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Home » Politica

Come è cambiata l’Italia un anno dopo il 4 marzo

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La vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie del partito democratico è arrivata il 3 marzo 2019, praticamente un anno dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, che hanno consegnato uno dei risultati apparentemente più imprevedibili della storia repubblicana, portando alla nascita del governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte. Ma come è cambiata l’Italia a un anno dal voto del 4 marzo?

Alle politiche del 2018, il centrodestra diventava prima coalizione con il 37 per cento: né una sorpresa né una novità, ma la Lega per la prima volta nella sua storia riusciva a superare Forza Italia, toccando il suo massimo storico del 17 per cento, facendo il pieno di voti al nord e riuscendo a sfondare anche nell’Italia centrale e meridionale.

Il Movimento Cinque Stelle riusciva invece a toccare uno storico 32 per cento e fare il pieno di voto al sud, toccando in molte aree percentuali plebiscitarie.

La coalizione del PD usciva invece molto ridimensionata: il partito si limitava a ottenere un misero 18 per cento (minimo storico)e a vincere solo nei centri cittadini e in un’area tra Toscana ed Emilia, che potremmo definire “ridotto appenninico”, oltre che in Alto Adige per via dell’alleanza con il Sudtiroler Volkspartei.

A un anno da quel voto, i sondaggi e i voti amministrativi e regionali che hanno avuto luogo ci raccontano come sembra essere cambiata l’Italia nell’anno che ha seguito il voto del 4 marzo 2018.

Cosa dicono oggi i sondaggi?

Con le dovute differenze tra istituto e istituto, i sondaggi sembrano concordare sulla tendenza secondo cui la Lega ha ampiamente superato PD e Movimento Cinque Stelle rispetto alle politiche di un anno fa, affermandosi nell’opinione pubblica come primo partito con oltre il 30 per cento dei consensi. Il Movimento Cinque Stelle, invece, sembra essere crollato di oltre 10 punti ed è attualmente di poco sopra il 20 per cento.

Per quanto riguarda il Partito Democratico, punto più o punto meno secondo gli istituti demoscopici oggi riconfermerebbe grossomodo il dato delle politiche, complice anche il fatto di essere il principale partito d’opposizione al governo giallo-verde nonostante diverse difficoltà riscontrate nel corso dell’ultimo anno.

Per il resto, Forza Italia è spesso considerata sotto al 10 per cento (anche se nelle ultime settimane, complice il rinnovato impegno di Silvio Berlusconi, risulta avere un trend positivo ed è spesso quotata sopra il 10, seppur di poco), mentre Fratelli d’Italia e +Europa confermano tendenzialmente i dati delle politiche. Lieve calo invece per i partiti alla sinistra del PD, che tuttavia hanno riaperto il dialogo con i democratici dopo la conclusione della stagione renziana.

Ma al di là di cosa dicono i sondaggi, vediamo cosa è successo a livello elettorale nelle amministrative e nelle regionali che si sono svolte nel corso dell’ultimo anno.

Il Molise e il Friuli-Venezia Giulia: l’inizio della tendenza

Sia le regionali in Molise (22 aprile 2018) che quelle in Friuli-Venezia Giulia (29 aprile) si sono svolte nel lungo “interregno” tra il voto del 4 marzo e l’insediamento del governo Conte il primo giugno 2018. Entrambe queste regioni hanno cambiato colore, passando da un’amministrazione di centrosinistra a una di centrodestra.

In entrambi i casi, pur non ancora al governo, sia Lega che Movimento Cinque Stelle hanno mostrato i primi segnali di rafforzamento la prima e di flessione il secondo. Il Movimento Cinque Stelle, in quel periodo, iniziava in parte a pagare la gestione dei colloqui con il Quirinale per la formazione di un governo, che sono stati particolarmente lunghi. A parziale difesa dei pentastellati, tuttavia, c’è da dire che storicamente alle amministrative e alle regionali il loro risultato è peggiore rispetto alle Politiche: un dato che si verifica da sempre e di cui non si può non tenere conto in questo contesto.

