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Home » Politica

Bonaccini a TPI: “Al ballottaggio parlerò con Cuperlo e De Micheli: siamo compatibili”

Immagine di copertina
Credit AGF

“Se vinco le primarie metto fine alle guerre interne al partito. Il primo atto da segretario? Una raccolta firme per il salario minimo legale"

Allora presidente Bonaccini, ormai lei sente di avere già la vittoria in tasca, confessi.
(Serio). «Assolutamente no: non l’ho mai detto quando ho combattuto altre battaglie, in cui pure ero piazzato bene, e non lo dirò mai».

Quindi oggi non vuole ancora festeggiare?
«Tantomeno oggi, che il risultato definitivo non è ancora acquisito! Sarei un matto. Invece, come è noto, sono uno che sta sempre con i piedi per terra». 

Cos’è, una posa scaramantica?
(Ride). «No, solo sano realismo». 

Però lei ha già consolidato, da solo, il 52% dei consensi tra gli iscritti. Gli altri tre candidati si dividono il 48%…
«Sì, ma la mia è una semplice constatazione: è vero, per ora ho raccolto la maggioranza assoluta tra gli iscritti, il che è un risultato che considero molto bello e molto importante. Ma bisogna ancora aspettare il dato dei gazebo. Si decide lì».

Secondo lei nel voto degli elettori potrebbe emergere un orientamento diverso da quello dei militanti?
«Andiamo per ordine. Hanno già votato 100mila iscritti al Pd e non era un risultato scontato». 

No?
«Per nulla: quindi mi fa piacere che abbia votato molta gente, donne e uomini, in tutta Italia. Ma il 26 febbraio parleranno anche gli elettori e i simpatizzanti, e quindi c’è ancora un’altra partita da giocare. La più importante, perché è quella che decide». 

Bonaccini, si avvicina  il bivio cruciale.
«Quale?».

Crede che sia possibile per lei allearsi con qualcuno dei candidati che non arriverà al ballottaggio?
«Il risultato non è ancora definitivo…».

Però se, come dicono i dati, la sfida ai gazebo dovesse essere tra lei ed Elly Schlein, cosa dirà agli altri due?
(Sorriso). «Ci crede che non ci ho ancora pensato?».

Infatti non ci credo.
«Voglio dire: le alleanze si fanno in due». 

Capisco la prudenza: ma lei lo considera possibile o no?
«Certo che lo considero possibile. Vedremo cosa vogliono fare Gianni e Paola. Ma è ovvio che a me farebbe molto piacere. Siamo politicamente compatibili».

Lei pensa che potenzialmente potrebbe allearsi con entrambi?
«Guardi, io in passato ho sempre lavorato per tenere unito il partito. Se per loro la mia proposta politica è apprezzabile, sarebbe un segnale importante: anche perché, come è noto, io ho sempre avuto amicizia e stima sia nei confronti della De Micheli che di Cuperlo». 

Li ritiene più vicini alle sue posizioni che a quelle della Schlein?
«Per carità: so che nessuno di loro mi deve nulla, che nulla è scontato. Ma ci parleremo presto, appena arriverà il risultato definitivo. Mi farebbe piacere incontrarli, se vorranno».

Questo però sarebbe un segnale di discontinuità importante rispetto al recente passato del Pd.
«Io sono uno che non ha difficoltà a fare alleanze, ma sui programmi e le idee: e se dipendesse da me mi farebbe piacere avere una doppia convergenza sia con Paola che con Gianni». 

Un altro problema del passato è stata la composizione della segreteria. Con Renzi la minoranza non trovava posto. Cuperlo fu costretto a dimettersi da presidente del partito.
«Io sono fatto così: nel mio piccolo, ho fatto il segretario regionale dell’Emilia-Romagna per sei anni. Quando toccò a me, chiesi a Mariangela Bastico e Thomas Casadei, che erano i miei sfidanti, di stare con me in segreteria. Così è stato». 

È un Bonaccini super ecumenico, questo.
«No, realista. Non è detto che si trovino le ragioni per convergere, ma io ci voglio provare. Se vincerò, voglio gestire il partito nel mondo più unitario possibile. Nessuno si deve sentire escluso, basta con le guerre fratricide. L’avversario è fuori, l’avversario da battere è la destra». 

Non è stato così nel passato più recente?
«Il gruppo dirigente del Pd si è diviso troppo spesso. Sarò all’antica, ma per me l’unità è il primo contributo che può aiutare a migliorare le cose».  

