Msf lancia una nuova operazione in mare: “I migranti continuano a morire. Da Draghi gaffe sui diritti umani”
Medici Senza Frontiere torna nel Mediterraneo centrale per condurre operazioni di salvataggio dopo quasi un anno di stop con una nuova nave, la Geo Barents, che oggi ha lasciato la Norvegia per arrivare nella zona di Ricerca e Soccorso libica entro due settimane. “Sappiamo che le missioni si svolgono oggi in un contesto in cui dobbiamo fare i conti con un’ostilità da parte delle istituzioni e delle autorità competenti”, dichiara Marco Bertotto, capo Advocacy della Ong medico umanitaria, “ma ci comporteremo come fatto in qualunque contesto”. “Salveremo quelle persone”, assicura.
La nave batte bandiera norvegese, è una delle più grandi che una Ong umanitaria abbia utilizzato per le operazioni di soccorso: lunga 76,95 metri, può ospitare 300 persone garantendone il distanziamento e gli standard di sicurezza anti-Covid. Ma la volontà è quella di affidare alle autorità sanitarie dello Stato di approdo il compito di effettuare test e accertamenti sulle persone salvate e sull’equipaggio – nel caso italiano, l’Usmaf (ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera) – in modo da non offrire deterrenti allo sbarco in una situazione in cui la maggior parte delle navi umanitarie viene sottoposta a lunghi fermi amministrativi partendo da cavilli tecnici imprevedibili. “Siamo in una situazione in cui non è chiaro e comprensibile quali sono i requisiti necessari” ad evitare un fermo, dice Bertotto.
L’intenzione però resta quella di operare “nel rispetto del diritto internazionale e delle convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti umani”. Significa che verrà rispettato il ruolo di coordinamento delle autorità marittime, ma “con delle limitazioni”. “Se i libici (la cosiddetta guardia costiera, ndr) daranno indicazioni contrarie agli obblighi internazionali”, afferma Bertotto, come l’attesa prima di un pronto soccorso o il respingimento della persona in un luogo non sicuro come la Libia, “a queste non potremo dar seguito”. “Ci comporteremo come prevedono le convenzioni sul soccorso in mare che assegnano al comandante l’obbligo di fare una valutazione, mettersi in contatto con le autorità competenti e non subordinando un intervento in condizioni di necessità alle autorizzazioni o richieste di standby da parte degli Stati”, spiega.
Il rilancio della Missione nel Mediterraneo Centrale, dove dall’inizio dell’anno più di 500 tra uomini, donne e bambini sono morti, di cui 130 il 22 aprile scorso dopo che la guardia costiera libica e le altre autorità statali competenti hanno di fatto ignorato le richieste di aiuto arrivate dai barconi in difficoltà, risponde alla volontà di denunciare il fallimento degli Stati.
“Le persone continuano a morire, c’è questo vuoto e la risposta degli Stati non è adeguata”, dichiara a TPI Claudia Lodesani, presidente di Msf. Ma mentre 7 anni fa, quando nel 2015 l’Ong è salpata per la prima volta alla volta del Mediterraneo centrale, “si collaborava con la Guardia Costiera e con le autorità e si aveva un sistema di collaborazione armonico” ora non c’è più neanche quello. E le recenti dichiarazioni del premier Draghi non fanno ben sperare.
Dopo la conferenza stampa di Tripoli del 6 aprile scorso in cui ha “ringraziato i libici per i salvataggi” in mare, nel question time di ieri alla Camera il primo ministro ha parlato di una politica migratoria del governo italiano che vuole essere “equilibrata, efficace ed umana”. Ma secondo Lodesani una politica che agisce sempre in condizioni di urgenza non può per definizione chiamarsi tale. “Vorremmo tanto che fosse equilibrata, ma basta vedere quello che sta succedendo a Lampedusa, non c’è nessuna pianificazione fatta in modo diverso rispetto agli anni precedenti”, osserva, mentre nell’hotspot dell’isola siciliana, che può contenere poche centinaia di migranti, ora dormono alla diaccio circa 1.500 persone dopo giorni di continui arrivi.
Le parole del premier spiazzano anche per quanto riguarda l’invocato rispetto dei diritti umani, perché sembra che Draghi lo pretenda in un raggio di azione in cui, di fatto, non ci sono naufraghi, perché le persone perdono la vita molto prima. “Nessuno sarà lasciato solo in acque territoriali italiane, il rispetto dei diritti umani è una componente fondamentale nella politica migratoria”, ha detto, ricordando però che le acque territoriali italiane finiscono a 12 miglia dalla terra ferma e dimostrando di non conoscere fino in fondo quello che accade nel Mediterraneo centrale, dove la maggior parte dei naufragi avviene ben oltre le 12 miglia, e cioè a ridosso delle coste libiche. “Chi lavora in questo settore sa che non è lì che avvengono i naufragi e che non è quello il problema”, afferma Lodesani. “Ci auguriamo che quella di Draghi sia stata “una gaffe“, dice.
La Ong fa sapere di aver inviato al premier una lettera dopo le vicende dello scorso 22 aprile, ma di non aver ottenuto risposta, e che non è arrivata risposta nemmeno dopo la notifica dell’avvio della nuova operazione, comunicata anche al governo libico, tunisino e maltese. Con la guardia costiera italiana si sono tenuti due incontri per “discutere gli standard tecnici”, ma Msf ha chiesto di incontrare anche Draghi proprio per chiarire al premier quali sono le condizioni nel Mediterraneo. Intanto l’Ong assicura che a bordo della Geo Baresnts continuerà “a insistere sulla responsabilità degli Stati di proteggere la vita in mare, a chiedere un meccanismo di Ricerca e Soccorso coordinato da autorità italiane che si estenda ben oltre le 12 miglia, lo stop al supporto della guardia costiera libica e di interrompere l’offensiva contro organizzazioni della società civile”. Perché “venga riaffermato il principio e l’importanza del soccorso”.