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Home » Politica

Palamara a TPI: “Conosco il Sistema, mi candido alle europee per combatterlo”

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Luca Palamara, 54 anni, ex presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Csm. Nel 2021 è stato radiato dalla magistratura. Credit: AGF

"Il sindaco di Terni? Non è omofobo, lancia provocazioni contro il perbenismo. Io non rinnego il mio passato, ma dal Parlamento Ue punto a rompere il compromesso tra magistratura e politica. Dietro Striano c’è sicuramente un mandante, i dossieraggi servono sempre a cecchinare qualcuno. Nordio? Non sa come funziona il Potere. E sbaglia a fare i test alle toghe. Sono antifascista ma pure anticomunista. Ho votato Dc, poi il centrodestra e il Pd renziano. Salis? Il garantismo visto per lei lo vorrei vedere sempre"

Luca Palamara si candida alle europee con Alternativa Popolare, il partito del vulcanico sindaco di Terni Stefano Bandecchi. L’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, 54 anni, radiato dalla magistratura per le vicende giudiziarie che lo hanno riguardato, scende in campo con l’obiettivo di «rompere quel sistema di compromessi che regge il rapporto tra politica e giustizia». E intende iniziare da un seggio al Parlamento di Bruxelles.

Nel principale processo a suo carico Palamara ha patteggiato un anno – con pena sospesa – per traffico illecito di influenze, mentre è tutt’ora imputato a Perugia per rivelazione di segreti d’ufficio. Negli ultimi tre anni l’ex sostituto procuratore di Roma ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura ha girato l’Italia per presentare i due libri – entrambi best seller – che ha firmato insieme al giornalista Alessandro Sallusti, oggi direttore de Il Giornale.

Già nel 2021 fa aveva tentato la strada della politica candidandosi da indipendente alle suppletive di Roma-Primavalle per un posto alla Camera: raccolse il 6% senza risultare eletto. Alle politiche del 2022 era pronto a riprovarci, ma la sua lista, Oltre il Sistema, non è riuscita a raccogliere il numero di firme necessario a presentarsi alle urne. Ora punta le europee.

Palamara, perché ha deciso di scendere in politica?
«Perché, sul tema giustizia, la politica – pur di non inimicarsi un certo mondo – non va mai fino in fondo. Lo so per esperienza personale, avendo ricoperto cariche apicali nella magistratura». 

E lei, invece, vuole andare fino in fondo?
«Voglio fare un racconto della giustizia non ipocrita: che sia fuori dagli schemi e senza compromessi».

Perché si candida proprio con il partito di Bandecchi?
«Al netto di espressioni forti e colorite, Stefano Bandecchi ha il merito di parlare direttamente alla pancia del Paese. Un Paese nel quale ormai quasi un cittadino su due non va a votare. Nell’immaginario collettivo oggi la politica è vista come un Palazzo che fa gli inciuci. Ecco: siccome io da quel Palazzo sono uscito, vorrei riattivare un rapporto diretto con i cittadini».

Come è entrato in contatto con Bandecchi?
«Mi ha sempre incuriosito la sua volontà di ristabilire un rapporto diretto con la gente. Nel 2021, quando mi sono candidato alle suppletive della Camera, c’è stata un’occasione di incontro e poi è nata l’idea di intraprendere insieme questa avventura. Con Bandecchi ci unisce anche un forte spirito europeista, fermo restando tutto ciò che nelle istituzioni europee oggi non funziona».

A quale percentuale punta Alternativa Popolare alle europee?
«Oggi questi sono discorsi prematuri. È chiaro che si tratta di una sfida, bisogna essere realisti: Roma non è stata costruita in un giorno… Puntiamo al risultato più importante, consapevoli che la politica spesso tende a voler soffocare il bambino nella culla. Ecco perché sarà ancora più importante il rapporto diretto con la gente».