In Molise il Movimento Cinque Stelle aveva ottenuto il 44 per cento dei voti il 4 marzo, un dato in linea con la valanga di voti ottenuta al sud. Nel mese di aprile, la piccola flessione ottenuta li aveva fatti scendere al 38, un dato non preoccupante, beffato tuttavia dal 43 per cento del centrodestra unito che portava così all’elezioni di Donato Toma come presidente. Nell’ambito della coalizione di centrodestra, Forza Italia riusciva a diventare primo partito dell’alleanza con il nove per cento, tallonato però dalla Lega all’otto per cento. Il centrosinistra, invece, si limitava a una candidatura unitaria di testimonianza nella quale si vedevano ancora le ammaccature subite il 4 marzo.

Una settimana dopo, in una regione come il Friuli-Venezia Giulia (nella quale la Lega aveva ottenuto il 25 per cento il 4 marzo), tale tendenza veniva confermata, con la Lega che arrotondava il proprio punteggio arrivando al 34 e trascinando il suo candidato Fedriga al 57 per cento, mentre il candidato del Movimento Cinque Stelle crollava all’11 per cento (alle politiche aveva preso il 25 in Friuli-Venezia Giulia).

Anche il voto del 20 maggio in Valle d’Aosta, che in genere passa quasi inosservato e vede le forze autonomiste protagoniste, ha visto una forte crescita della Lega.

Le amministrative: le regioni rosse diventano verdi?

Le elezioni amministrative sono sempre difficili da paragonare alle politiche: il voto spesso è in gran parte un giudizio locale verso il sindaco, e inoltre vige il sistema del doppio turno, che può portare a conseguenze diverse dal voto delle politiche e delle regionali che avviene in un unica tornata elettorale in cui si può vincere anche senza ottenere il 50 per cento dei voti.

Il voto amministrativo del 26 maggio (con ballottaggio il 9 giugno) del 2018, avvenuto proprio nei giorni in cui il governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte stava nascendo, non è importante tanto per i rapporti di forza tra Lega e Cinque Stelle, quanto per quelli tra Lega e centrosinistra. La formazione di Matteo Salvino mostra infatti di non essere più un fenomeno esclusivamente nordico e che la vittoria nelle cosiddette regioni rosse non è più un tabù, riuscendo a imporsi al ballottaggio in due storiche roccaforti del centrosinistra come Pisa e, soprattutto, Siena.

Dati che mostrano come la Lega di Salvini sia in grado di ottenere voti che nelle passate elezioni erano andati sia ad altri partiti del centrodestra che al centrosinistra, con una composizione dell’elettorato che si rivela dunque più trasversale di quanto si potesse inizialmente pensare.

Un’altra vittoria importante è poi quella del centrodestra a Terni, dove la Lega raggiunge il 29 per cento, e che dimostra come il centrosinistra in Umbria sia stato relegato a un ruolo marginale. In attesa di sviluppi futuri, possiamo dire che l’Umbria è una regione che andrebbe tenuta d’occhio nel futuro prossimo, e che potrebbe essere soggetta al cosiddetto “effetto West Virginia“.

Trentino-Alto Adige: anche per l’SVP finiscono le certezza

Tradizionalmente il voto in Trentino-Alto Adige (che di fatto sono due elezioni diverse, una in provincia di Trento e una in quella di Bolzano) passa inosservato ai media nazionali, soprattutto per quanto riguarda la provincia di Bolzano, tradizionalmente dominata dal Sudtiroler Volkspartei (SVP), il partito centrista che tutela gli interessi degli italiani di madrelingua tedesca.

In tale occasione si sono rilevati tre fattori interessanti: il minimo storico mai raggiunto dal SVP (41 per cento), che è così rimasto senza maggioranza in Consiglio, l’ottimo risultato della Lega che ha occupato lo spazio che in questa provincia, negli anni Novanta, era di Alleanza Nazionale tra i madrelingua italiani (il 30 per cento della Lega nel comune di Bolzano ricalca infatti il risultato ottenuto da AN nel 1996 alla Camera) e il grande successo del Team Kollesperger.

