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Tutti i motivi per cui, sì, Giuseppe Conte è un burattino

Immagine di copertina
Credit: Alberto PIZZOLI / AFP

È il ruolo che gli hanno affidato e che in realtà non esiste: un tappabuchi nel "rigagnolo" di veleno tra M5S e Lega. E Verhofstadt, l'eurodeputato che lo ha attaccato, tecnicamente ci rappresenta di più

Sì. Tecnicamente Giuseppe Conte è un burattino. Un burattino nel suo senso figurativo ben scritto dalla Treccani di “persona che opera per impulso altrui”. E spiace per i sovranisti de’ noialtri o per gli ultimi innamorati del rispetto istituzionale (quelli secondo cui Mattarella era meglio che morisse al posto del fratello oppure quelli che con la bandiera italiana ci si pulivano il culo e tutta quell’altra masnada di disperati che hanno contribuito a questo odore fecale del dibattito politico negli ultimi vent’anni sdoganando l’offesa personale come arma di stillicidio per inferocire le stesse folle da cui finiranno divorati).

Giuseppe Conte è un burattino perché è stato preso dal nulla, estratto da un cilindro di cui ancora adesso non si conosce bene l’appartenenza (una presunta conoscenza con Di Maio è l’unico dato a nostra disposizione), perché ha pompato il proprio curriculum evidentemente cosciente di non avere i numeri e la storia per provocare da solo un buon impatto istituzionale, e poi è stato un “non scelto”.

Giuseppe Conte, vale la pena ricordarlo, è presidente del Consiglio perché né Luigi Di Maio né Matteo Salvini hanno voluto che l’altro facesse il premier. Vi è chiaro? È stato scelto per togliere il posto a qualcuno, come funziona negli screzi tra fidanzati che si stanno per mollarsi, come si usa tra bambini che non vogliono mollare in qualche disputa durante l’intervallo. Conte è stato partorito così.

E poi è un burattino per il ruolo che gli hanno affidato e che in realtà non esiste: dovrebbe essere garante di un contratto di governo che non ha nulla a che vedere con il governare un Paese, dove le situazioni si evolvono, la scala delle emergenze e l’agenda delle priorità si capovolgono. E, volendo bene vedere, la sua opera di garanzia su Quota 100 e reddito di cittadinanza non sembra che stia dando grandi frutti.

Per non parlare della Tav, quello è un disastro annunciato in cui l’avvocato del popolo Giuseppe Conte potrà al massimo ramazzare i cocci fingendo che gli vada bene così.

Giuseppe Conte è un burattino perché dovrebbe essere la rappresentazione plastica del “in medio stat virtus” e invece in mezzo a Lega e Movimento 5 Stelle ora c’è il vuoto, al massimo un rigagnolo di veleno e quindi il nostro benamato presidente del Consiglio sta facendo la fine di un Caronte che finge di portarci in crociera.

Giuseppe Conte è un burattino dal momento in cui ha deciso di farsi commissariare da un addetto stampa, uomo diretto da Casaleggio, come se fosse un ebete che è stato buttato nel mucchio.

Giuseppe Conte è un burattino ogni volta che convoca un Consiglio dei ministri (sì, quello di cui dovrebbe essere autorevole presidente) e il suo vicepremier gli dice che preferisce vedersi la partita del Milan oppure l’altro non si presenta perché è rimasto abbattuto dal risultato di qualche elezione regionale.

Giuseppe Conte è un burattino perché a livello internazionale viene usato come tappabuchi, spende la stragrande maggioranza delle proprie energie a incerottare le cagate dette da Salvini e compagnia e insiste ancora nel vedere “l’Italia non isolata in Europa” quando siamo diventati lo zimbello del continente.

E poi, a ben vedere, come ha giustamente fatto notare Luca Sofri, Verhofstadt è più “rappresentante” di Giuseppe Conte, essendo politico eletto in Parlamento europeo. Quindi in un nostro Parlamento. E non attacca la storia “anche Renzi non lo ha eletto nessuno”: dirci che lo facevano anche gli altri non annulla gli errori riproposti pari pari. Non siamo all’asilo.

In conclusione, per tutti quelli che si scoprono improvvisamente nazionalisti vale la pena riprendere un tweet del solito smemorato Salvini che il 19 marzo del 2017 scriveva “I burattini che sfileranno a Roma” riferendosi a Merkel, Hollande e Gentiloni. Direi che basta, no?

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