Se non doveste superare la soglia di sbarramento sarebbe un fallimento?
«Assolutamente no! C’è la volontà di costruire qualcosa che vada al di là del singolo appuntamento delle elezioni europee. Siamo solo all’inizio di un percorso».

Pensa che Alternativa Popolare crescerà nei prossimi anni?
«Io penso di sì. Quella metà circa di italiani che non va a votare evidentemente non è soddisfatta degli schemi tradizionali della politica. E ho la presunzione di credere che siano tanti i cittadini, di varia estrazione e provenienza, che sul tema giustizia vogliono quella risposta chiara che finora è mancata. Ma sulla giustizia voglio mettere ben in chiaro una cosa».

Prego.
«Il presupposto, per me, è che nessuna riforma deve essere dettata da una volontà punitiva nei confronti della magistratura. C’è una larga parte di italiani, e anche di magistrati, che vuole de-politicizzare la magistratura. Su questo voglio dare il mio contributo. Sperando che la stagione della denigrazione nei miei confronti sia ormai alle spalle e che si possa parlare finalmente di contenuti».

Quindi rifiuta l’immagine di “grande nemico della magistratura”?
«Questa è una falsificazione con cui ho dovuto confrontarmi in questi anni. Il mondo della magistratura è e sarà sempre il mondo, ma penso che determinate vicende impongano di fare ciò che in 76 anni, da quando è entrata in vigore la Costituzione, non è stato mai fatto, tenendo conto di quello che ha funzionato bene, di ciò non ha funzionato e di ciò che ha funzionato a metà. Solo così si può dare un contributo a riformare davvero la giustizia in questo Paese».

Bandecchi si è dichiarato democristiano. Anche lei viene da quell’area politica?
«Nella mia precedente vita da presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ho fatto parte della corrente di centro (Unità per la Costituzione, ndr). La mia area è quella».

Per quali partiti votava e ha votato finora?
«Il voto è personale. Comunque, se lo vuole sapere, da giovane ho votato Democrazia Cristiana. In seguito in alcuni casi ho scelto il centrosinistra e in altri il centrodestra. Sono stato molto attratto dal periodo della rottamazione renziana. Poi, da quando Renzi ha lasciato la segreteria, mi sono progressivamente distaccato dal Pd».

Pensa che la rottamazione non sia stata completata?
«Non è stata compiuta. Ci sono schemi, nel mondo delle istituzioni, che sono difficilmente superabili. Oggi il Pd fa un’altra partita. Ha poco di riformista, soprattutto sul tema della giustizia».

Bandecchi però pende decisamente a destra.
«I concetti di destra e sinistra, se li caliamo nell’attualità, mi sembra siano superati dagli eventi: oggi è difficile capire cosa sia realmente di destra e cosa di sinistra. I cittadini chiedono solo risposte chiare alle loro istanze».

Bandecchi si è reso più volte protagonista di dichiarazioni omofobe e sessiste e ha anche espresso ammirazione per Mussolini. Di fronte a queste uscite, lei come si pone?
«Sgombriamo il campo dagli equivoci. La mia storia personale non ha nulla a che fare con omofobia o sessismo. Se mi sono avvicinato a Bandecchi è perché sono convinto che nelle sue espressioni non ci sia nulla di omofobo o sessista. Avendoci parlato, posso tranquillamente affermare che spesso le sue parole sono state strumentalizzate. Lui lancia delle provocazioni per andare contro il perbenismo che spesso caratterizza il racconto della politica».

Lei si definisce antifascista?
«Certo che sono antifascista, come sono contro tutte le dittature. Anche quella comunista».

La sua è una candidatura tematica imperniata sul tema giustizia. Ma cosa si può fare dal Parlamento europeo per riformare la giustizia italiana?
«Pensiamo ad esempio al caso dei dossieraggi: c’è una direttiva europea che impone la sicurezza dei dati nazionali. Lo spazio giuridico europeo è un punto centrale nello svolgimento dell’Unione europea. Mi riferisco all’avvicinamento delle legislazioni in materia penale e di lotta a terrorismo internazionale, o anche al tema del tasso di democrazia e di indipendenza della magistratura nei Paesi dell’Ue».

