“Di Maio chiedeva ai lavoratori di denunciare, ora che sono stata licenziata si volta dall’altra parte”. Intervista alla sindacalista Atac Micaela Quintavalle
Licenziata dopo aver denunciato l'assenza di manutenzione dei mezzi in Atac, Micaela Quintavalle racconta i retroscena in un'intervista video a TPI
“Attaccavo Marino per le stesse motivazioni per cui ho attaccato questa giunta. E quando era all’opposizione, M5S si serviva delle mie parole per poter attaccare il Pd”.
Micaela Quintavalle, sindacalista ed ex dipendente Atac, non nasconde la delusione per la lettera di licenziamento che le è stata recapitata dopo 128 giorni di sospensione (qui una sua precedente intervista a TPI).
Assicura però di non essere arrabbiata. “Sono solo rassegnata e delusa, perché qui si deve preoccupare non solo l’autoferrotranviere, ma qualsiasi lavoratore. Qui si sta attaccando l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di espressione”, commenta in un’intervista video a TPI.
A maggio 2018 Micaela Quintavalle ha trovato il coraggio di rilasciare al programma televisivo Le Iene un’intervista in cui denunciava i malfunzionamenti e l’assenza di manutenzione degli autobus dell’azienda di trasporti pubblici romani.
“Proprio questa giunta licenzia una lavoratrice”, osserva Quintavalle, “dopo che Di Maio aveva detto: ‘Denunciate, ci saremo noi a difendervi davanti alle aziende’ se denuncerete qualcosa che non va. Ora invece fa orecchie da mercante di fronte a questo licenziamento”.
Per questa ragione il sindacato Cambiamenti-M410, di cui Quintavalle è segretario nazionale, il prossimo 12 ottobre ha organizzato – insieme allo sciopero di 24 ore in Atac – anche un sit in via Veneto, davanti alla sede del ministero del Lavoro, per chiedere un incontro al ministro Di Maio.
“Ho avuto ufficiosamente un incontro con il Movimento Cinque Stelle in Campidoglio”, sostiene la sindacalista. “Sono quasi stata ricattata. Anzi, sono stata ricattata. Perché in Campidoglio mi hanno detto: il posto te lo salviamo, ma devi chiedere scusa e non denunciare l’azienda. Tutti i miei colleghi mi hanno detto che avrebbero accettato. Ma io ho preferito mettere in gioco il mio posto di lavoro in nome della verità”.