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Home » Politica

Michele Santoro a TPI: “Sono tornato con il mio Mondo Nuovo”

Immagine di copertina

"È la più importante campagna elettorale della storia del dopoguerra. Ma tutto si gioca tra i soliti noti in sette giorni di tv. Conte? Ha optato per l’autarchia ma i sondaggi gli danno ragione. La sinistra? Un gruppo di leader stanchi senza coraggio e idee. La Meloni puzza di fascismo". Su TPI l'intervista al celebre giornalista e conduttore televisivo

Michele Santoro uno e trino: il primo saggista e polemista televisivo, il secondo editore multimediale, il terzo promotore di una lista pacifista, che però non è nata. Quale dei tre è quello vero?
(Sorriso). «Tutti e tre. Ho pubblicato “Non nel mio nome” per rompere il monologo dei bellicisti sulla guerra. Divento editore per lo stesso motivo. E volevo promuovere una lista per mettere al centro del racconto elettorale il tema che invece qualcuno vuole far sparire: la guerra».

Partiamo dalla lista: hai proposto a Conte di farne una, apparentata del M5S, ma non se ne è fatto nulla, perché?
«Volevo un elemento di novità nella stanca recita di questi giorni. Portare nella campagna elettorale le parole del movimento contro la guerra avrebbe contribuito a costruire una speranza per il futuro, a individuare la nuova classe dirigente, e far voce al partito che non c’è».

Perché la lista non è nata?
«Quello che avevo proposto a Conte non poteva avvenire con un mio ingresso nel M5S».

E Conte non era d’accordo?
«Ha fatto una scelta di ritorno al classico».

Cioè?
«Quella di un M5S sostanzialmente autarchico, che fa tutto da solo. In questo scenario ci sono compagni di viaggio, ma non la costruzione di una casa nuova. I sondaggi sembra che gli stiamo dando ragione».

Cosa intendi?
«Il Movimento cresce, Conte buca. Ma attenzione: io penso che il M5S abbia finito il suo percorso politico».

Come?
«Con questa operazione identitaria e autarchica Conte ha sostanzialmente speso la sua popolarità per salvare il M5S dal tracollo».

E dunque?
«Dopo, comunque vada, il M5S dovrà diventare un partito vero».

Cosa gli manca, ora?
«Chiarezza di regole, di ruoli, a partire da quello di Grillo, democrazia interna».

Sei dispiaciuto?
«No, capisco. Se avesse seguito il mio consiglio Conte avrebbe dovuto trovare dei fondi, Ricostruire da capo. Invece aveva una bottega aperta, e l’ha usata per vendere la sua merce. Ma tutta la sinistra, dopo la sconfitta che si profila, dovrà ristrutturarsi».

Tu cosa avresti portato in più?
«Una lista pacifista con i promotori della serata “Pace proibita”. Volti nuovi, giovani, soggetti esclusi dallo stucchevole teatrino di queste ore».

Addirittura?
«Guarda, parto da questo paradosso: siamo entrati nella fase decisiva della più importante campagna elettorale della storia del dopoguerra. E tutto si gioca, tra i soliti noti, in sette giorni di tv».

Sei molto drastico.
«Ho il dovere di spiegare a chi mi segue, al grande popolo della sinistra cosa sta accadendo».

Cosa?
«Un gruppo di leader stanchi, senza troppo coraggio e idee, grazie alla complicità di una legge scellerata, ci imporranno come eletti, in un Parlamento che è la sintesi di quello di prima, i gruppetti dei loro fedelissimi. Punto. Tutto qui».

Discutere per una mattinata con Michele Santoro significa passare dalla politica alla tv, dalle bombe ai format globali, alla storia italiana. Santoro è carico, in gran forma, reduce da un duello da Floris, e quando deve spiegarmi il suo progetto di “Nuovo mondo” alza il telefonino e indica un punto nello schermo: «Io voglio fare questo. Un nuovo network che stia in una app. Che fornisca contenuti inediti e potenti. Che faccia informazione avendo un obiettivo ambizioso: la ricerca di un nuovo leader della sinistra».