Che idea si è fatto della vicenda di Ilaria Salis e della sua detenzione in Ungheria?
«Penso che ciascun Paese dell’Unione europea deve garantire il rispetto dei diritti di difesa. E che l’immagine della Salis in catene sicuramente non fa onore all’Ue. Detto questo, mi piacerebbe che il garantismo che c’è stato su questa vicenda valesse anche in Italia. A proposito di perbenismo e di ipocrisia, mi piacerebbe che il discorso sulla gogna non venisse applicato solo a Ilaria Salis ma anche a tanti casi della vita politica e giudiziaria del nostro Paese, in cui invece vale tutto. Penso che tanti cittadini vogliano spezzare questo meccanismo perverso che spesso si crea tra una parte del mondo dell’informazione e una parte del mondo della magistratura».

Quali sono, a suo avviso, i principali mali della giustizia italiana? E quali rimedi propone?
«La mia vicenda ha posto un grande tema: chi governa la magistratura? Sono ancora attuali gli schemi elaborati dai nostri padri costituenti? Mi riferisco al Consiglio Superiore della Magistratura, all’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale e alla separazione delle carriere. Questo tema attiene alla gestione del potere, ma ha anche un riflesso importante sulle nomine e su come vengono condotti i processi. La riforma Cartabia ha aumentato il numero dei componenti del Csm ma non ha risolto il problema, lo ha ampliato. Noi dobbiamo uscire dalle logiche delle promesse e passare ai fatti».

Altri punti su cui auspica un intervento?
«Uno è sicuramente il funzionamento dei processi. Ma non bisogna seguire una logica punitiva, come può essere quella dei test per i magistrati. Bisogna semmai incentivare il sistema dei controlli all’interno della magistratura. Infine: il processo penale è sempre più squilibrato, ormai può essere affrontato solo da chi ha grandi disponibilità economiche. E c’è un grande squilibro tra accusa e difesa. Ma è chiaro che questi sono solo temi di partenza su cui bisognerebbe svolgere un ulteriore lavoro di approfondimento. Oggi, tuttavia, nessuno ha il coraggio di fare le riforme che riguardano il potere. C’è chi pensa che affrontando questi temi si vada a urtare la suscettibilità della magistratura, ma penso che la politica debba assumersi le sue responsabilità. Io l’ho vissuto dall’altra parte: la magistratura associata tende a dire sempre di no perché teme che vengano meno i privilegi di cui oggi la categoria gode».

Come valuta l’operato del ministro Nordio?
«Aveva premesse importanti, che però poi si sono scontrate con il mondo della politica. Nordio ha sempre svolto l’attività di magistrato a Venezia: evidentemente alcuni meccanismi di funzionamento del potere gli erano sfuggiti».

E, più in generale, che giudizio dà del Governo Meloni?
«Anche qui c’è stata in una prima fase la volontà di fare riforme importanti, ma poi ha prevalso la logica dei compromessi».

Quali sono, oggi, i politici che più stima?
«Nomi non ne faccio. Stimo molto di più coloro i quali entrano in politica sulla base di un pregresso percorso lavorativo e professionale, perché possono dare un contributo più efficace. Altrimenti la politica rischia di diventare solo un mezzo per trovare uno stipendio. Credo nelle competenze. Che purtroppo in questi anni spesso mancate».

Eppure, proprio di recente, il Governo Draghi era soprannominato «il governo dei competenti».
«Non passiamo da un eccesso all’altro! I cittadini devono poter dire la loro: ci vuole governo politico che abbia la fiducia degli italiani. Ma sarebbe meglio se fosse composto da persone che abbiano alle spalle altre esperienze».

