Cosa rivelano gli scandali sessuali delle ong sul loro modo di finanziarsi
Il commento di Fulvio Scaglione
Hanno ragione. Intendo i molti che in molti paesi in questi giorni scrivono: attenzione, lo scandalo Oxfam e gli altri che saltano fuori qua e là nel mondo delle Ong, denunciati, autodenunciati o ammessi con fatica, provocando lo sdegno dei cittadini e dei finanziatori, rischiano di sottrarre risorse preziose alla cooperazione internazionale, facendo così un danno non tanto alle Ong beccate in difetto ma alle popolazioni colpite da calamità naturali, guerre, carestie e disastri di ogni genere. Un mondo senza Ong sarebbe peggiore di un mondo con Ong inquinate da qualche mela marcia.
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E hanno ragione anche coloro che, dall’interno delle Ong, fanno notare le dimensioni ridotte, o fisiologiche, del fenomeno. I 31 casi di molestie tra colleghi denunciati dagli stessi dirigenti di Save the Children su 25 mila dipendenti o i 40 casi di abusi indagati da Medici senza Frontiere sui suoi 40 mila dipendenti dimostrano solo che anche chi lavora nell’assistenza ai più poveri e sfortunati non è un santo, può sbagliare e peccare come chiunque altro. Uno stronzo su mille persone come tra i Medici o uno su 806,5 come nel caso di Save the Children: c’è qualche categoria che può vantare a occhi chiusi medie migliori?
Avere ragione, però, non servirà né agli uni né agli altri. È ovvio che questi scandali faranno del male alla causa del volontariato e della cooperazione. Perché dovrebbe andare diversamente? All’inizio degli anni Novanta, quando saltò fuori Mani Pulite, grandi partiti che avevano fatto la storia d’Italia furono distrutti dallo scandalo sulla corruzione, anche se di loro si poteva dire che aveva tanto contribuito a fare del nostro Paese una potenza industriale e degli italiani un popolo fortunato. Ed è inevitabile che il singolo cittadino (ma non il finanziatore istituzionale, che ragiona in base ad altre logiche) si chieda: davvero saranno ben spesi i miei contributi?
E pur avendo ragione sulle medie statistiche, otterranno poco anche coloro che, dall’interno delle Ong, fanno notare la portata limitata, almeno dal punto di vista pratico, degli abusi da loro stessi o da altri rivelati. Perché in questo caso il punto vero di dibattito non sta nei 40 stronzi ma nei 40 mila che stronzi non sono. In altre parole: è proprio necessario avere, come nel caso di Medici senza Frontiere, più dipendenti dell’Eni o della Ferrero, per citare solo due grandissime aziende? Essere una multinazionale, sia pure del bene? Diventare un colosso come Oxfam, che nell’anno fiscale marzo 2015-marzo 2016 ha ricevuto 67 milioni di euro dalla Ue, 200,2 dal Governo inglese, 63 dall’Onu e 57,3 da “altri Governi? O come i Medici, che nel 2016 hanno ricevuto finanziamenti totali per 1,5 miliardi di euro, anche se al 95% da contributori privati? E perché e come certe Ong hanno raggiunto tali dimensioni?
Seguendo questo filo si va a toccare un aspetto decisivo del rapporto tra il mondo del volontariato, almeno a certi livelli, e la politica. Perché l’età dell’oro delle grandi Ong ha il suo Anno Mille, che è il 1991. Cioè quando Bernard Kouchner, che negli anni Settanta aveva fondato prima Médecins sans Frontières e poi Médecins du Monde, da segretario di Stato nel secondo Governo francese di Michel Rocard enuncia il principio del “diritto all’ingerenza umanitaria”. Kouchner, che non a caso nel 1999 diventa alto rappresentante del segretario generale dell’Onu per il Kosovo e nel 2003 si pronuncia a favore dell’invasione anglo-americana in Iraq, si proponeva di difendere i curdi dalle repressioni di Saddam Hussein.
Di fatto, faceva il rompighiaccio per la strategia che prevede di ignorare il principio di sovranità degli Stati e che ha contraddistinto quasi tutti gli interventi delle grandi potenze per affermare i propri interessi strategici. Per dire: la Russia ne parla quando deve intervenire (Georgia, Moldavia, Ucraina…) per “proteggere le minoranze russofone”, gli Usa e l’Occidente (Balcani, Medio Oriente…) ogni volta che un qualche ostacolo si frappone alla loro politica e alla globalizzazione da cui traggono beneficio.
Il diritto all’ingerenza umanitaria prevede che ci sia l’ingerenza (e quella viene soddisfatta dalle bombe e dagli eserciti) e poi l’attenzione umanitaria. A quella provvedono appunto le Ong, sempre chiamate a rammendare i disastri. Intendiamoci: e organizzazioni lavorano davvero, e sul serio alleviano le sofferenze delle popolazioni. Lo hanno fatto in Afghanistan e in Iraq e non c’entrano nulla con le guerre decise da George Bush. Così come hanno onestamente ed efficacemente agito in decine di diversi Paesi e situazioni d’emergenza.
Resta però il fatto che il gigantismo di alcune di loro comincia con il varo di quella strategia dell’ingerenza umanitaria, l’accompagna e si sviluppa con essa. E forse è venuto il tempo di rifletterci un po’ sopra e vedere se, per caso, un minimo di distacco e di decrescita felice non farebbe bene anche al mondo del bene.