Molti si chiedono: perché Santoro in questa sua nuova analisi fa partire tutto dal conflitto in Ucraina?
«Perché è per la guerra, non per altro, che in autunno entreremo in una crisi economica, energetica, industriale, e creditizia. Eppure – fateci caso! – la guerra è completamente scomparsa dalla campagna elettorale. Io parlo a chi ha ancora abbastanza curiosità da chiedersi: “Perché?”».

Faccio io la domanda.
«Benvenuti nella terza guerra mondiale. Stiamo rischiando la fine del mondo!».

Malgrado il racconto ufficiale sia quello di una sfondamento del fronte da parte degli ucraini?
«Ma proprio per quello!»

Michele, ogni volta che parli così ti dicono: “È diventato Amico di Putin”.
«Imbecillità. Io raccontavo la guerra in Cecenia quando i maestrini di ortodossia atlantista che mi accusano neanche sapevano cosa accadesse a Mosca».

Il tema però è il giudizio del presente.
«La politica scellerata dell’invio delle armi, che comporta e impone l’abbandono di qualsiasi ipotesi negoziale, ha trasformato un intero Paese in un campo di battaglia, pieno di macerie e cadaveri, tra la Nato e Putin».

Ti diranno: ti dispiace di questa sconfitta russa?
«Io? Sono felicissimo! Se fossi certo che gli ucraini in due settimane o un mese ricacciassero l’armata rossa stapperei dello champagne».

Ma non lo pensi.
«È esattamente il contrario. Questa sconfitta rende più probabile lo scenario che da mesi immagino e racconto, che considero il più catastrofico».

Una escalation.
«Ma è ovvio: vedi, ora anche il New York Times ti dice che il contrattacco è stato pianificato negli Stati Uniti fino al dettaglio».

E ti dispiace che sia accaduto? Non stai dalla parte degli aggrediti?
«I russi come risponderanno? Ritirandosi o con armi più potenti? l’Europa deve solo accodarsi alle scelte degli americani? Non chiedersi cosa accadrà?»

L’Italia – dici – schierandosi ha perso la funzione di mediazione.
«Mandiamo qualche fuciletto e fondi di magazzino, mentre altri inviano i droni, missili a medio raggio e addestratori pianificando il conflitto senza bisogno di stare sul campo. Questo ha fatto fare il salto di qualità al conflitto».

Con quali conseguenze?
«Tra un mese 120mila aziende sono a rischio chiusura! I forni – dico i forni! – faranno fatica a fare il pane. Un milione di posti di lavoro persi sono l’effetto più probabile della crisi energetica! E qui si discute di Peppa Pig…».

Potevamo evitarlo?
«Dobbiamo fare di tutto per evitare che le cose si aggravino. Quelli contenti dell’offensiva in Ucraina sappiano questo è l’effetto diretto della guerra. Vorrei avere dei politici che avessero il coraggio di spiegare ai loro elettori come vogliono uscire da questa situazione».

Chi esulta dice: siamo a un passo dalla caduta di Putin.
(Scuote la testa). «Ingenui. Non basta far cadere Putin se il risultato è che vincono i falchi e a Mosca prendono il potere i fanatici della guerra totale».

Chi?
«Quelli che al Cremlino dicono: “Tiriamogli una bella bomba nucleare tattica sulla testa!”. Tutto questo produce un solo effetto. Intanto un imprenditore italiano paga l’energia dieci volte più di un collega americano. E così non può competere».

Mi pare già di sentire: “Ecco il Santoro complottista e antiamericano”!
«Chi voleva una Europa debole oggi ha ottenuto il suo risultato».

Tuttavia molti pensano: se non è accaduto nulla fino ad ora, perché dovrebbe accadere proprio adesso?
«Non ho mai sentito dire, ad una premier britannica, quello che ha detto appena nominata la Truss: “Se dobbiamo prendere un bottone lo premeremo”. Siamo sull’orlo di un precipizio».

Scusa Michele, tu pensi che non si parli di guerra perché c’è una censura invisibile?
«Il primo motivo è che per i politici è un argomento scomodo».

Anche per la Meloni che è all’opposizione?
«Soprattutto per lei, che è già all’esame di governo».

E quindi?
«Mi piace dire che sta facendo il fotoshopping delle sue idee, come in passato lo ha fatto della sua immagine sui manifesti elettorali».

