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Home » Politica

Paola De Micheli a TPI: “Schlein sbaglia a non ascoltare tutti”

Immagine di copertina
Credit: AGF

“Non possiamo continuare a rinviare il chiarimento sull’identità del partito. Schlein deve fare una sintesi che valorizzi le differenze"

Cosa succede nel Pd?
«Non succede nulla. Nulla di nuovo, perlomeno». 

Come, nulla? È partita la consueta operazione di caccia al tordo…
«No. Semplicemente siamo in attesa di capire quali siano le intenzioni della segretaria, sia sul profilo politico del partito sia sul tema delle alleanze». 

Cioè?
«La scorsa settimana ci sono state prove tecniche di avvicinamento al M5S. È vero che nel breve periodo riguarderà solo alleanze locali, viste le prossime scadenze elettorali, sino alle europee. Ed è anche comprensibile che io non sia affatto contraria, tutt’altro, in coerenza con la mia storia politica. Ma…».

Ma?
«Ma mi pare che si debba definire con chiarezza in che modalità, con quali forme, con che tipo di egemonia e guida quest’alleanza debba essere realizzata. Dobbiamo capire quali siano le intenzioni di questo rinnovato dialogo». 

Quali dovrebbero essere?
«Mi aspetto che il Pd mantenga una posizione culturalmente egemone, capofila della coalizione. Anzi, che ne sia la solida guida». 

Insomma, anche lei si lamenta del nuovo corso?
«No, ci sono alcuni segnali confortanti. La discussione che stiamo realizzando sulle politiche industriali, del lavoro e infrastrutturali, in seno ai gruppi parlamentari e con il contributo delle Regioni e del sindacato. Poi siamo in attesa di comprendere quali siano i contenuti del “piano estivo, l’estate militante” che la segretaria Schlein ha lanciato».

Non sfugga: ultimamente non c’è sintonia tra la segretaria e gli apparati del partito.
«Beh, forse perché l’apparato del partito non esiste da quel dì…».

Sarò più preciso: non c’è sintonia tra la Schlein e i tre gruppi parlamentari. Dal voto al Parlamento Ue sui fondi per le armi, alla posizione sulla Gpa, al termovalorizzatore di Roma…
«Non me ne stupisco. È solo la conferma di ciò che si è generato al Congresso con gli iscritti che hanno votato per Bonaccini e gli elettori per la Schlein. È la prima volta che accade, per questo, ogni volta che posso, chiedo di lavorare per sanare questa anomalia». 

Come?
«Aprendo una discussione sull’identità del Pd. Fare una sintesi che valorizzi le differenze è una responsabilità della segretaria, ovviamente».

Sia concreta.
«Lo sono. Non è un caso che continui a suggerire di aprire un vero percorso costituente, identitario, di approfondimento, dentro e fuori il partito. Ma questa non è una novità…». 

Cioè?
«Non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole. Quando Zingaretti fu eletto alla segreteria (dagli iscritti e dagli elettori, con una maggioranza del 67%), i gruppi parlamentari erano stati scelti da Renzi ed erano frutto di quella storia. Io ero vicesegretaria di Zingaretti e ben ricordo che ogni volta che le sensibilità dei gruppi e della segreteria non collimavano, Zingaretti si assumeva l’onere di fare sintesi. Sarebbe stato curioso il contrario, se una segretaria espressa da una base diversa da quella che ha formato i gruppi, fosse stata concorde a questa su ogni tema. È tutto normale, mi creda».

Beh, sarebbe più normale che i gruppi parlamentari si adeguino alla volontà del partito, no?
«Non è mai successo». 

Quando fu costituito il Pd, sarebbe stato più utile mantenere un rapporto dialettico (e separato) con l’aerea politico-culturale del cattolicesimo democratico? Il famoso centro-sinistra col trattino, soprattutto se si pensa che il centro-destra enfatizza le peculiarità dei partiti che lo compongono.
«Mi permetta una precisazione: nel centrodestra ci sono profondi contrasti e alle prime difficoltà stanno venendo fuori. Per il momento, la presidente del Consiglio ha agito come “donna d’ordine” e li ha gestiti. Ma inevitabilmente le fratture iniziano a vedersi». 

Ciò precisato…
«Credo che l’intuizione del Pd, quella di tenere insieme le tradizioni del cattolicesimo democratico, del socialismo riformista e liberale e l’eredità della sinistra italiana sia assolutamente vincente. Il Pd è ancora la risposta a chi si sente di sinistra e ha un afflato sociale. Certo, c’è bisogno di una modernizzazione, io partirei dall’ispirazione del nuovo Umanesimo».