Questo partito è nato dall’iniziativa di Paul Kollensperger, fuoriuscito dal Movimento Cinque Stelle che ha costituito una propria lista che è stata in grado di togliere molti voti all’SVP tra i madrelingua tedeschi, ottenendo il 15,2 per cento. Si tratta probabilmente di uno dei casi di lista nata da una scissione dal Movimento Cinque Stelle andata meglio a un’elezione: in molti casi, infatti, il patrimonio elettorale dei fuoriusciti dal movimento si è rivelato marginale o è stato disperso, nonché della prima messa in discussione (seppur parziale, avendo comunque il partito ottenuto oltre il 40 per cento) del SVP.

Per quanto riguarda la provincia di Trento, invece, l’avanzata leghista al nord ha continuato a dare i suoi frutti, portando il partito di Salvini al 27 per cento e il suo candidato, Maurizio Fugatti, all’elezione con il 47, in una terra che vedeva tradizionalmente il predominio da parte degli ex Margherita.

Suppletive a Cagliari: nelle città il PD resiste

Dopo una vera e propria ondata di vittorie del centrodestra, il PD, quasi a sorpresa, è riuscito a vincere le suppletive a Cagliari del 20 gennaio 2019, le prime elezioni di questo tipo da quando esiste il Rosatellum come legge elettorale. Il voto serviva infatti a eleggere il successore del pentastellato Andrea Mura alla Camera dopo le sue dimissioni rassegnate per via delle troppe assenze in parlamento.

Sotto l’insegna di occhettiana memoria dei “Progressisti per la Sardegna”, il candidato Andrea Frailis è riuscito a sorpresa a ottenere il seggio in precedenza vinto dai pentastellati, con un’affluenza al voto molto bassa. Andando a vedere i dati comune per comune, apprendiamo come principalmente la vittoria sia arrivata per il numero di voti ottenuti a Cagliari dal centrosinistra, che nei comuni dell’hinterland ottiene invece risultati ben inferiori. Per quanto dunque il centrosinistra sia riuscito a strappare un seggio nel quale nel 2014 era arrivato terzo, continua a mostrare come nei centri cittadini ottenga molti più voti che nelle periferie e nelle aree extraurbane.

L’Abruzzo: la Lega sfonda al sud

Un passaggio importante che ha mostrato il cambiamento della geografia elettorale italiana nel corso dell’ultimo anno è arrivato il 10 febbraio con le regionali in Abruzzo, dove il dato clamoroso non è stata la vittoria del centrodestra che era stata già segnalata da molti sondaggi, ma il clamoroso risultato della Lega, attestatasi al 27 per cento in una regione del centrosud, dove – per intenderci – alle Europee del 2014 otteneva appena l’1,49 per cento.

Questo dato ha fatto da contraltare al magro risultato della candidata del Movimento Cinque Stelle, ferma al 20 per cento in una regione in cui un anno prima sfiorava il 40 per cento dei consensi.

Questo voto ha rappresentato un campanello d’allarme per i pentastellati, la cui politica rischia di apparire troppo schiacciata su quella della Lega, con il rischio di allontanare verso sinistra una parte del proprio elettorato e di far avvicinare quella più di destra a Salvini.

Il centrosinistra perde invece anche questa regione, pur uscendo dignitosamente grazie al secondo posto del suo candidato.

La Sardegna e i timori dei Cinque Stelle

Il voto in Sardegna del 24 febbraio ha visto amplificati gran parte degli effetti che si erano visti sul voto in Abruzzo, il tutto in una regione in cui il Movimento Cinque Stelle aveva ottenuto alle politiche il 42 per cento. Proprio qui, il partito di Di Maio ha visto il suo candidato crollare all’11 per cento, facendo porre ai pentastellati una serie di questioni non secondarie sul proprio futuro prossimo.

L’elezione era infatti arrivata pochi giorni dopo il controverso voto sulla piattaforma Rousseau circa l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, in cui si è scelto di difendere il ministro dell’Interno in parlamento con una mossa che molti militanti e simpatizzanti hanno visto come un tradimento dei valori originari del movimento. Parallelamente, dopo l’eccellente risultato al sud e nelle isole totalizzato il 4 marzo 2018 dal Movimento Cinque Stelle, il voto in Sardegna (come quello in Abruzzo) lasciano porre una serie di quesiti su come questo bottino elettorale potrebbe essere in gran parte disperso per le elezioni europee: un dato che porterebbe il movimento a perdere lo zoccolo duro del proprio elettorato.