Sei anche sessista?
«Realista, direi. La Meloni è di lotta e di governo, come il vecchio Pci. Sovranista quando ulula dal palco in piazza Duomo, europeista quando parla con tono suadente negli studi televisivi».

Proprio tu fai la polemica sui talk?
«I media oggi sono una prosecuzione della politica con altri mezzi. Mai l’informazione è stata così uniforme».

Anche a sinistra?
«Soprattutto, direi. Il punto non è che La Repubblica sia del gruppo Elkann, ma che segua la linea politica degli Elkann – a partire dalla guerra – prescindendo completamente dai suoi lettori».

Se questo accade perdono copie.
«No: ne stanno perdendo così tante che se ne fregano».

E la tv?
«Peggio. Vedi, la mia forza, quando volevano censurarmi in Rai, era che l’azienda era comunque in competizione con Berlusconi».

E non è così oggi?
«Parlo di concorrenza reale. Oggi la torta della pubblicità viene spartita e l’unico elemento nuovo sono i media americani».

E non va bene?
«In questo caso per nulla. Netflix e Amazon stanno cambiando il mercato culturale e l’identità degli europei  nell’indifferenza generale. Ricordati che in Gran Bretagna è per difendersi dalla General Electric che nacque la Bbc!»

I nuovi broadcast decidono i format e i contenuti.
«In quarant’anni di tv ho imparato che ha ragione McLuhan: “Il medium è il messaggio”».

Traduci per i profani.
«Non esiste un Facebook europeo. Non c’è un Google europeo. Se produco o consumo ho Amazon e Netflix, ma non piattaforme europee di quel livello. Ci siamo letteralmente arresi agli americani!».

Qualcuno potrebbe dirti, ci siamo arresi nel 1948?
«No, perché allora facevamo  “Ladri di biciclette” e “Sciuscià”. Forse tu sei per “Via col Vento”? Perché anche a me piace Gary Cooper, ma sono per De Sica. Il discorso sui media e sulla cultura completa quello sulla politica».

Cioè?
«Espellere dal campo ciò che non è omogeneo all’algoritmo. Stiamo sostituendo la sua dittatura alla creatività».

Fammi un esempio.
«Sono amico di un geniale direttore della fotografia, uno che ha lavorato con Abel Ferrara e Nanni Moretti».

Che c’entra?
«Per affidargli un lavoro gli hanno chiesto un video di autopresentazione, dicendogli: “Sappiamo chi sei, ma è la nostra procedura”».

E lui?
«Gli ha mandato un video buio. Per un mago della luce è una geniale forma di protesta. Ma il punto è: Scorsese studiava l’Italia del neorealismo, persino i prodotti del nostro cinema di serie B ispiravano Tarantino. Se perdiamo la nostra originalità non siano più nulla».

Sei anti-americano?
«Adoro l’America, forse un po’ meno di Veltroni. Ma noi italiani dovremmo essere diversi».

Hai parlato della politica e della cultura. E i cosiddetti poteri forti?
«Le élite sono ancora al potere, classi dirigenti che in questi anni hanno imparato a giocare in un campo ridotto».

Cioè?
«Segnati questa massima: “Qualunque sia il gioco la palla non deve mai andare fuori”. Sono rimasti in campo anche quando vincevano i barbari».

E poi?
«Più nulla. Un gruppetto di manager che falliscono a Telecom e passano all’Alitalia, e poi magari in una banca. Non sono mai in discussione. Talvolta esordiscono in politica, e qualche politico quando finisce, va a fare il mediatore nel mercato delle armi. Triste».

Racconta una storia “fuori campo”.
«Il più alto numero di medici italiani che lavorano fuori d’Italia. 50mila. Giovani che non credono nel sistema italiano».

Fanno bene?
«Non scommettono sul Paese. Di cosa discutiamo noi? Del reddito di cittadinanza e di superbonus? Se c’è un provvedimento che ha contraddetto l’aumento continuo della povertà è il reddito. Se c’è una necessità assoluta è l’efficientamento energetico delle case».

«Bonus scritti male», dice Draghi.
«Diciamo allora che si dovevano scrivere meglio. Ma è grave che il 5% della popolazione più ricca abbia continuato ad arricchirsi anche in pandemia. Mentre il 95% si impoveriva».

Ecco il Santoro populista!
«Le cifre non sono populiste. Sono solo cifre».

