Renzi o sinistra: il Pd deve scegliere, una volta per tutte. Solo così può rinascere
L'ex premier non è candidato alle primarie ma il suo fantasma continua ad aleggiare sul partito. Se il Pd vuole tornare a fare politica e opposizione deve prendere una strada chiara: o si renzizza del tutto o rifonda la sua identità sulla sinistra
Cosa deve fare il Pd per uscire dal suo attuale stato di letargo politico e per tornare a fare una vera opposizione? Ritrovare una identità, scegliendo tra due strade. Pensateci solo per un attimo: gli arresti domiciliari per papà Tiziano e Mamma Lalla sono un evento shock. Pongono un problema non solo per Matteo Renzi, ma segnano un annozero anche per tutto il partito. È il segnale che in mezzo al guado non si può restare e che stavolta i conti vanno fatti alla luce del sole.
Bisogna che nel partito si smetta di raccontarsi frottole amene. Non è il simpatico Maurizio Martina – infatti – il vero avversario di Nicola Zingaretti. Ma l’ex presidente del Consiglio. Non è l’ottimo Roberto Giachetti – guerrigliero per perfetto digiuni e battaglie radicali – ma è sempre Matteo, il reale antagonista del governatore del Lazio.
Ed è vero che Renzi inspiegabilmente non è candidato alla leadership, ma è altrettanto innegabile il suo fantasma continui ad incombere sul partito, persino attraverso gli echi e le indirette ricadute di immagine di questa inchiesta. Basta pensare alla imbarazzatissima “solidarietà umana” dichiarata da Zingaretti a Renzi alla notizia degli arresti e alle parole (obbligate) di ieri contro le accuse di “giustizia ad orologeria” rivolte da Matteo ai pm.
Quindi, sia se vi trovate nelle schiera di quelli che amano follemente l’uomo di Rignano, sia se vi trovate in quella di coloro che lo detestano, non c’è ombra di dubbio che oggi ci siano due Pd diversi ed opposti in conflitto tra di loro. Uno è quello che vuole restare in continuità con il renzismo. E l’altro è quello che sta provando a nascere in discontinuità con la storia del Giglio magico e dei Leopoldini.
Non è un caso, dunque, che questo conflitto reale, addirittura antropologico e inevitabile, deflagri proprio ora, e proprio sull’inchiesta e sul tema cruciale della “Questione morale”, prima ancora che sulle primarie più depressive che si ricordino nella storia del partito.
Questa cortocircuito si verifica proprio perché uno dei due contendenti in quella sfida non è in campo, ma le sue idee ci sono rimaste. E si celebra, anche, perché gli altri contendenti non rappresentano efficacemente la sua posizione: sono controfigure.
Maurizio Martina solo dodici mesi fa era il principale avversario dell’ex presidente del Consiglio: oggi con una giravolta spettacolare è diventato il candidato dei renziani di potere- da Guerini a Lotti – che come camaleonti si sono acquattati con furbizia nella sua mozione. Con che credibilità Martina chiude questa operazione?
Si tratta di una persona onesta, simpatica, ma in questa vicenda di struggente crepuscolo leaderistico ha fatto così tante sterzate, da non ricordarsi più nemmeno lui cosa vuole fare. Dopo il 4 marzo Martina, che era leader del Pd, stava chiudendo una alleanza politica con Luigi Di Maio (era solo pochi mesi fa!), fu fermato dalla famosa esternazione di Renzi a Che tempo che fa (“Non lo permetterò!”). Adesso sostiene la posizione esattamente opposta. Lo fa per tattica politica e per tenere insieme la su squadra, si capisce: ma è di tatticismo che il Pd sta rischiando di morire.
Quanto a Roberto Giachetti e Anna Ascani: hanno fatto un mezzo miracolo nelle primarie degli iscritti, hanno conquistato il ballottaggio, si sono presentati in poche ore, fanno una campagna dritta e chiara, all’insegna della nostalgia. Ma alla fine il loro progetto politico è favorire il ritorno di Renzi, come fanno gli apostoli con il loro profeta.
Quindi tra tatticisti scaltri, cloni inconsapevoli ed esegeti crepuscolari, se il Pd vuole tornare a fare politica, se vuole fare una opposizione che non sia declamazione ombelicale, autoreferenziale, e nostalgica deve scegliere: o Renzi, e la continuità con la sua idea politica, o Zingaretti, e la depurazione dal dna Leopoldino geneticamente modificato. O Il Pd si renzizza del tutto, e diventa il cardine di una alleanza con Forza Italia, nel segno della rappresentanza dell’establishment, o prova a recuperare il popolo della sinistra rifondando una nuova identità e una nuova coalizione degna di questo nome.