Riecco il tiro al tordo?
«Al contrario, io credo che questa modernizzazione possa molto bene essere rappresentata dalla figura di Elly Schlein. Ma c’è bisogno di quell’approfondimento di temi e identità cui alludevo. Sul nostro tavolo di lavoro ci sono questioni che arrivano dopo 16 anni, dei quali 10 trascorsi al governo e nei quali ci siamo fatti carico di responsabilità e di scelte spesso impopolari». 

Quindi?
«Non possiamo continuare a rinviare il momento del chiarimento e credere che solo la forza individuale delle singole leadership sia sufficiente. Sarebbe un errore. Per questo io insisto a parlare di modernizzazione del Pd. Le analisi di opinione ci dicono che ci sono 9 milioni di italiani che chiedono una politica progressista e riformista. I nostri voti, invece, sono 5,6 milioni. La grande modernità e novità della Schlein deve portare a recuperare quei 3.4 milioni di italiani. Con dialogo e proposte». 

Calenda e Renzi fanno parte di questa proposta o sono due corpi estranei?
«Renzi ha fatto scelte in contraddizione con la sua storia di segretario del Pd e di capo del governo, spostandosi su posizioni lontane dall’afflato sociale che lo caratterizzarono. Era proprio Renzi che propose le politiche sociali, adeguandole alle migliori pratiche europee, come segretario del Pd. Di queste fa parte una misura contro la povertà. Oggi, invece, si accontenta della cancellazione del Reddito di cittadinanza, solo per fare un esempio». 

Calenda?
«Vive un momento di confusione grandissima: da una parte tenere vivo il progetto di un terzo polo, se non più come un partito unico almeno come federazione di due partiti. Dall’altra una crisi di identità, che però non riguarderà lui solo, ma tutto il mondo moderato».

 Effetti della morte di Berlusconi?
«Sì, proprio così. Siamo in un’epoca in cui la durezza dei fatti che si pongono alla nostra attenzione, dalla guerra all’inflazione, richiedono radicalità e nettezza di posizioni. Un moderatismo del metodo politico, che caratterizza anche il Pd, non può essere confuso con un moderatismo nelle scelte di progetto. Siamo spalle al muro. La lotta alla povertà, le scelte economiche quando si è dentro una terribile crisi inflattiva, vanno aggredite con urgenza. I moderati avranno un percorso non semplice da affrontare, dopo la scomparsa del loro leader naturale, Berlusconi. Dovranno scegliere da che parte stare, non solo per la legge elettorale».

Quali sono, in questo radicalismo, i quattro capisaldi della segretaria del Pd Paola De Micheli?
«Beh, quella non c’è stata. Ma non è importante, ora. Io sono così innamorata della mia comunità e del Pd che voglio essere utile, comunque». 

Allora mi dica questi quattro punti.
«Uno: politiche del lavoro e industriali orientate alla transizione ambientale. Credo nella concretezza e nell’immediata applicabilità di un intervento pubblico su industria, trasporti e casa. Due: una scuola a tempo pieno per tutti. La scuola totale, dove si facciano quelle attività, come la musica, lo sport o il teatro che oggi le famiglie sono costrette a pagare. Ovviamente se se lo possono permettere. Poi la sanità. La sanità pubblica è fondamentale e dobbiamo ricominciare a fare investimenti su tecnologie, macchinari e ricerca per garantire servizi gratuiti e di qualità a tutti». 

E concludendo?
«Le politiche sociali: subito una nuova misura che contrasti la guerra che la Meloni sta facendo ai poveri. Io proposi un reddito universale, anche riorganizzando alcuni ammortizzatori sociali. Con un’agenda del genere per l’autunno, potremmo mettere la Meloni davanti alle sue responsabilità. Perché il centrodestra non ha una politica economica. Anzi, non ha una visione del Paese che si esprima con una politica economica seria ed efficace». 

Mi dica quale è il più grave errore di Elly Schlein.
«Non ascoltare tutti». 

E ora, ammetta una cosa buona fatta dalla Meloni.
«Ossignore! Non lo so, è troppo complicato. Ci vorrebbe moltissimo tempo. E non ne abbiamo». 

Ma non le sembra già un traguardo che ora intervistiamo una leader donna per chiederle di parlare di una segretaria donna e di una presidente del Consiglio donna?
«Sì. Un successo dovuto alla battaglia di tutte. E anche di qualche uomo. Bene. Ma puntiamo alla giustizia, che sarà vera quando le opportunità saranno a vantaggio di tutte le donne italiane». 

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