul piano politico va fatto rilevare che tale procedura per l’ammissione alle elezioni europee, ovvero le lezioni più importanti a cui i cittadini italiani possono partecipare, è una procedura che lascia molti dubbi sul rispetto dei principi democratici, grazie a una legge che favorisce il ceto politico e che, davanti a vicende come questa, tende a generare sfiducia nei cittadini che vogliano adoperarsi per contribuire all’offerta pluralista della politica in questo paese.