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Pd in crisi di identità nella direzione post sconfitta: “Ricostruiremo stando all’opposizione” | VIDEO

Un partito maschilista e lontano dagli ultimi: questo il ritratto che il Pd fa di se stesso durante la direzione nazionale organizzata giovedì 6 ottobre per analizzare la sconfitta elettorale. 10 ore di autoanalisi e interventi, mea culpa, nervosismi e recriminazioni, messaggi indulgenti verso il segretario Enrico Letta e le scelte prese negli ultimi due anni e attacchi alla dirigenza per un risultato che secondo alcuni è il peggiore della storia. Tra le responsabilità principali del Pd, quella di aver perso il rapporto con il Paese, non essersi intestato le battaglie portate avanti durante la pandemia per mettere l’Italia in sicurezza, aver bruciato le candidature femminili nelle liste bloccate finendo per eleggere il 70 per cento di parlamentari uomini, aver sacrificato l’identità sull’altare delle alleanze, allontanandosi dalle fasce più deboli della popolazione.

Oggi gli elettori non credono più che possa essere il Pd ad attuare misure di sostegno agli ultimi perché il partito non le ha difese pur stando al governo. “È chiaro che se stai al governo 10 anni degli ultimi 16 e ti presenti dicendo di volere il salario minimo, il primo che si alza e dice: ‘Non potevate farlo in questi 10 anni?’ non ha tutti i torti e pone una questione di credibilità”, ammette a Tpi Gianni Cuperlo. La soluzione ovvia e scontata, ora, è quella di portare a termine il ruolo che il 19 per cento della popolazione ha affidato al partito: stare all’opposizione. Vietato sciogliersi, anche perché, ricorda Antonio Misiani, “si sta per insidiare il governo più a destra della storia della Repubblica”, ed è, ancora una volta, la responsabilità verso il Paese, il cordone di sicurezza nell’ennesima fase di emergenza che chiama i dem ad andare avanti cercando, dall’opposizione, di ridefinirsi.

Togliendosi il doppio petto, riallacciando i legami perduti. “L’identità non è una cosa astratta, è legata alle cose che fai. Noi non assomigliavamo a quello che dicevamo”, è il mea culpa del vicesegretario Beppe Provenzano. Tra i più intransigenti nei confronti del gruppo dirigente e delle scelte prese in campagna elettorale, il deputato Matteo Orfini, che alle critiche di maschilismo mosse al partito dalla presidente Valentina Cuppi – sindaca di Marzabotto candidata al terzo posto nel listino del proporzionale a Bologna, ma non eletta alla Camera – risponde incolpando la stessa Cuppi di non essersi accorta prima dello sbilanciamento di genere e non aver fatto nulla pur essendo “un pezzo da 90”.

“Chi ha fatto le liste si doveva accorgere prima che le donne non sarebbero state elette”, afferma l’ex presidente. “Il gruppo dirigente di cui Cuppi faceva parte si doveva accorgere che prima di lei era candidato il responsabile organizzazione del Pd, evidentemente hanno ritenuto più importante candidare lui e non la presidente”, spiega. Resta sullo sfondo la corsa alle primarie, che stando ai tempi dettati da Enrico Letta dovranno concludersi entro l’inverno per far ripartire la nuova segreteria in primavera, a marzo. Primarie che “non saranno un X Factor”, è il ritornello sulle bocche di tutti.

Stefano Bonaccini, tra i candidati sicuri, non ufficializza la corsa, non interviene e lascia la riunione prima di pranzo perché, fanno sapere fonti del suo staff “ha un impegno in Emilia Romagna”, ma con la linea dettata dal segretario uscente ci sarebbe “piena sintonia”. La candidatura è certa, per ora però mantiene un profilo basso. È Paola De Micheli, invece, a confermare la scelta di proporsi come candidata ai cronisti, “perché ho la grinta per cambiare il Pd”, dice a Tpi. Ma anche lei appartiene alla vecchia guardia. 

 

 

 

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