Msf a TPI: “Il nuovo decreto Sicurezza? Altro che solidarietà e accoglienza, il clima è lo stesso di Salvini e Minniti”
La Ong medico umanitaria boccia il nuovo decreto approvato in consiglio dei Ministri per quanto riguarda le regole sul soccorso in mare. Secondo Marco Bertotto, responsabile dell'Advocacy, "non c'è niente di cui esultare" perché i correttivi mantengono in piedi lo spauracchio delle Ong "taxi del mare"
Decreti sicurezza, Msf a TPI
La modifica dei decreti sicurezza varati dall’esecutivo guidato dalla Lega e dal M5S nel 2018 e 2019 è stata accolta con entusiasmo dai politici che per anni hanno condannato le norme bandiera dell’era Salvini. Molti hanno affermato che con il nuovo decreto immigrazione quell’impianto sarà finalmente superato, in favore di un ritorno all’umanità. Ma secondo Marco Bertotto, responsabile dell’Advocacy di Medici Senza Frontiere (Msf) Italia, per quanto riguarda il soccorso in mare l’ideologia alla base delle norme che il nuovo decreto vorrebbe spazzare – e di cui il “codice di condotta” voluto dall’ex ministro dell’interno Marco Minniti era stato un precursore – permane.
“Sicuramente ci sono elementi positivi, come quello di aver ripristinato il sistema di accoglienza anche per i richiedenti asilo, o aver chiarito che la loro iscrizione anagrafica deve essere riconosciuta: è un passo avanti. Ma ci sono alcuni aspetti assolutamente problematici, se pensiamo alla componente che riguarda il soccorso in mare”, afferma Bertotto a TPI. “Dopo un’estate in cui sono tornati a verificarsi in modo frequente incidenti e naufragi e la mortalità in mare è aumentata, il decreto ha apportato correttivi che mantengono in piedi un impianto di criminalizzazione delle Ong”, afferma Bertotto. “Continuano a esistere multe, che sono state ridotte e ricondotte a violazioni penali del codice della navigazione, un meccanismo paradossale”.
Per quale motivo?
Il decreto rende impossibile che venga impedito alle Ong l’accesso o il transito nelle acque territoriali o nelle acque di soccorso perché le navi umanitarie rispettano già le procedure previste dal codice della navigazione, lo hanno sempre fatto. Ma rimane il messaggio di propaganda che potrebbero svolgere attività di soccorso in mare finalizzate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Si prevedono multe per comportamenti mai esistiti. Dunque probabilmente le sanzioni non troveranno applicazione, ma nei fatti il provvedimento così com’è impostato trasmette messaggi scorretti.
Se questi comportamenti non verranno mai messi in atto, come si potrà condannare una Ong?
La criminalizzazione si è sempre costruita sulla mistificazione della realtà, che continua con questo decreto: prevedere sanzioni penali alle Ong che mettono in atto comportamenti finalizzati al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina quando non si sono mai verificati, trasmette un messaggio sbagliato. Da un lato si inneggia all’obbligo di soccorso in mare e si fanno proclami di un ritorno all’umanità e all’accoglienza, dall’altro continuano i fermi amministrativi. Il clima è lo stesso dei decreti sicurezza e del codice di condotta.
Cosa cambia rispetto ai decreti precedenti?
Il decreto è solo un timido tentativo di ridurre gli eccessi del decreto precedente, ma non spazza i dubbi rispetto al comportamento delle Ong, anzi, li alimenta. Si sono limitati ad ascoltare le raccomandazioni del presidente della Repubblica senza smontare l’impianto che si aveva l’opportunità di smantellare. Non ci possiamo dire soddisfatti da questo punto di vista. Dopo una stagione estiva di sbarchi e incidenti in mare non c’è una riga che si ponga il problema di costruire un’alternativa ai viaggi in mare o migliorare i soccorsi. Siamo di fronte a un piccolo cabotaggio, si sono corretti errori ma non si è fatto un passo nella direzione giusta.
Cosa doveva essere fatto?
Era sufficiente fare un decreto che eliminasse tutte le disposizioni e i divieti del decreto Salvini e che affermasse l’obbligo di soccorso in mare. Ci potranno accusare di essere estremisti ma sui principi non ci possono essere compromessi, o salvare vite in mare o vietare, in questo senso anche un euro di multa è un problema. Il messaggio è che il soccorso in mare invece di essere un obbligo diventa un’attività da portare avanti solo a certe condizioni. Le multe intanto non sono state mai applicate perché non ce n’è stato bisogno. Anche perché se c’è attività di favoreggiamento si è colpiti da norme dedicate.
Aldilà degli ostacoli politici interni alla maggioranza di governo, cosa dimostra tutto questo?
Un atteggiamento accondiscendente con gli umori di un Paese imbambolato dallo spauracchio delle Ong “taxi del mare” che alla prova dei fatti si è rivelato essere invenzione di alcuni politicanti, che però questo decreto invece che smontare alla radice, finisce per alimentare.
Siamo di fronte a un’occasione persa?
Più che un’occasione persa, questa è la conferma di un pregiudizio e di una linea che anche questo governo vuole proseguire, in una logica di criminalizzazione dell’attività di soccorso civile.
Parallelamente continuano i respingimenti sulle coste di Tripoli per effetto del memorandum Italia Libia.
Non solo, anche il decreto di chiusura dei porti a causa del Covid è ancora vigente. Nella prassi non è stato applicato ma comunque le navi che hanno prestato soccorso in questi mesi non hanno avuto immediatamente un porto, e quando è stato assegnato le imbarcazioni sono state messe in fermo amministrativo, ad eccezione di Open Arms. Nei fatti questo decreto non dà nessuna notizia positiva o segnale di cambiamento, non c’è nulla di cui esultare per l’atteggiamento verso l’attività di soccorso in mare.
Questo mancato cambio di rotta in Italia riflette l’atteggiamento europeo? Anticipando i punti del nuovo patto sull’immigrazione e l’asilo, anche la Commissione Europea ha mostrato di voler tenere in piedi l’impianto impostato in questi anni.
Se si guarda a quel patto, anche qui in piena continuità con le logiche della fortezza Europa, c’è un documento all’interno delle varie carte legali che contiene un elenco di raccomandazioni che l’Unione Europea fa agli Stati: da un lato si accetta la linea italiana, e quindi l’esigenza di assicurare standard tecnici su sicurezza e immigrazione, insistendo sul ruolo degli stati bandiera, dall’altro si enfatizza e si ripete molte volte l’obbligo del soccorso in mare, ribadendo l’esigenza di smettere di criminalizzare le Ong che fanno soccorso. Quindi nel patto c’è un messaggio che l’Italia non sta sentendo ma che arriva forte e chiaro. È stato ripetuto più volte dalle Agenzie delle Nazioni Unite, per cui da questo punto di vista l’Italia ha la posizione più estrema, ed è chiaro che vuole utilizzare tutti i mezzi possibili per criminalizzare il soccorso in mare.
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