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Home » Politica

Zero trasparenza sui dati: così il Pnrr è un segreto di Stato

Immagine di copertina
Credit: AGF

Il Piano impone l’obbligo di rendere accessibili a tutti i cittadini le informazioni sull’avanzamento dei progetti. Ma né il Governo Draghi né Meloni lo hanno rispettato. Una precisa scelta politica che impedisce di vigilare sugli appalti

Diceva il politologo Norberto Bobbio che la democrazia è idealmente «il governo del potere visibile»: una casa di vetro, cioè, in cui l’attività dei governanti è costantemente esposta agli occhi – e quindi anche al controllo – dei cittadini.

Se questo principio è valido, allora si può dire che la gestione del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza non sta seguendo modalità propriamente democratiche: il più importante pacchetto di investimenti pubblici degli ultimi cinquant’anni è infatti avvolto da una coltre di fumo che impedisce ai non addetti ai lavori – giornalisti compresi – di avere libero accesso alle informazioni sul suo stato di avanzamento.

Né il Governo Draghi né il Governo Meloni hanno rispettato l’impegno alla trasparenza – stabilito nello stesso Pnrr – che imponeva di rendere pubblici e aggiornare in tempo reale tutti i dati relativi a tempistiche, costi e attuazioni dei singoli progetti.

Certo, sappiamo grazie alla Corte dei Conti che sono stati spesi finora soltanto 23 miliardi di euro, a fronte dei 47 miliardi che erano stati preventivati nel Def di due anni fa. Certo, sappiamo per bocca del ministro Raffaele Fitto che «è matematico» che alcuni interventi non potranno essere realizzati entro la scadenza del 2026.

Sappiamo, dunque, che l’Italia è in fortissima difficoltà. Ma non ci è dato conoscere i dettagli: ai cittadini è precluso un monitoraggio puntuale dei singoli progetti. Lo ha rilevato la stessa Corte dei Conti nella sua Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, presentata lo scorso 28 marzo. E lo denunciano da ormai due anni – come vedremo – decine di realtà del mondo associativo.

Non si tratta di una questione accessoria. La trasparenza non è un inutile orpello per le pubbliche amministrazioni, ma incide anche sulla buona riuscita dei singoli progetti.

Fabrizio Barca, ex ministro del Governo Monti (delega alla Coesione territoriale), ex dirigente del Tesoro e di Bankitalia, oggi coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, lo spiega così: «L’esperienza ci dice che lo strumento più efficace affinché le cose accadano è una pressione continua e consapevole da parte dei destinatari, che fino a prova contraria nel caso del Pnrr sono i cittadini. Far sì che le persone sappiano che i servizi che ricevono stanno per migliorare le porterà a “stare addosso” a coloro che ne sono responsabili. L’attività di monitoraggio su un progetto consente poi di capire in tempo se qualcosa non sta funzionando e, in tal caso, di correggerla».

Per il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, però, questo monitoraggio è stato reso di fatto impossibile. E non per dimenticanza o disorganizzazione all’interno della Pubblica Amministrazione, ma – Barca ne è convinto – per una una precisa «scelta politica, frutto della convergenza di due aspetti: il primo è l’assoluta inconsapevolezza dell’importanza di questo strumento, tipica dell’approccio neoliberista; il secondo consiste nella preoccupazione di non saper fare le cose bene ed evitare che ciò emerga». 

Impegni disattesi
L’obbligo di trasparenza sul Pnrr deriva da precise norme. La Legge di Bilancio 2021 – varata dal Governo Conte Bis nelle sue ultime settimane di vita – impegnava l’esecutivo a «rendere disponibili in formato elaborabile» i dati su costi preventivati, spesa sostenuta e tempi di realizzazione previsti ed effettivi.

Nel novembre 2021 un decreto del presidente del Consiglio Mario Draghi ha incaricato il ministero dell’Economia, all’epoca guidato da Daniele Franco, di rendere «accessibile in formato elaborabile e in formato navigabile» (ossia alla portata di qualsiasi cittadino dotato di connessione internet) i dati «sull’attuazione finanziaria, fisica e procedurale relativi a ciascun progetto». 

Nello stesso Piano nazionale di Ripresa e Resilienza si garantisce di «aderire ai principi di informazione, pubblicità e trasparenza prescritti dalla normativa europea e nazionale» e si annuncia la predisposizione di «attività di informazione e comunicazione mirate al coinvolgimento di tutti i target di riferimento, dagli stakeholder fino al grande pubblico».

