Affari di famiglia non dichiarati: mezzo governo non è trasparente
Non c’è obbligo di legge che tenga. Mezzo governo Draghi non vuole aprire bocca sugli affari portati avanti dai familiari più stretti. I ministri, i sottosegretari e pure i commissari governativi, entro 90 giorni dall’assunzione della carica, sono obbligati a comunicare se loro, i loro coniugi o i loro parenti entro il secondo grado sono titolari di imprese, hanno partecipazioni in qualche società o hanno fatto investimenti particolari. Sono tutte quelle situazioni in cui un intervento o l’omissione di un atto governativo, utile a incidere su tali patrimoni, potrebbe far scattare un conflitto di interessi. Ma niente.
All’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si occupa di vigilare su eventuali conflitti, sono state consegnate soltanto 133 dichiarazioni dei familiari dei titolari di cariche di governo e di altre 135 non ce n’è traccia. Lo evidenzia il presidente dell’Antitrust, Roberto Rustichelli, nell’apposita relazione consegnata alla Camera dei deputati, specificando che le informazioni necessarie l’Autorità può comunque recuperarle, ma con un lavoro che «comporta indubbiamente una non trascurabile perdita di efficienza e di efficacia delle attività di controllo».
Senza considerare i «non trascurabili rischi di incompletezza e l’intempestività dei risultati così raccolti». Per l’Antitrust va cambiata la legge. Quelle dichiarazioni sono infatti un obbligo giuridico ma, nel caso in cui non vengano presentate dai familiari dei titolari di carica, non scatta alcuna sanzione e in troppi fanno orecchie da mercante.
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