E le rivelazioni sui fondi russi?
«A 15 giorni dalle elezioni i servizi segreti americani tirano fuori questa bombetta senza altri ragguagli».

Difendi Salvini?
«Speriamo che ci dicano i nomi. Oppure vogliono solo ricattare qualcuno? Sono anti-Putin, ma non sono nemico della Russia. E mi chiedo: se vince Zelensky come vogliamo l’Europa del dopoguerra? Con un nuovo muro di Berlino a Kiev?»

Bene, Mondo Nuovo non è un giornale, cos’è?
«Un progetto informativo che è anche politico».

Un’app che distribuisce contenuti?
«La mia specialità è la tv. Non serve un ennesimo sito di news, ma contenuti originali televisivi».

Ti servono 30mila persone che scarichino la tua app. Un’impresa.
«Nella vita ho vinto tante scommesse. Proverò anche questa».

Vuoi ripetere l’impresa di Servizio Pubblico quando arrivasti al 5% con solo un network di private a trasmetterti?
(Sorriso). «Arrivai al 7%, prego. Dal nulla».

Pensi che oggi non ci sia concorrenza?
«Il problema è la torta della pubblicità».

Posso assicurarti che a La7 diamo il sangue per crescere di un punto.
«Ci credo. Ma dopo vi consentono di crescere da 100 a 200 milioni di pubblicità? Né Sky né Mediaset rinunciano a uno spicchio di torta».

Non si parla più di conflitto di interessi, su TPI abbiamo pubblicato i dati di presenze dei politici in tv.
(Sospira). «Tutto dimenticato. L’Agcom da quando non ci sono più io fa vita spensierata».

Ti diranno: “Ecco il Santoro megalomane”.
«Lo fanno sempre. Ma vedi: io alla Rai potevo incidere nell’agenda politica. Parlavo anche a 8 milioni di persone, una volta persino 16 in una serata. Con quei numeri potevo ribaltare l’agenda».

Lo hai fatto sulla guerra in Jugoslavia.
«Pensa, nell’ultima diretta dal ponte Brankov, quando iniziarono a piovere le bombe le truppe mercenarie si dileguarono e solo i fedelissimi rimasero sino alla fine».

Lo hai fatto sul Caso Ciancimino, su De Magistris: valeva la pena?
«Direi proprio di sì».

Sul bunga bunga.
«E meno male. Ora, come ti ho detto, nessuno tira più così forte: la palla non esce mai dal campo da gioco».

Si dice: «Santoro non ha più il suo tocco magico».
(Sorriso) «Forse perché non ho più un programma?»

Ma gli ascolti degli ultimi erano “normali”.
«Alla Rai? Ero confinato con poche puntate nei buchi di palinsesto a fine stagione».

Le tue scenografie meravigliose, ma costose come un film.
«Per il dirigibile di “M.” ho speso quasi 300mila euro. Vendevo un programma chiavi in mano, per pagarlo non ho guadagnato un soldo! Comunque fai un esperimento: digita Santoro Buscetta e leggimi il numero delle visualizzazioni su YouTube».

Sono 4,4 milioni!
«Fino a quando sono stato in onda ho avuto alti e bassi. Ma non ho mai rinunciato alla qualità del mio lavoro».

Perché sei fuori dalla tv?
«Ti rigiro la domanda: la metà degli italiani sono contro la guerra, ma in tv non sono rappresentati».

Nei tuo libro autobiografico racconti che anche tuo padre si indignò perché eri andato a Mediaset.
«Era una legittima difesa. Mi avevano tolto tutto, e tutti: persino il budget».

Tu dici che hai avuto più problemi dalla sinistra che dalla destra.
«Vero. Fu il governo Prodi a farmi lasciare la Rai».

Hai sbagliato a candidarti alle europee nell’Ulivo?
«Non direi se pensi che ho preso 700 mila voti».

In una storica puntata di Sciuscià, invece dell’editoriale cantasti “Bella ciao!”.
«Era mattina, c’era stato l’editto bulgaro. Invece delle parole mi venne in mente di ricorrere a questo canto quasi dimenticato, con tono teatrale e voce quasi stonata. Mi darai del megalomane, ma avevo capito che quella canzone sarebbe  uscita dal recinto delle canzoni politiche».