Parliamo del caso dossieraggi. Che idea si è fatto?
«Dietro il luogotenente Striano – qualora dovessero essere accertate le sue responsabilità – penso che ci sia sicuramente un mandante, o comunque qualcuno che gli ha chiesto di fare quegli accessi alle banche dati. E normalmente si tratta di tre possibili categorie: giornalisti, imprenditori o esponenti del mondo delle istituzioni che vogliono avere una serie di informazioni per poter “cecchinare” il mal capitato di turno».

Quindi è convinto che dietro gli accessi di Striano ci fosse una regia?
«Per esperienza so che in questi situazioni non si agisce mai da soli, ma sempre per raggiungere un preciso obiettivo. Nella vicenda che ha riguardato me, l’obiettivo era far saltare la nomina di Marcello Viola a capo della Procura di Roma. In questo caso bisogna capire la concomitanza con determinate nomine politiche nel centrodestra».

La Procura di Perugia indaga anche su tre giornalisti, i quali però hanno semplicemente fatto il loro mestiere: avevano delle notizie e le hanno pubblicate. Non crede che la loro iscrizione sul registro degli indagati possa minacciare la libertà d’informazione?
«Penso che la stampa debba liberamente informare, utilizzando tutte le fonti. Ma un conto è informare e un altro è usare i media per “manganellare” il mal capitato di turno: quella non è più informazione, è la volontà di contribuire ad alterare i meccanismi della vita democratica del Paese. Nella mia esperienza, ad esempio, certi articoli non uscirono con l’obiettivo di informare ma con quello di impedire che una determinata persona, non gradita alla sinistra giudiziaria, diventasse procuratore di Roma».

Renzi ha dichiarato che secondo lui questa vicenda potrebbe finire «come l’altro grande scandalo degli ultimi anni, il caso Palamara. Con un capro espiatorio e con un gattopardesco “tutto cambi, perché nulla cambi”». Anche secondo Palamara?
«Innanzitutto, io la parola “scandalo” la utilizzerei per chi in quel periodo, anche nel mondo dell’informazione, ha lavorato per impedire la nomina di Viola. Detto questo, penso che il timore di Renzi sia fondato. Ma attendiamo gli sviluppi dell’inchiesta».

Che ruolo giocano le correnti della magistratura nel sistema di potere dell’Italia del 2024?
«Il correntismo è uscito ammaccato dalle vicende del 2019: oggi c’è un largo scarto tra il vertice della rappresentanza della magistratura e la base. Tuttavia i giochi di potere vengono ancora giostrati dalle correnti. Le correnti hanno certamente contribuito a migliorare e sviluppare l’autonomia della magistratura nel nostro Paese, ma poi si sono trasformate in centri potere. Oggi questo meccanismo è obsoleto e superato dalla realtà: c’è bisogno di una nuova classe dirigente che sappia svincolarsi da queste logiche, anche dando spazio alla componente più giovane della magistratura».

Anche lei però, per diverso tempo, ha partecipato alle spartizioni di poltrone interne alle correnti…
«Assolutamente sì. Parlo per esperienza. Non rinnego la mia partecipazione ai meccanismi delle correnti, ma oggi devo evidenziare le patologie di quel sistema. Un sistema che, oltre al merito, ha privilegiato la contiguità con la politica. Del sistema ho fatto parte e penso che debba essere superato».

Si sente un capro espiatorio?
«È chiaro che è stato semplice individuare un colpevole per tutelare la ragion di Stato. Ma quel che è stato è stato e l’immagine della vittima non mi appartiene. Ora il Paese ha bisogno di coraggio, perché buttare la polvere sotto al tappeto non serve a nessuno».

Sogna un giorno di fare il ministro della Giustizia?
«Non ho più l’età per sognare. Il mio compito è impegnarmi per i cittadini per contribuire a cambiare il Paese su un tema, quello della giustizia, di cui mi sono sempre occupato. Questo è il mio obiettivo quotidiano».

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