Stefano Bonaccini entra nella settimana decisiva del congresso facendo grandi scongiuri, ma con un motivo di soddisfazione. Secondo il riepilogo generale, nel voto tra gli iscritti ha raccolto il 51,68%. La sua inseguitrice, Elly Schlein è arrivata al 35,82%. Più distanziati ci sono Gianni Cuperlo, che ha raccolto l’8,08%, e Paola De Micheli, che è arrivata al 4,41 %. La Schlein è convinta di poter ribaltare il dato ai gazebo («Ventimila persone si sono registrate sulla mia piattaforma per sostenermi») e dunque – come abbiamo visto – anche le alleanze con cui i duellanti si presenteranno conteranno, su un voto di opinione più ampio e meno influenzabile dal peso delle correnti. Tuttavia, già da questa settimana, i media riportano le parole del governatore dell’Emilia-Romagna come quelle di un segretario in pectore. E lui stesso interviene sulla querelle di Sanremo da leader, più che da semplice candidato. 

Presidente Bonaccini, perché lei definisce inquietanti le polemiche che da destra si sono abbattute sulla Rai e su Amadeus per Sanremo?
«Primo: la Rai è ancora l’industria culturale di massa più importante del Paese. E, purtroppo, troppo spesso è l’oggetto dei desideri di controllo di maggioranze e governi». 

Cosa non le è piaciuto nelle polemiche?
«Mi è sembrato un errore che ministri e membri del governo si siano scatenati contro il festival». 

Esiste il diritto di critica.
«Ma per carità: tu puoi criticare tutto, di una trasmissione, se ti limiti ai contenuti».

E invece?
«Se parti da Sanremo per mettere in discussione i vertici della Rai, perché contesti l’idea che non rispondano ai tuoi desiderata, questo invece mi preoccupa, e molto. Non abbiamo dei bei precedenti, dall’editto bulgaro in poi». 

A lei è piaciuto questo Sanremo?
«Qualcosa di più, qualcosa di meno. Ma sto provando a spiegare che non è questo il punto». 

Le faccio un esempio: cosa pensa di Fedez che straccia la foto di un sottosegretario in divisa da Ss?
«Ecco un tema: io, per temperamento e per cultura, non amo questi gesti. Non mi piace, cioè, che si possa riprodurre un meccanismo di gogna pubblica, nei confronti di chiunque. Però, le faccio un esempio al contrario». 

Quale?
«Se Fedez, per esempio, avesse stracciato la foto di Bonaccini, mai mi sarei sognato di criticare il suo diritto di espressione. E mai mi sarebbe venuto in mente che per questo si possa pensare di cambiare i vertici della Rai. Questo atteggiamento ci porta molto lontano dal legittimo diritto di critica». 

E dove ci porta?
«All’idea, che io considero folle, che ci sia un diritto del governo a mettere la mordacchia a qualsiasi manifestazione di idee e culture che, sbagliando, si considerano “di  opposizione”». 

Non le sono piaciute nemmeno le parole di Salvini su Mattarella e su Benigni?
«Per nulla. Benigni non ha fatto un discorso di parte. Non ha parlato a nome di un partito politico, non ha espresso opinioni politiche, ma ha fatto una lezione civile». 

Salvini ha detto che non era quella la sede per parlare della Costituzione.
«Ancora una volta chiedo: chi lo decide? E perché mai non dovrebbe essere quella la sede?». 

Secondo Salvini, immagino, un tema politico non era attinente con il festival della canzone italiana.
«Io credo il contrario: la Costituzione più bella del mondo, come mi piace chiamarla, non è la bandiera di una parte, ma la casa di tutti gli italiani. E devo dire che, semmai, è inquietante questo: l’idea che la destra si senta colpita se si parla dell’articolo 21, o dell’articolo 11. Che qualcuno si arrabbi se Benigni racconta di come si è conquistato il diritto più importante, quello alla libertà di espressione. E di come i Costituenti misero nero su bianco il ripudio della guerra. Della nostra Costituzione più se ne parla e meglio è». 

Allora le chiedo: perché secondo lei Salvini e tanti esponenti del governo si sono arrabbiati? Sgarbi ha detto persino che «Benigni è bollito».
«Mi pare evidente che il problema non sia Benigni, che parlando della Carta ha fatto commuovere anche Mattarella, ma il loro rapporto con la Costituzione nata dalla Resistenza. Che io, invece, come è noto considero il fondamento della mia stessa identità di cittadino italiano». 

