Addio alla trasparenza: il regalo di Giorgia Meloni ai mercanti di armi
In tutta fretta la maggioranza sta smantellando la Legge 185/90 sull’export degli armamenti con il risultato di diminuire i controlli e aumentare le vendite. Una manna per le lobby dell’industria e della finanza. Se passeranno le modifiche, non sarà più possibile conoscere il tipo specifico di materiale bellico esportato ai vari Paesi né le banche coinvolte
«Non voglio spaventare nessuno, ma la guerra non è più un concetto del passato. Dobbiamo essere pronti. L’Europa ha ancora molta strada da fare». Sono le parole pronunciate qualche settimana fa dal primo ministro polacco Donald Tusk, in un’intervista rilasciata a diversi media europei. Dichiarazioni che fanno eco a quelle della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del presidente francese Emmanuel Macron, e che costituiscono il segno tangibile di un nuovo corso, l’affermarsi di un paradigma bellicista, la preoccupante svolta verso un’economia di guerra da parte del Vecchio Continente, incuneato in un quadro geopolitico mutato, modellato da crescenti tensioni e da un futuro possibile disimpegno degli Stati Uniti nello scacchiere mondiale.
Mentre l’orologio dell’apocalisse dell’Università di Chicago, che indica simbolicamente quanto manchi alla fine del mondo, segna appena 90 secondi, i tragici presagi di guerra non sembrano distogliere i vertici politici europei dall’obiettivo dichiarato di portare la spesa militare al 2 per cento del Pil, in ottemperanza alle richieste della Nato, ribadite nei giorni del 75esimo anniversario dell’Alleanza atlantica, celebrato di recente, nella convinzione che «la pace sia soprattutto deterrenza», come ha sostenuto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella sua visita in Libano delle scorse settimane, per quanto i dati e la storia ci ricordino come, la proliferazione degli armamenti abbia generato sempre un aumento delle tensioni geopolitiche e dei conflitti.
“Business is business”
Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (Sipri), che dal 1966 svolge ricerche sulla sicurezza internazionale e sugli armamenti, le risorse destinate alla difesa militare a livello globale da parte dei governi ammontano a poco più di 2.240 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato dall’istituto, il 2,2 per cento del Pil mondiale. I governi di tutto il mondo hanno speso in media il 6,2 per cento dei loro bilanci per scopi militari, pari a 282 dollari per persona all’anno. La metà di queste risorse sarebbe sufficiente per fornire cure sanitarie di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra.
A beneficiare del nuovo scenario i big europei del settore della Difesa, come la società inglese Bae Systems, quella tedesca Rheinmetall e l’italiana Leonardo. Quest’ultima, che da qualche tempo ha progressivamente ridimensionato la divisione produttiva del settore civile a favore del comparto della difesa, registra in Borsa un balzo maggiore del 100 per cento, passando da una capitalizzazione di mercato di 4,8 miliardi nel 2022 agli attuali 11 miliardi. «Lo scenario geopolitico mondiale impone un nuovo paradigma della Sicurezza Globale, dove vogliamo giocare un ruolo proattivo nell’evoluzione dell’industria europea della difesa», ha affermato l’amministratore delegato Roberto Cingolani.
L’ex Finmeccanica, partecipata nella misura del 30,2 per cento dallo Stato attraverso il ministero dell’Economia e delle Finanze, è il primo operatore per valore degli scambi citato nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, relativa al 2023 e inviata dal Governo al Parlamento. Un documento che testimonia il boom del comparto italiano della Difesa sul piano dell’export: rispetto al 2022 si è registrato un incremento del 24,43 per cento del valore delle autorizzazioni individuali di esportazione.
La fretta di Meloni & Co.
Informazioni preziose che potrebbero non essere più rese pubbliche in futuro, tenendo l’opinione pubblica all’oscuro delle dinamiche relative alla vendita e al commercio di armi: un disegno di legge rischia infatti di rimuovere i meccanismi di controllo e trasparenza imposti dalla legge 185/90 che regola l’export di armamenti italiani. La norma, ottenuta grazie alla spinta popolare più di trent’anni fa, anticipando meccanismi e criteri internazionali, è ritenuta uno delle più avanzate a livello mondiale e rappresenta uno strumento importante che garantisce trasparenza, in particolare proprio attraverso la citata Relazione annuale che il Governo deve inviare ogni anno al Parlamento, contenente tutti i dati sull’esportazione di armi e un capitolo sull’attività degli istituti di credito operanti nel settore.
Già qualche mese fa, nel corso dell’Assemblea Generale dell’Aiad (la federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza), era emersa un’indicazione molto chiara circa la necessità di intervenire sull’architettura della legge che, secondo Pietro Batacchi, Direttore di RID, Rivista Italiana Difesa, darebbe «vita a processi autorizzativi estremamente lunghi e a incrostazioni burocratiche che creano difficoltà e frizione» e renderebbe le aziende italiane meno competitive, credenza smentita dai fatti, perché tutte le realtà del settore, in ogni Paese, sono sottoposte ai medesimi trattati internazionali, e dai numeri: l’export di armi italiane secondo il Sipri sarebbe cresciuto dell’86 per cento negli ultimi cinque anni. Semmai la legge 185/90 possiede dei caratteri di trasparenza innovativi che l’hanno resa un faro in tutta Europa.
Il ministro della Difesa Guido Crosetto, presente all’evento della federazione lo scorso luglio, aveva di fatto avallato la posizione delle imprese del comparto, scagliandosi anche contro le «banche etiche» che, a suo dire, decidono «di chiudere i rubinetti ad attività del tutto legali».
Con inusitata velocità lo scorso gennaio la Commissione Affari esteri e Difesa del Senato ha approvato degli emendamenti che, come denunciato da una vasta rete di realtà tra le quali Rete Pace e Disarmo e Banca Etica che hanno dato vita alla campagna “Basta favori ai mercanti di armi!”, inficerebbero la legge e porterebbero alla sottrazione «dal controllo di Parlamento, società civile e opinione pubblica di informazioni precise e dettagliate – oggi presenti nella Relazione annuale ufficiale – sulle esportazioni dei materiali militari autorizzate e svolte dalle aziende». Ma non solo.
Commercio invisibile
La conferma e l’eventuale applicazione di un emendamento proposto condurrebbe anche ad eliminare ogni informazione riguardo gli istituti di credito che traggono profitti dal commercio di armi verso l’estero, inclusi Paesi autoritari e coinvolti in conflitti armati, cancellando la possibilità per i cittadini e i risparmiatori/correntisti di accedere alla cosiddetta lista delle «banche armate».
Non verrà più richiesto che la Relazione annuale contenga «indicazioni analitiche», ma soltanto «i Paesi di destinazione finale con il loro ammontare suddiviso per tipologia di equipaggiamenti» e «con analoga suddivisione, le imprese autorizzate» e «l’elenco degli accordi da Stato a Stato». Non sarà, dunque, più possibile conoscere il tipo specifico di armi e di materiali militari che vengono esportati ai vari Paesi.
In definitiva l’obiettivo è rendere il commercio di armi meno visibile, meno controllabile e quindi favorirlo. Ora le modifiche passano all’esame della Camera e, se approvate, svuoteranno la norma delle sue prerogative più preziose, cancellando un presidio di trasparenza e progresso del nostro Paese.