Hai ragione: sei megalomane.
(Ride). «Andarono esauriti tutti i dischi e tutte le versioni. Poi pensala come vuoi».

Tema dei temi: la sinistra, il tuo rapporto amore odio con le sue leadership.
«Non si è mai prodotta una nuova cultura politica. Il Pd rimane, ancora oggi, una somma di apparati».

«Amalgama mal riuscita», disse D’Alema. Cosa vedi per il dopo voto?
«Gli effetti di un cupio dissolvi».

Sindrome di autodistruzione, cioè.
«Sì, ma stanno dilapidando un patrimonio collettivo, non le loro carriere».

Perché?
«Fino ad oggi ha funzionato “l’Alligalli”. Hai presente? “Se prima eravamo dieci/ a ballare l’Alligalli/ adesso siamo otto a ballare…”. E anche perdendo continueranno a ballare».

Tutto finirà il 25 settembre se vince là Meloni?
«Sì. Ma io intravedo l’ombra dei tecnici».

I partiti che sostengono Draghi calano nei sondaggi.
«Perché non hanno un front runner. La Meloni si è preservata per questo scopo».

Hai visto il duello con Letta?
«Esangue. Lui non ha fatto nulla per vincere davvero».

Dici? E la Meloni?
«Le bastava essere riconosciuta come interlocutore».

Addirittura?
Il suo problema è la puzza di fascismo.

Immagine greve?
«Perché? Chi ha lavorato al mercato del pesce puzza di pesce. Lei ha lo stesso problema con il Msi».

E Letta?
«Il Corriere dice che ha vinto, e io mi adeguo».

Che vuoi dire?
«Non sparo sulla croce rossa».

Ma cosa critichi?
«Alcuni errori politici decisivi: non aver fatto l’alleanza con Conte. Aver sognato la vittoria dell’Agenda Draghi. Senza Draghi».

Quanto sei cambiato rispetto al Santoro della “Voce della Campania”, quando da ragazzo diventasti direttore?
«Poco: ero stato spedito a Napoli per un’epurazione. E tirai fuori i giovani che c’erano in redazione scommettendo su di loro».

Quanto sei diverso rispetto a quello di Samarcanda?
«Eravamo nati come il settimanale del Tg3, perché Curzi non voleva essere scavalcato da quello di Andrea Barbato, voleva una formula più aggressiva».

Cosa fu per te il “Kojack” del Tg3?
«Come un fratello».

Oggi sei ricco.
«No».

Non hai due milioni sul conto?
«Magari. Sono benestante. Ma non ho nessuna velleità pauperistica: credo nel successo figlio della bravura».

Ma non sei comunista?
«Non lo sono. Ma se qualcuno me lo dice come un insulto lo rivendico come una medaglia: Comunista tutta la vita».

In che senso non lo sei?
«Ho sempre creduto nell’importanza del  mercato e della concorrenza. Non voglio un mercato sregolato. E credo nel lavoro».

Da quando?
«Da sempre. Pensa che ho iniziato a sei anni».

Parlami della spolverata ad Annozero: hai vinto tu o Berlusconi?
«Quel brutto gesto di disprezzo per un avversario alla Alberto Sordi fu celebrato come una genialata».

E non era così?
«No, ma molti italiani amano la cialtroneria. Quel giorno mi chiamò Celentano e mi disse: “Silvio si è fregato da solo”. Ero d’accordo con lui, ma gli altri no».

Dissero che con quella puntata Forza Italia recuperò un punto.
«Primo: non so se sia vero. Secondo: se fosse vero, senza la spolverata il Pd non sarebbe  diventato il primo partito, per un pelo, perché avrebbe vinto il M5S. Fu un record del 33% di share! Una trasmissione così importante a Grillo dava fastidio».

Come dava fastidio?
«Controlla. Da quando io non ci sono più i talk sono tornati belli: non sopportava che potessi parlare al suo pubblico e confutare la sua narrazione».

Neanche tu lo ami.
«Ha avuto il coraggio che è mancato a me».

Fondare un partito?
«Esatto. Io ho sognato che la principessa della sinistra si svegliasse anche quando era evidente che restava in coma».

E adesso?
«È il tempo di un “Mondo nuovo”».

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