Meloni & Renzi: l’alleanza fiorisce sui Castelli romani
A Velletri Italia Viva si è alleata con la destra. Che ha vinto anche grazie all’exploit di una lista vicina a Casapound. Dopo Genova e Palermo, continuano le prove d’intesa fra Giorgia e Matteo
Una volta la chiamavano la «città ferrigna e piantagrane», con una storia di insofferenza per tutto ciò che appariva come costrizione o ordine venuto da Roma. Velletri, sessantamila abitanti, quaranta chilometri dalla capitale, d’altra parte si è sempre vantata del suo stemma storico: «Est mihi libertas papalis et imperialis», ho la libertà del papa e dell’imperatore. Una frase che per tradizione in città viene declinata con un piccolo errore nella traduzione: dal papa e dall’imperatore, per sottolineare quella nomea di insofferenza.
È una città che dal dopoguerra in poi – come buona parte dell’area dei Castelli romani – ha sempre avuto una tradizione profondamente antifascista, con la politica divisa, fino ad una ventina di anni fa, tra i repubblicani e gli eredi del Pci.
Eppure, oggi Velletri oggi ha un record inaspettato: è il Comune che alle recenti amministrative ha visto una lista civica nata dai militanti locali di Casapound prendere l’11% dei consensi, piazzandosi al terzo posto, dopo Fratelli d’Italia, primo partito, e il Partito democratico. Un cambiamento profondo, che dura ormai da anni, almeno dal 2018 quando Casapound – che all’epoca si era presentata con il nome e il logo del movimento postfascista – già aveva raggiunto il 9%.
La principale città dell’area dei Castelli romani ha segnato anche un altro record, quello del trasformismo politico. Le ultime elezioni amministrative sono state vinte dalla coalizione di destra (FdI, Lega, FI e la lista Difendere Velletri, emanazione di Casapound) grazie ai voti inaspettati di Italia Viva. Con tanto di saluto romano dal palco, da parte del rappresentante del partito di Renzi, l’ex sindaco e imprenditore Fausto Servadio, come testimonia un video: «Io non sono qui perché sono diventato di destra, qualche amico mi dice fai il saluto… Lo faccio volentieri». E a quel punto il braccio destro diventa teso. Applausi dalla piazza con i militanti di destra schierati sotto il palco.
Servadio, a capo di una impresa attiva nei service aziendali, è stato fino al 2018 primo cittadino di Velletri, sostenuto dal Partito democratico. Poi, con la nascita di Italia Viva, ha lasciato il partito, passando nelle fila del rottamatore fiorentino. Il partito di Renzi al primo turno si era presentato da solo, fuori dal campo progressista guidato dal Pd, alleato con il Movimento Cinque Stelle e con alcune civiche di sinistra. Poi al secondo turno Italia Viva ha deciso di fare il salto funambolico, apparentandosi con la destra estrema.
Apparentemente poteva sembrare una forma di ripicca verso i compagni di una volta; in realtà è il sintomo di una malattia più profonda. Già nelle amministrative dello scorso anno Italia Viva aveva guardato a destra, sostenendo Marco Bucci a Genova, candidato della coalizione Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Udc, condividendo il candidato di FdI a Palermo, Roberto Lagalla, vicino all’ex missino Musumeci, e alleandosi a Catanzaro con Lega e Forza Italia.
Vento meloniano
L’area a sud di Roma, zona dove una volta funzionava la scuola di partito del Pci in località Frattocchie e dove una città come Genzano veniva chiamata «la piccola Mosca», da anni vede uno spostamento di voti verso la destra. La tendenza è diventa chiara durante le ultime elezioni regionali, quando il candidato di FdI Francesco Rocca ha ottenuto la maggioranza dei consensi in quasi tutti i Comuni dell’area sud della città metropolitana: il 50,42% ad Albano, il 46,97% a Castel Gandolfo, il 46,71% nella “rossa” Genzano, il 48,55% a Grottaferrata, il 57,76% ad Ariccia, e il 64,14% a Velletri. Numeri paragonabili con quelli ottenuti dalla coalizione di destra nei due feudi tradizionali nella regione, le province di Frosinone e Latina.
