[Retroscena] – Nel Pd è saltato l’asse Zingaretti-Franceschini: ora il governo rischia davvero
Allarme rosso a Palazzo Chigi. Mai come in queste ore la maggioranza giallorossa è stata a rischio crack. Mai come in queste ore sull’asse Roma-Genova l’alleanza di governo ha rischiato il tracollo sotto la doppia pressione congiunta delle regionali e delle concessioni di Autostrade. Non solo. Per la prima volta – per motivi che vedremo tra breve – appare meno saldo l’asse tra Franceschini e Zingaretti, uno dei cardini decisivi su cui nacque, nell’estate scorsa, il governo.
Bisogna partire dal caso Genova e, ancora prima, da una chiacchierata rivelatrice di tre giorni fa, in cui Matteo Renzi si è lasciato sfuggire una frase emblematica. L’occasione era conviviale. L’ex sindaco di Firenze era circondato da un capannello di amici, compagni di viaggio, collaboratori parlamentari del suo movimento. Forse anche perché invogliato da questo clima “amico” e informale Matteo Renzi non ha resistito al fascino della battuta paradossale, ma nemmeno troppo: “Vedrete che alla fine riusciremo nell’obiettivo di far perdere il Pd in quasi tutte le regionali! Ah ah ah”.
C’è questa intenzione, neanche troppo celata dietro il sarcasmo, alla radice dello strappo che Italia Viva ha celebrato con clamore (un caso su tutti, la Puglia). Iv si sta di fatto allontanando dalla coalizione di governo sui territori. Una scelta che non si può più definire occasionale alla luce di quanto è già accaduto passato (nemmeno in Emilia Renzi fece la lista per Bonaccini, limitandosi ad autorizzare persone a lui vicine a correre nelle liste), ma anche del futuro, ad esempio in Liguria, dove la scelta decisa di Nicola Zingaretti a favore della candidatura “civica” di Ferruccio Sansa, produrrà quasi sicuramente un altro strappo dei Renziani. Una strategia, quella di Iv, che ha fatto proferire a Gianni Cuperlo una delle sue battute più lucide e paradossali: “Italia Viva segue questo metodo: si allea con il centrosinistra solo dove è sicura di vincere. E dove non ha questa certezza, invece, corre da sola per provare a prendersi la paternità della sconfitta che non vuole rischiare: metodo Renzi”.
Ed ecco lo scenario: Renzi, per ora, è convintamente in maggioranza soltanto in Toscana, le Marche sono ancora in alto mare, in Campania e Puglia – dove ci sono già in pista Michele Emiliano e Vincenzo De Luca – l’ex premier dichiara l’intenzione esplicita di far perdere con suoi candidati “di disturbo” (a turno unico basterebbe poco), e presto – come abbiamo visto – sarà cosi anche in Liguria. Per la sfida a Giovanni Toti la leadership del Pd, dopo tanti conflitti con i vertici del partito genovese, ha forzato a favore dell’uomo che i sondaggi indicano come meno lontano dalla vittoria. Una partita difficile che, già così, parte 60% a 40% secondo molti istituti, con il miglior possibile sfidante che, come abbiamo visto, è il giornalista de Il Fatto, Ferruccio Sansa.
Un altro paradosso. Perché Sansa, che viene dal mondo largo del grillismo, invece era stato voluto dai vertici nazionali Dem: ed era stato il catalizzatore del dissenso (“se c’è lui non ci siamo noi”) di tutti gli scontenti. Chi? Ma i renziani, ovviamente. Fra l’altro l’ex sindaco di Firenze tifa Joe Biden perché, contando sui buoni legami con i democratici americani spera in un incarico internazionale di rango fra Nato e Onu.
Detto questo, oltre alle imboscate di Italia Viva, emergono in questa vicenda anche altri dissidi meno visibili ma molto profondi: il Pd genovese, per dire, ha provato fino all’ultimo, quasi incredibilmente, ad opporsi con ogni mezzo al suo segretario sulla scelta di Sansa.
E altri dissensi sono emersi ieri nella riunione-fiume del Consiglio dei ministri sulla vicenda delle concessioni di Autostrade. Da un lato operava l’asse tra Zingaretti e il premier Giuseppe Conte (favorevoli alla linea più dura), dall’altro il vasto fronte degli scettici che, oltre alla capogruppo di Italia Viva Teresa Bellanova (come volevasi dimostrare), poteva contare anche su diversi renziani del Pd, e persino su Dario Franceschini e su alcuni uomini a lui vicini.
Conte e Zingaretti sembrano convinti di dover imprimere un cambio di marcia, proprio a partire dalla vicenda di Atlantia. Mentre Franceschini – in queste ore – sembra più preoccupato di un equilibrio per così dire “conservativo”, per non turbare i rapporti di forza strutturati durante il Covid.
Ma dietro questa divisione tra chi vuole il cambio di passo e chi non vuole farlo, ci sono anche le grandi manovre che si agitano fuori dal perimetro del parlamento. Carlo Calenda, l’unico che non nasconde questo intento lo spiega così: “Se Forza Italia entrasse dentro il governo si otterrebbe un risultato perfetto. Perché si spaccherebbe il Movimento 5 Stelle tra le due anime del Movimento, una parte uscirebbe fuori e andrebbe all’opposizione, e persone come me si ritroverebbero al centro di un nuovo equilibrio di coalizione tra ex M5s riformisti, Pd e i soccorritori azzurri”.
Ipotesi? Mica tanto, se è vero che a favore di questo terremoto si iscrivono i pareri favorevoli (e pesanti) di opinion leader importanti come Romano Prodi e Carlo De Benedetti. Uomini che non controllano eserciti, ma che influenzano i media e l’elettorato vasto della sinistra.
Il governo Conte, tuttavia, al di là dei sogni neo-inciucisti, porta a casa un risultato importante su Atlantia: i Benetton per salvare la quota accettano di scendere al 10% e di perdere ogni controllo esecutivo. Un risultato impensabile, anche solo un mese fa. Ma saranno abbastanza lucidi da farlo avvertire ai loro elettori come un successo?
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