Anche la Commissione europea, quando nell’estate 2021 ha dato il via libera al Recovery Plan dell’Italia, si è raccomandata di «coinvolgere tutte le autorità locali e tutti i portatori di interessi, tra cui le parti sociali, durante l’intera esecuzione degli investimenti e delle riforme inclusi nel piano».

Ma questi impegni sono stati ampiamente disattesi. O meglio: il Governo Draghi ha effettivamente lanciato due piattaforme online dedicate all’aggiornamento e alla comunicazione dei dati del Pnrr, tuttavia entrambi i siti si sono rivelati ben presto un flop, per non dire un bluff.

Il primo è il portale ReGis, il cui accesso è riservato alle Amministrazioni pubbliche, che devono caricare su di esso le informazioni necessarie ai fini della rendicontazione all’Unione europea. Il secondo è ItaliaDomani, sito che si può navigare liberamente senza credenziali d’accesso e sul quale qualsiasi cittadino dovrebbe poter trovare tutte le informazioni disponibili relative al Piano di rilancio italiano e al suo stato di avanzamento, progetto per progetto. Dovrebbe, appunto. Ma nei fatti non è così. 

Su ItaliaDomani il censimento dei progetti è fermo al 31 dicembre 2021 e fornisce informazioni su appena 5.247 progetti, quando invece la Corte dei Conti – che in qualità di organo di controllo ha accesso pieno a tutti gli atti – ha recentemente riferito che i progetti in corso sono 134mila.

Quanto a ReGis – operativo dal luglio 2022, ben un anno dopo la prima tranche da 24,9 miliardi di euro arrivata dall’Ue – il portale riservato agli addetti ai lavori risulta spesso privo della documentazione completa, tanto da essere giudicato insoddisfacente da più di un ministero.

Rimbrotto istituzionale
La Corte dei Conti, nella già citata Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, ha evidenziato «in alcuni casi la presenza di sistemi di monitoraggio delle opere non adeguati». I magistrati contabili citano, fra gli altri, due casi emblematici.

Il primo riguarda il ministero delle Infrastrutture: tra il 2021 e il 2022 – sotto la guida del draghiano Enrico Giovannini – il Ministero in un primo momento si è dotato di una piattaforma di monitoraggio gestita in collaborazione con la partecipata pubblica Sogei, ma poi, alla luce di «criticità» e «ritardi» iniziali, ha progressivamente cambiato strada, abbandonando quel progetto per avviarne uno nuovo, insieme a Cassa Depositi e Prestiti, che tuttavia – stando alla Corte dei Conti – «non è stato ritenuto ancora in grado di rimuovere definitivamente la criticità in argomento».

Il secondo esempio citato nella Relazione chiama in causa invece il ministero dell’Istruzione, che fin da subito ha ritenuto ReGis «carente sotto diversi profili», a tal punto da affiancarvi un proprio sistema di monitoraggio interno già in uso: «Il mantenimento del sistema del doppio binario – avverte però la Corte dei Conti – rischia di disorientare gli enti locali beneficiari e alimentare da parte di questi ultimi atteggiamenti opportunistici di mancato aggiornamento dei sistemi di monitoraggio».

Peraltro, più avanti nelle loro osservazioni, gli stessi magistrati contabili riconoscono implicitamente che certi ministeri non hanno tutti i torti a diffidare di ReGis: in alcuni casi – scrive la Corte – sul sistema «si è rilevata la mancanza di documentazione fondamentale (come, ad esempio, i decreti ministeriali di attuazione o pianificazione delle risorse, ovvero i bandi di gara, contratti)», in altri «la documentazione se pur presente, non è esaustiva, completa e “pulita”» (bozze al posto delle versioni definitive), inoltre «frequentemente» sono stati riscontrati «disallineamenti tra quanto pubblicato sui siti istituzionali delle Amministrazioni titolari e dei Soggetti attuatori rispetto a quanto disponibile sul sistema ReGiS».