Se il Partito democratico è riuscito bene o male a mantenere almeno lo zoccolo duro, il Movimento Cinque Stelle si è di fatto sgretolato, dimostrando di essere il lato più debole della coalizione costruita per le amministrative tra i due partiti principali della coalizione giallorossa.
A Velletri – città dell’ex ministra Elisabetta Trenta – è passato dal 10,44% del 2018 all’1,9%. A Pomezia, dove il partito di Giuseppe Conte aveva governato per due mandati, è sceso al 15,48%, dal 28,71% del 2018 (cifra che al ballottaggio aveva raggiunto cinque anni fa il 68,76% dei consensi). E anche l’esperienza civica che era nata a Latina nel 2016, con la lista Bene Comune, guidata da Damiano Coletta, è stata spazzata via, con una destra unita che ha raggiunto nelle ultime amministrative il 70,7%.
Marketing estremista
Il caso Velletri preoccupa soprattutto per il forte consenso che ha ottenuto la lista civica nata dal movimento Casapound. Nel 2017, a ridosso delle amministrative del 2018, il gruppo fondato da Gianluca Iannone organizzò la presentazione delle liste elettorali (oltre al simbolo della Tartaruga post-fascista, due liste civiche in appoggio) nel locale teatro dedicato a Gian Maria Volontè, facendo il pienone, con più di seicento partecipanti in platea. Numeri del genere non si erano mai visti per gruppi di estrema destra nell’area dei Castelli romani.
Era l’anno della scelta di Casapound di presentarsi alle elezioni con il proprio simbolo, a partire dalle politiche (dove il consenso fu minimo). A Ostia, nelle precedenti consultazioni amministrative, aveva ottenuto l’8%, facendo eleggere consigliere municipale Luca Marsella, oggi alla guida del movimento.
Per la sezione di Velletri del movimento post-fascista quel 2018 fu un successo che sorprese tutti, superando il 9% e ottenendo l’elezione di un consigliere. La coalizione di sinistra vinse di misura il ballottaggio, ma i segni dei tempi erano ormai evidenti.
L’ascesa dell’estrema destra nella principale città dei Castelli romani aveva avuto inizio quasi vent’anni fa, con l’insediamento di un’agguerrita sezione di Forza Nuova. Nel 2005 il caso Velletri finì anche in parlamento, dopo l’organizzazione di un convegno con la partecipazione dell’ex Nar Luigi Ciavardini.
All’incontro furono invitati molti esponenti dell’allora giunta di destra, guidata dal nipote dell’ex podestà della città in epoca fascista Bruno Cesaroni. Presenziò anche l’allora componente del governo locale Giancarlo Righini, oggi diventato assessore di punta in Regione Lazio per Fratelli d’Italia, con la delega al Bilancio e all’Agricoltura.
Dopo la protesta dei giovani militanti del Partito democratico, la tensione salì in città, con l’affissione di striscioni anonimi: «Il giorno seguente sono apparsi nella città manifesti e scritte con sopra la rappresentazione di scheletri di chiaro stampo razzista, sessista e antisemita recanti i nomi dei consiglieri comunali dei democratici di sinistra che più di altri si erano spesi in Consiglio comunale per la richiesta di condanna dei fatti avvenuti», si legge in una interrogazione presentata alla Camera dei deputati il 26 settembre 2005.
Il gruppo di estrema destra non aveva gradito l’aspra critica venuta dai democratici. Pochi mesi dopo il gruppo di Forza Nuova passò in massa nella neonata Casapound, iniziando a radicarsi ulteriormente nell’area a sud di Roma.
