Dilemma Ursula: tradire Conte e riaprire a Renzi può spaccare l’alleanza tra Pd e M5s?
Sempre più voci tra i dem, ma anche tra i grillini, chiedono di riaprire il dialogo con Renzi: sullo sfondo c'è l'ipotesi di una maggioranza Ursula che garantirebbe la sopravvivenza della legislatura. Ma che solleverebbe molti dubbi su una futura alleanza strutturale tra Pd e M5s guidata proprio da Conte
Un uomo solo al comando. Non più inteso però come dominus dell’esecutivo, bensì come premier ancora in sella ma sempre più isolato. Man mano che passano le ore, il complesso scultoreo di una maggioranza (o quel che ne resta) compatta attorno al suo condottiero va infatti sgretolandosi. All’arroccamento sta subentrando la ragion di stato, o per meglio dire l’istinto di auto-conservazione.
Così, si moltiplicano dentro al Pd e ai Cinque Stelle le voci di chi invoca la riapertura del dialogo con Italia Viva. La caccia ai responsabili è una traversata nel deserto, il progetto contiano di sostituire una gamba della maggioranza con un’altra si è rivelato una pia illusione di autosufficienza politica.
E allora i soldati hanno iniziato a uscire dalla trincea: nel Partito Democratico ad aver abbandonato la linea dell’intransigenza sono ormai in molti. In prima fila ci sono gli ex renziani, che come prevedibile fanno da pontieri per la riapertura del dialogo. C’è il sindaco di Firenze Dario Nardella, che di Renzi è stato il delfino, Tommaso Nannicini, che dell’ex premier e segretario dem era consigliere economico. C’è Giorgio Gori, da sempre affine per cultura politica all’ex rottamatore. “Serve una maggioranza Ursula, un Conte ter allargato, un rilancio, un perdono”, declamano i dialogatori in ordine sparso.
Sulla barca, se il progetto andasse in porto, tornerebbero i renziani ma salirebbero anche pezzi di Forza Italia. Con un’inevitabile spostamento al centro (o a destra?) dell’asse della maggioranza. Ammiccano a questa ipotesi anche i grossi calibri dem: dal ministro Francesco Boccia al capogruppo alla Camera Graziano Del Rio. Chiedono un “passo indietro” di Renzi, un ravvedimento, sapendo che l’invito è pronto ad essere accolto.
Del resto, il passaggio di Conte al Quirinale sembra ormai improcrastinabile: troppo rischioso sfidare di nuovo il pallottoliere di Palazzo Madama, incosciente pensare di immolare la legislatura sull’altare della riforma Bonafede. Il pressing sul premier affinché si dimetta è ormai asfissiante: dopo, si aprirà la partita della nuova maggioranza. Il gruzzolo di responsabili, quand’anche si rimpolpasse, non basta. La strada per l’avvocato pugliese sembra quindi segnata: nuovo esecutivo, patto di legislatura, possibile pax con Italia Viva, ingresso di forze politiche come Azione e +Europa.
Se nell’immediato il vantaggio potenziale sarebbe quello di spaccare un pezzetto di opposizione, con esponenti di Forza Italia pronti a salire sul carro, nel medio-lungo periodo l’operazione avrebbe un significato politico ben più complesso da decodificare. Lo spostamento al centro dell’asse di maggioranza aprirebbe infatti delle crepe nel progetto di alleanza strutturale Pd-M5s: un polo di centrosinistra con Conte alla guida, pronto a sfidare in uno schema nuovamente bipolare la controparte sovranista.
Ma se passasse il modello Ursula, il programma di fine legislatura verrebbe inerzialmente spinto verso il centro e le alchimie politiche, anche in vista delle prossime elezioni, potrebbero cambiare, con un Movimento Cinque Stelle marginalizzato e un Pd disposto a riconsiderare una vocazione più moderata.
Anche per questo, secondo alcuni commentatori, proprio tra i dem c’è chi in queste ore sarebbe pronto a incatenarsi per Conte: non perché ritenga il premier una figura politicamente insostituibile, ma proprio perché lo considera (e solo nel perimetro dell’attuale maggioranza) il collante di un progetto politico di sinistra-sinistra, garante di un’alleanza duratura e potenzialmente vincente coi Cinque Stelle che rifugga una volta per tutte le tentazioni centriste.
Si tratterebbe, in sostanza, di quei pezzi di partito provenienti dalla cultura ex PCI, che mai hanno digerito Renzi e che ora inorridiscono all’idea che, defenestrando Conte o passando a una maggioranza Ursula, i Cinque Stelle possano sbiadire del tutto e il Pd essere risucchiato nell’indistinzione ideologica centrista. Meglio un voto oggi, ma compatti, o la fine di un progetto politico domani?
In tutto questo, c’è però anche una variabile impazzita: i pentastellati alla Carelli o alla Giorgio Trizzino, che in aperta ostilità alla linea Dibba e a quella del grillismo di lotta aprono anche loro a una mediazione con Renzi. Retroscena politici di queste ore ipotizzano che si tratti della prima linea dietro alla quale si nasconderebbe nientemeno che Di Maio, pronto a disfarsi di Conte per salire a Palazzo Chigi, forte dell’appoggio di Italia Viva.
Un ribaltamento totale dello schema, un’alleanza più spuria che mai tra culture politiche agli antipodi, alimentata solo da un misto di istinto di sopravvivenza e sete di potere, ma verosimilmente priva di uno sbocco politico di lunga durata e destinata, se andasse in porto, a svuotare dall’interno tanto il progetto centrista quanto quello di sinistra-sinistra. Una soluzione di brevissimo respiro a cui Salvini e Meloni, verosimilmente, brinderebbero, e che aprirebbe la strada a un monocolore sovranista al prossimo giro di giostra.
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