La battaglia dal basso
Se i rimbrotti della Corte dei Conti sono stati pubblicati il mese scorso, nel mondo delle associazioni di cittadinanza attiva la battaglia per chiedere trasparenza sul Pnrr è iniziata più di due anni fa. «Ci rendemmo conto immediatamente, già dall’impianto messo a punto dal Governo Conte Bis, poi riconfermato pari pari da Draghi, che non si stava costruendo un monitoraggio di progetto», ricorda l’ex ministro Barca. «Ma noi sappiamo che è possibile farlo, visto che esiste già lo strumento OpenCoesione (iniziativa di “governo aperto” messa a punto dal Dipartimento per le Politiche di Coesione della Presidenza del Consiglio, nrd)». 

A fine 2020 Legambiente, CittadinanzAttiva, Action Aid e Slow Food danno vita, insieme a decine di altre realtà, all’Osservatorio Civico sul Pnrr. E il 23 luglio 2021, dieci giorni dopo l’approvazione del Piano italiano da parte del Consiglio europeo, l’Osservatorio e il Forum Disuguaglianze e Diversità coordinato da Barca scrivono una lettera indirizzata all’allora premier Draghi e al ministro dell’Economia Franco.

«Chiediamo di conoscere con quali modalità, con quali tempi e con quali “iniziative di trasparenza e partecipazione” ci si prepari a dare attuazione agli impegni assunti in tema di monitoraggio», si legge nella missiva.

In mancanza di risultati concreti, lo scorso 30 novembre le stesse organizzazioni del mondo civico lanciano la campagna #ItaliaDomaniDatiOggi, inviando una seconda lettera – destinata questa volta al subentrato Governo Meloni – per invocare «un maggiore e costante impegno nel garantire trasparenza nella realizzazione del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza». 

In prima linea nel denunciare le omissioni sui dati del Pnrr c’è poi la fondazione indipendente Openpolis, ente non-profit che dal lontano 2006 svolge attività di data journalism «per favorire l’accesso alle informazioni pubbliche» (e che a sua volta aderisce all’Osservatorio Civico sul Pnrr).

Nell’ultimo anno Openpolis ha presentato ben due richieste formali di accesso civico agli atti per chiedere che vengano resi pubblici i dati sullo stato di avanzamento del Piano: la prima, ad aprile 2022, rivolta al Governo Draghi; la seconda, lo scorso febbraio, destinata al Governo Meloni. In entrambi i casi la risposta fornita dalla Ragioneria Generale dello Stato è stata molto simile a un No: «Si fa presente che i dati al momento disponibili sono già pubblicati sul portale ItaliaDomani».

«Peccato che non è vero», fa notare Luca Dal Poggetto, analista politico di Openpolis. «La risposta della Ragioneria è smentita dalla relazione della Corte dei Conti, che censisce 134mila progetti quando invece su ItaliaDomani ve ne sono appena poco più di 5mila».

Non solo: «Nella risposta alla nostra seconda richiesta di accesso agli atti, la stessa Ragioneria si contraddice: dice che “sono in corso operazione di consolidamento dei dati aggiornati”, così confermando che i dati ci sono ma sono in attesa del via libera del governo per pubblicarli».

Lo scorso 3 aprile, quindi, Openpolis ha presentato richiesta di riesame: «Crediamo fermamente che l’accesso a questi dati sia fondamentale per la società civile, per i giornalisti e per tutti i cittadini. Per portare avanti attività di monitoraggio civico e informazione, per limitare i rischi di corruzione e di cattiva gestione delle risorse», sottolinea la fondazione.

«Ad oggi non c’è un monitoraggio costante che dia conto dello stato di avanzamento delle singole misure e delle relative scadenze», riprende il filo Dal Poggetto. «Mancano i dati sui costi dei progetti, sulle ditte appaltatrici, sull’avvio dei lavori… Noi di Openpolis proviamo a tenere monitorata la situazione, ma in assenza di un’unica banca dati siamo costretti a barcamenarci con grande sforzo fra i portali dei ministeri, la Gazzetta Ufficiale e altre fonti istituzionali».

«Il Governo dovrebbe rendere pubblici i dati che sono caricati su ReGis per dare la possibilità a chiunque lo voglia di fare analisi per valutare l’impatto del Piano. Il fatto che non siano stati pubblicati – conclude l’analista – è senza dubbio una scelta politica: a fronte delle difficoltà sul Pnrr, si evita di rendere noti dei dati che potrebbero rendere ancora più evidenti quelle difficoltà».

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