A Velletri hanno creato un pub, si sono appoggiati per molte iniziative a un negozio di abbigliamento che ha distribuito per anni il marchio Pivert, la casa di moda creata a Francesco Polacchi, dirigente storico del gruppo post-fascista.
Il leader locale, Paolo Felci, nel 2010 aveva preso la gestione di una squadra di calcio, sapendo che il consenso poteva nascere anche dagli spalti. Una serie di associazioni e iniziative parallele che riproducevano lo schema adottato da Casapound in tutta Italia, a partire dalla capitale. Dalle croci celtiche al marketing, in una ascesa che pochi hanno notato.
Laboratorio di provincia
Dopo l’elezione a consigliere comunale, Paolo Felci ha subito capito che doveva puntare le sue carte sui parenti maggiori di Fratelli d’Italia. Dai banchi dell’opposizione ha creato un solido asse con i rappresentati sia della Lega che del partito di Giorgia Meloni. Non solo.
Il riferimento politico immediato è diventato Giancarlo Righini, uomo di punta del partito nell’area dei Castelli, che era al secondo mandato come consigliere in Regione Lazio. Tante le iniziative comuni pubblicizzate sui social e sui giornali locali, legando di fatto l’attività politica del gruppo consiliare di Casapound al partito della premier.
In provincia puoi sperimentare meglio, senza i fari accesi dell’opinione pubblica. Una scelta che si è dimostrata alla fine vincente per la destra, che unendo le forze anche con la parte più radicale – e grazie all’aiuto dei renziani – è riuscita alle ultime amministrative a strappare dopo diciotto anni il governo alla sinistra.
Per le ultime elezioni Paolo Felci ha deciso di eliminare il simbolo di Casapound, creando una lista civica – Difendere Velletri – più spendibile e meno riconducibile al movimento fondato da Iannone.
Ma le modalità in fondo sono rimaste le stesse. Durante uno dei comizi i giovani del gruppo di estrema destra sono scesi in piazza in un unico blocco, organizzati e inquadrati. E il giorno della vittoria al secondo turno dal comitato locale di Difendere Velletri sono partite diverse automobili, con le bandiere tricolori: «A merde, dove siete!», era il grido mentre si avvicinavano alla sede del comitato elettorale del Partito democratico.
Raggiunto il Comune, l’abbraccio tra il consigliere uscente di Casapound Paolo Felci con il candidato sindaco di Fratelli d’Italia, Ascanio Cascella, ha mostrato plasticamente il peso della destra estrema.
Durante la campagna elettorale, la presenza dei massimi vertici nazionali e regionali del partito della premier era visibile sui palchi. Vero sponsor politico è stato il cognato ministro di Meloni, Francesco Lollobrigida, legato all’assessore regionale Righini. Sono venuti poi a dare un supporto alla larga coalizione della destra Chiara Colosimo e Maurizio Gasparri, oltre al responsabile regionale della Lega Claudio Durigon.
Le mire di Salvini
Matteo Salvini la sua presenza l’ha spesa soprattutto per fornire un assist pubblico all’impero di Antonio Angelucci, eletto deputato per la quarta volta, oggi membro del gruppo parlamentare della Lega. Proprio a Velletri il re delle Rsa e delle cliniche ha esordito nel campo della sanità privata, con una struttura presa in gestione negli anni Ottanta.
È rimasta chiusa per tantissimo tempo, dopo un’inchiesta della locale procura del 2009 – poi passata a Roma per competenza – e finita con un’assoluzione.
Da allora è in corso un braccio di ferro con la Regione Lazio per la riapertura della clinica, specializzata nelle riabilitazioni post-operatorie, uno dei settori più ricchi del mercato privato della sanità. In piena campagna elettorale per le amministrative, Salvini ha scelto come location per il suo comizio proprio il San Raffaele di Velletri, dando un chiaro segnale alla città. Una eventuale riapertura vuol dire tanti posti di lavoro, soprattutto nell’area dei Castelli romani. E in fondo è politica anche questa.