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Home » Politica

Energia, migranti, sviluppo: il Piano Mattei annunciato da Giorgia Meloni non esiste

Immagine di copertina
Credit: Agf

Forse sarà annunciato a ottobre, ma è un anno che Giorgia Meloni ne parla. L’ormai noto “Piano Mattei” è famoso soprattutto perché (ancora) non esiste. Tutto ciò che sappiamo è stato annunciato dalla stessa Presidente del Consiglio. I propositi sono chiari e nobili: se i Paesi africani da cui provengono o dove transitano i migranti aumentassero il proprio grado di sviluppo, i flussi dovrebbero interrompersi. A tale scopo serve un piano di investimenti per promuovere la crescita di questi Stati e, perché no, con l’occasione ottenere quelle risorse, in primis energetiche, necessarie ad alimentare la nostra economia. Insomma, chiudere il rubinetto dei migranti e aprire quelli di gas, petrolio e altre materie prime. A vantaggio di tutti.

«L’Italia vuole contribuire a creare un modello di cooperazione, capace di collaborare con le Nazioni africane. Una cooperazione da pari a pari», ha annunciato Meloni il 20 settembre all’Onu. «E così, offrire un’alternativa seria al fenomeno della migrazione di massa, un’alternativa fatta di lavoro, formazione, opportunità nelle nazioni di provenienza». Un sogno, o quasi, ma molto simile a quello della personalità da cui prende il nome. «Enrico Mattei, un grande italiano che sapeva conciliare l’interesse nazionale italiano con il diritto degli Stati partner a conoscere una stagione di sviluppo e progresso».

Non è un caso che il Piano Mattei sia stato dedicato al fondatore di Eni, anche perché il tema centrale di tutta l’iniziativa sembra essere proprio l’energia. A rivelarlo è la stessa premier nel suo libro-intervista con Alessandro Sallusti, “La versione di Giorgia”: l’obiettivo, secondo Meloni, è «investire in Africa sulla produzione di energia, che vuol dire sviluppo per loro e autonomia energetica per entrambi». Il tutto, a detta della premier, per far diventare l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo e per tutta l’Europa. «Una scelta strategica per noi, che diventiamo lo snodo di tutto». Tranne dei migranti, ovviamente.

Il problema è che l’Italia investe già molto in questo senso ma il tanto sperato sviluppo in Africa non s’è visto. Tra il 2013 e il 2021, secondo Sace, l’agenzia di credito controllata dal Mef, lo Stato ha sostenuto 27 progetti in Africa emettendo circa 7,2 miliardi di euro sotto forma di assicurazione del credito, finanziamenti diretti, fideiussioni o altre garanzie. Tra questi figura lo sviluppo di un giacimento di gas in Mozambico gestito da Eni (1,6 miliardi), la costruzione della più grande raffineria africana in Nigeria da parte del gruppo locale Dangote (300 milioni) e di tre dighe in Kenya (altri 300 milioni con la partecipazione di banche e imprese italiane). I fondi hanno finanziato i singoli progetti ma le annunciate iniziative per lo sviluppo locale non sono mai state completate, alimentando il sospetto che non sia un problema di risorse.

Ad ogni modo, per quanto riguarda la cooperazione, il nostro Paese è già tra i più impegnati al mondo, anche senza il Piano Mattei. Nel 2021, ultimo dato disponibile secondo Openpolis, l’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia era pari allo 0,29% del reddito nazionale lordo, circa 5,145 miliardi di euro, in aumento del 36% annuo, il maggior incremento tra gli Stati del Comitato per l’assistenza allo sviluppo dell’Ocse. Meloni cerca comunque sponde all’estero, non solo in Africa, ma soprattutto in Europa e all’Onu per trovare le ingentissime risorse necessarie a raggiungere obiettivi così ambiziosi.

Il punto però è a chi andranno i fondi del Piano Mattei perché, come ammette anche la premier, spesso si tratta «di Paesi instabili o governati da personalità che non dimostrano interesse per lo sviluppo della loro collettività». «Ma per questo serve portare investimenti strategici: perché se è vero che la democrazia porta sviluppo, è vero anche il contrario». Purtroppo molti esempi, Cina in primis, dimostrano che non è sempre così.

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