Lei dice sempre che non considera «fascista» la cultura della destra di governo. Come spiega il conflitto di queste ore?
«Si possono avere le idee più diverse, ma si dovrebbe essere sempre uniti dai valori della Carta. Mentre una certa destra, che io non considero fascista, ha nel suo Dna i germi di un autoritarismo molto preoccupante». 

Quindi cosa direbbe alla Meloni e a Salvini?
«Che la politica dovrebbe stare lontana dalle questioni che riguardano la libertà di espressione dei cittadini, degli intellettuali e degli artisti, anche i più trasgressivi. Se si prenderà Sanremo a pretesto per una purga che nasconde questa cultura, e questo desiderio di mettere la mordacchia alle idee, noi ci opporremo».  

Lei si è indignato per l’attacco rivolto in aula ai quattro deputati del suo partito che sono andati a far visita a Cospito nel carcere di Sassari.
«E ci mancherebbe altro! Le pare normale che il coordinatore di un partito di maggioranza, in parlamento, arringhi e utilizzi informazioni riservate avute da un suo collega di governo per bastonare l’opposizione?». 

Lei difende l’operato dei suoi deputati.
«Dovrei rispondere con l’elenco di tutti i parlamentari, di tutti i partiti, che in questi anni hanno fatto visita a mafiosi in carcere? Meglio di no». 

Perché?
«Perché non voglio abbassarmi a questo livello di polemica. È volgare». 

Si spieghi.
«Visitare le prigioni e verificare le condizioni dei reclusi rientra tra i compiti sacri dei parlamentari. E visitare un detenuto, o verificare le sue condizioni di salute, come in questo caso, non significa in alcun mondo condividere, anche solo in parte, le sue idee». 

L’accusa di Donzelli ai deputati del Pd era quella di avere collusioni con la mafia sul 41-bis.
«Ma è ridicolo. Solo una destra in confusione può polemizzare su questo terreno. Ricordo che nella nostra storia abbiamo le lapidi di persone come Pio La Torre e Rosario Di Salvo.».

Si è detto che il Pd è contro il regime del 41-bis. Lei, da segretario, che posizione sosterrebbe?
«Dirò con altrettanta chiarezza che per noi il 41-bis non è in discussione». 

No?
«Assolutamente no: è uno strumento per contrastare mafie e terrorismo, guai ad arretrare. E sono i magistrati, per fortuna, a decidere chi deve subire questa restrizione e chi no». 

Anche lei governa, in Emilia-Romagna. Anche lei prende decisioni, fa nomine.
«Ecco, la ringrazio di questa domanda, perché mi consente di spiegare come mi sono regolato quando è toccato a me». 

Cioè?
«Vede, io è da otto anni che nomino i direttori delle aziende sanitarie, perché questo è un mio compito». 

Allora anche la Meloni può dimissionare Fuortes?
«È esattamente il contrario: io non mi sono mai permesso di telefonare a qualcuno per raccomandare chicchessia, e non ho mai indicato, né direttamente né indirettamente, un primario o un direttore amministrativo e sanitario. Si figuri se penso che sia compito di un ministro stabilire se Amadeus debba condurre Sanremo o no!».

In pochi giorni ha girato tutte le le regioni d’Italia.
«Mi manca la Val D’Aosta, ma presto sarò anche lì». 

Ha toccato il record di dieci appuramenti al giorno.
«È il mio modo di fare politica: se non si conoscono i luoghi e le persone, non si può avere il polso del paese reale». 

Da quando?
«Da sempre. Quando ero un giovane dirigente della Fgci, e poi del partito, percorrevo 80-100 mila chilometri l’anno con la mia vecchia Seat, perché ci tenevo, per tigna, a visitare tutti i Comuni che erano sotto il mio mandato». 

Una Seat? La 127 fatta in Spagna che costava meno della Fiat?
(Ride). «Era molto comoda e molto bella, dato il rapporto prezzo-qualità, e non consumava nulla». 

E quale è “la lezione della Seat”?
«Che se divento segretario io, dovrò girare tanto da un capo all’altro del Paese. E farlo, anche, con un gruppo o dirigente che abbia voglia di consumare le suole delle scarpe». 

Lei è il primo segretario che dopo tanti anni è tornato a Mirafiori. Era preoccupato?
«Vuole che le dica la verità?». 