Oltre a questo, il centrodestra riesce a vincere grazie alla candidatura di Christian Solinas, esponente del Partito Sardo d’Azione, che ottiene il 47 per cento dei voti, seguito dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda che ha portato il centrosinistra al 33 per cento.

Cosa può succedere in vista delle europee?

Quelle percorse finora sono le tappe che hanno portato l’Italia a ridisegnare parzialmente la propria geografia elettorale da un anno a questa parte, e le europee del 26 maggio saranno il simbolico punto d’arrivo di questo percorso iniziato il 4 marzo. Cosa succederà non possiamo ovviamente saperlo, ma possiamo indicare quali potrebbero essere i rischi e le opportunità per i diversi partiti in vista del voto.

La Lega è senza dubbio il partito più lanciato e con meno da perdere. Dopo il 17 per cento di un anno fa, tutti i sondaggi gli assegnano un punteggio circa doppio che rappresenterebbe il suo massimo storico: un risultato che sarebbe altissimo anche se dovesse perdere alcuni punti da qui al voto. La popolarità di Salvini è tale da permettergli di dettare l’agenda da qui al voto, e solo una catastrofe, dati alla mano, potrebbe rallentarlo. Per quanto sia vero che negli ultimi mesi l’opposizione al governo si è fatta sempre più forte (dopo una quasi assenza iniziale), sembra che essa avvenga più alle spese del Cinque Stelle che della Lega.

Il Movimento Cinque Stelle è sicuramente il partito con la posizione più a rischio nell’attuale panorama politico, anche per via del confronto con l’eccellente risultato di un anno fa. Oggi molti sondaggi indicano un vero crollo dei pentastellati, considerati di poco sopra al 20 per cento da molti istituti, e i dati delle regionali non sono stati confortanti. La posizione del movimento, troppo schiacciata verso Salvini (che rappresentava il partner minoritario del governo) ha fatto perdere probabilmente molti consensi ai pentastellati, che adesso hanno però una grande opportunità: il reddito di cittadinanza.

Il cavallo di battaglia pentastellato è stato l’asso nella manica alle scorse elezioni e ha contribuito all’incredibile risultato raggiunto nel meridione. L’entrata in vigore a breve della misura potrebbe dare un po’ di carburante a una formazione che sembra essere in crisi. Il vero rischio, però, è che il sud, zoccolo duro del suo risultato elettorale un anno fa, mantenga un atteggiamento più freddo verso i Cinque Stelle: sarà proprio l’elettorato meridionale la chiave del successo o dell’insuccesso del movimento alle europee.

Il Partito Democratico arriva alle europee con la nuova leadership tutta da scoprire di Nicola Zingaretti poco più di un anno dopo rispetto al peggior risultato della sua storia. Dalla parte del PD c’è il fatto di essere la principale forza d’opposizione a questo governo, che se dovesse muoversi bene potrebbe essere in grado di catalizzare su di sé il grosso di questo scontento. Tuttavia, questo dato non è scontato.

Zingaretti sembra infatti destinato a voltare pagina rispetto all’esperienza di Renzi e guardare ad alcuni temi più tradizionali della sinistra: il rischio è quello di raffreddare l’elettorato dei centri storici e dei quartieri altolocato, un tempo meno affine al centrosinistra ma che, con un testacoda non scontato, ha rappresentato uno degli zoccoli duri dell’elettorato democratico e che si è spesso mostrato più affine a Matteo Renzi. Il rischio concreto, è raffreddare una parte di elettorato senza guadagnarne a sufficienza da altre parti.

L’altro rischio per il PD è che una parte consistente del dissenso verso il governo vada su +Europa, una formazione che ha l’europeismo come principale punto programmatico e che, per questo, in un’elezione europee ha la strada spianata soprattutto in contrapposizione a un programma sovranista ed euroscettico.

L’altra incognita arriva da Forza Italia: dopo un anno passato a bagnomaria, Silvio Berlusconi ha fatto intendere di voler tornare sulla scena e rilanciare il partito. Come è ancora in parte da vedere, ma è probabile che guardi anche all’elettorato renziano, soprattutto se Zingaretti dovesse spostare troppo a sinistra il baricentro del partito.

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