Se non altro perché la “vocazione maggioritaria” di un Pd che sia autosufficiente non esiste più. Una terza strada non c’è. Se devi costruire una nuova coalizione, infatti, non puoi avere continue ricadute di nostalgia per il patto del Nazareno.
Ma come si fa l’opposizione ai gialloverdi? Non certo con il referendum demenziale contro il reddito di cittadinanza (ventilato ancora in queste ore). Non certo facendo opposizione “da destra” ad un governo di destra. Non certo dicendo con un sospiro “Era meglio il Rei!” (che ha assistito 225mila persone e costava due miliardi) rispetto Reddito di Cittadinanza (che al milione e 375 mila persone e costa sei miliardi).
Non puoi dire a uno che sta salendo su una Tesla: “Era meglio il triciclo!”. Come si difendono i diritti civili? Pensate per un attimo allo sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto. Matteo Salvini aveva già annunciato che sarebbe andato a raccogliere applausi davanti a quei cancelli, ma all’ultimo momento ha cancellato la sua partecipazione. Come mai? Perché lì davanti, a protestare, c’erano le famiglie dei compagni di scuola dei bambini immigrati. C’era – cioè – una bellissima rivolta di società civile. Tuttavia non c’erano i leader del Pd. C’era persino la deputata di Leu Rossella Muroni, a fermare con una mano il pullman che portava via i migranti, con una immagine che è diventata simbolo: ma non c’erano i leader del Pd.
Pensate al clamoroso raid con cui due deputati hanno infranto il blocco imposto di Salvini sulla Sea Watch: c’erano il leader di sinistra italiana Nicola Fratoianni e addirittura una deputata di Forza Italia come Stefania Prestigiacomo (“Non potevo assistere indifferente a uno spettacolo che avveniva alle porte di casa mia”), sulla lancia che è sbarcata a bordo. Ma non c’erano leader (o aspiranti leader) del Pd.
Pensate alla protesta delle famiglie italiane contro la discriminazione nella mensa a Lodi: anche lì non c’era un leader, o un volto di prima fila del mondo Dem. Il perché è facile da capire.
Il partito è chiuso in un dibattito che è avvitato su se stesso, e non è nei luoghi dove si fa l’opposizione. Nella scorsa legislatura il Salvini di opposizione era ovunque: davanti a casa della Fornero, davanti alla casetta prefabbricata della terremotata nonna Peppa (minacciata di sgombero), nelle periferie incendiate dalla rabbia.
L’opposizione – ovviamente – si fa andando nei luoghi, non cinguettando su Twitter. Ecco perché il problema non è il merito dell’inchiesta giudiziaria (ovvero se Babbo Tiziano e mamma Lalla siamo colpevoli o no), ma i simboli che questa inchiesta evoca. La questione morale è stata l’ultima grande battaglia politica di Enrico Berlinguer, è stata il simbolo della rivolta contro il pentapartito ai tempi di Mani pulite, è stato il punto di discrimine con la battaglia anti-magistrati di Silvio Berlusconi.
Per l’elettorato azzurro i proclami auto-vittimistici sono da sempre miele. Per l’elettorato progressista sono da sempre veleno. L’inchiesta di Rignano e l’arresto dei due “poveri pensionati settantenni” ricordano al Pd che deve scegliere tra due narrazioni. E deve prendere atto che non è più autosufficiente a se stesso: se non altro perché ha solo il 18 per cento dei voti [qui gli ultimi sondaggi].
Questo partito deve dire come vuole cambiare la Fornero, se vuole cambiare la Fornero, o spiegare come la vuole tenere se (come dicono Renzi e Padoan) la vuole tenere. Perché mentre i leader candidati non dicono nulla sulle pensioni, 400mila persone aderiscono a Quota 100 e smettono di lavorare. E nessuno può ignorare che fra questi ci sono migliaia di elettori o ex elettori del centrosinistra, che fino a ieri avevano un problema (ignorato) e adesso hanno trovato chi glielo risolve.
Il punto non è perdere altri voti, ma capire come recuperare quei 2,5 milioni di elettori che alle ultime politiche hanno lasciato il Pd per votare gialli o verdi. Ed è – anche – capire, che in questo momento il governo che litiga ogni giorno capitalizza i suoi consensi perché l’opposizione se la fa da solo. Se sei politicamente corretto, assente, e avvitato su te stesso, non fai opposizione: sei solo un soprammobile inutile nel terremoto della crisi italiana. E chi vince il 3 marzo non porta a casa nulla.