Certo.
«Sì, ero preoccupato e al partito temevano anche dei fischi, proprio per questi anni di assenza ai cancelli». 

E com’è andata?
«Qualcuno è rimasto indifferente. E mi hanno commosso altri che mi hanno mi hanno abbracciato dicendomi: “Sappiamo che non sei qui a fare passarella”. Era vero».

Ci tornerà anche se venisse eletto?
«Ci tornerò sicuramente, ci torneremo, perché io non parlo al singolare. Ma non solo ai cancelli di Torino. Andremo davanti alle tante Mirafiori d’Italia». 

Perché qualcuno dei suoi le diceva non andare?
«Perché temevano un effetto boomerang sui media. Il problema è che spesso non ci hanno fischiato solo perché non c’eravamo. Adesso ci criticheranno, magari, ma si ricorderanno che ci siamo stati». 

Sta spostando il Pd a sinistra per sedurre Cuperlo o perché è convinto che sia la linea?
«Il Pd che voglio deve essere radicale sui contenuti, per il suo punto di vista, per il modo di stare nei problemi. Ma questa radicalità di visione è il contrario dell’estremismo». 

Ovvero?
«La mia sinistra è il contrario di quella minoritaria e ideologica. E deve essere capace di conquistare voti e consensi ovunque si trovino. Anche fuori dai nostri bacini tradizionali». 

Mi faccia un esempio.
«Bisogna stare al fianco dei troppi precari che la crisi ha causato in questi anni». 

Come?
«La prima campagna che farei da segretario è una raccolta di firme per introdurre il salario minimo legale». 

D’accordo con M5S, dunque?
«Con chiunque ci stia. Ma all’opposizione di questo governo che non ha messo nulla per i precari, i deboli e i fragili. Ragazzi pagati2 o 3 euro l’ora!»

I sindacati si sentiranno scavalcati?
«E perché? Non voglio depotenziare la contrattazione collettiva, da rafforzare, ma fare in modo che sia tutelato chi questo strumento nel suo mondo di lavoro non lo ha». 

Mi dica un’altra ricetta che applicherebbe subito.
«Non ho dubbi: dobbiamo far costare il lavoro precario più di quello stabile». 

Quindi si rivolge anche al popolo delle partite Iva?
«Ah, anche loro senza dubbio. Dobbiamo tornare ad occuparci del lavoro non dipendente. Abbiamo regalato alla destra i voti di partite Iva e autonomi, una follia». 

Come, come?
«In uno dei miei giri di questi giorni mi ha fermato una coppia di ragazzi e mi ha detto: “Ti abbiamo votato tre anni fa e ti abbiamo rivotato nonostante tutto”». 

E cosa intendevano?
«Hanno proseguito: “Siamo due partite Iva e ti vogliamo far vedere il nostro conto corrente, è vuoto”. È ancora: “Per fortuna non abbiamo figli. Non arriviamo a fine mese”. È stato terribile, ed è assurdo considerare gli autonomi come degli evasori». 

Ma come si aiuta quella coppia?
«Voglio investimenti su nidi e materne tanto da azzerare le liste di attesa e farli diventare gratuiti. Voglio che le scuole dell’infanzia diventino sempre di più agenzie educative». 

Cosa significa?
«Sa che in Emilia-Romagna oggi abbiamo 304 asili nido dove si insegna l’inglese?». 

Io ne sono entusiasta, ma molti pensano che l’Emilia sia un’isola felice.
«E allora le racconto di Lula, in Sardegna. Un paesino in provincia di Nuoro dove in una ex miniera è nato un progetto che compete con l’Olanda per ottenere l’Einstein Telescope con cui si studieranno i buchi neri e l’origine del Big Bang». 

Ne abbiamo parlato su TPI.
«E avete fatto bene: quel progetto è competitivo per ottenere finanziamenti europei e prestigio internazionale. Così come lo sono il Centro europeo per le previsioni meteo e il computer più potente d’Europa,  tra i quattro più potenti del mondo che arrivano in Emilia-Romagna». 

La sento orgoglioso.
«Sono orgoglioso dei tanti progetti che in tutta Italia raccontano una idea di spese fatta di innovazione e capacità di progetto. La mia idea di una sinistra di governo parte da queste storie e da questi bisogni, per riconquistare Palazzo Chigi. Perché sia chiaro: ora facciamo un’opposizione seria, ma costruiamo un Pd che alle prossime elezioni torna al governo del Paese perché vince alle urne, non per altro».

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