Marco Revelli: “McKinsey? Così il Recovery diventa un’occasione solo per pochi, non per l’Italia”
Il Governo Draghi ha deciso di avvalersi della consulenza della multinazionale McKinsey per l’elaborazione del Recovery Plan. La notizia è stata rivelata da Radio Popolare e confermata in un secondo momento dal Ministero dell’Economia, che ha stipulato un contratto dal valore di “25mila euro +Iva, affidato ai sensi dell’articolo 36, comma 2, del Codice degli Appalti, ovvero dei cosiddetti contratti diretti sotto soglia”, ma l’arrivo dei tecnici è stato deciso senza renderlo noto.
Secondoil politologo Marco Revelli su “quello che filtra dalla cortina di silenzio che avvolge il caveau in cui è asserragliato Draghi” possiamo fare solo delle ipotesi, ma “l’impatto è in prima battuta un impatto d’immagine”. “Viene in mente la poesia di Pascoli dove dice ‘mia madre disse un nome, si alzò alto un Nitrito’. Beh, al suono del nome McKinsey viene spontaneo farsi delle domande”… Per Revelli “già il fatto che dobbiamo ragionare su fonti giornalistiche a proposito di una questione così importante” solleva preoccupazioni.
Non so come qualificare questa scelta. Senza pudore? Fatta apposta per scioccare e cioè presentare pur senza parlare il proprio vero volto? Perché tirare nel gioco del Recovery Fund una delle principali agenzie non solo di “consulenza aziendale” ma di promozione della globalizzazione nella sua forma più aggressiva, la globalizzazione finanziaria, è come mettere uno squalo nell’acquario: mettere a disposizione di questo che è a tutti gli effetti un potere forte globale anche dei dati sensibili relativi ai nostri interessi strategici. Un manifesto di ultra liberismo militarizzato. Del retrogusto militare ne avevamo già avuto un assaggio con il generale Figliuolo che si presenta al ministro della Sanità in tuta mimetica, come dire in tenuta da combattimento. Adesso abbiamo l’altro risvolto.
La Mc Kinsey&co è una corazzata della globalizzazione finanziaria, sono quelli che hanno costituito il turbo motore della globalizzazione sin dalle sue origini. Io leggevo i loro rapporti, che anticipavano la globalizzazione quando per noi era ancora un termine un po’ esotico. Era un promotore a livello globale presso tutti i gruppi dirigenti di questo modello che ha spolpato il pianeta usando tutti gli accorgimenti della comunicazione per ‘épater le bourgeois’ attraverso i numeri fuori scala e fuori misura. Ricordo uno dei primi report della McKinsey: per dare idea del valore del capitale finanziario circolante – in forma astratta – nei grandi circuiti dei mercati globali, avevano creato l’immagine di una colonna di biglietti da mille dollari, uno sull’alto, per un’altezza quasi pari alla distanza della terra dalla luna. Questo per ostentare la potenza di fuoco della finanza globale in grado di sottomettere qualsiasi bilancio nazionale e travolgere qualsiasi resistenza “locale”. Ora scopriamo che sono tra gli advisor del governo.
Gli stessi giornalisti che oggi suonano il violino di spalla per tutto quello che il grande salvatore fa lo avrebbero cosparso di catrame e piume d’oca e lo avrebbero fatto girare tra le piazze. Lo avrebbero massacrato. Noi ci saremmo immaginati da quello che scrivevano che Draghi si sarebbe messo lì con la matita biro a scrivere da solo nel suo caveau i capitoli del Recovery Fund. Ora scopriamo che il povero Conte aveva creato una macchina forse pletorica che comunque aveva al suo interno meccanismi di ascolto. Qui non c’è né ascolto né comunicazione.
Tutto quello che stiamo dicendo è basato su frammenti di notizie e può darsi che questo scandalo venga ridimensionato, ma lo scandalo nasce dal silenzio. Se ci fosse un minimo di trasparenza non saremmo qui a fare delle ipotesi.
L’impatto in prima battuta è soprattutto un impatto d’immagine, come nella sostituzione del commissario unico Arcuri. Un cambiamento di codice che definisce un profilo o un’identità. Lì si passava da un manager civile a un generale, qui da una rete di esperti in buona parte appartenenti alle tecnostrutture ministeriali a un’agenzia apolide globale che non credo disegnerà l’architettura, ma svolgerà un ruolo di controllo, sovrintenderà ad alcuni capitoli. La scelta però comunica un codice identificativo come quello degli aerei. E ci fa sapere che quel governo ha quell’identità lì, non si fa controllare i conti dal Parlamento ma da un’agenzia globale.
Sta dentro l’orizzonte del “privato al primo posto”, che diventa in qualche misura la cifra di questo cambio di cavallo nella funzione di governo da Conte a Draghi. Siamo passati da un populismo dolce a un verticismo duro, o un elitismo duro che ha come chiave la minimizzazione della funzione del pubblico e la massimizzazione di quella del privato. In Italia il privato è un blocco di potere in cui predominano le componenti economiche finanziarie speculative parassitarie. Questo è il capitalismo italiano oggi: sono i Benetton, sono Autostrade, il modello Ilva, sono Bonomi e Bonometti che hanno avuto come unica vocazione nel corso della pandemia la richiesta di tenere tutto aperto, gli immobiliaristi romani, ma non solo romani. Sono il capitalismo molecolare padano che vive di compressione salariale in assenza di sindacato. Sono il gruppo Elkann che molla l’industria e diventa finanziario, che molla l’Italia e diventa globale. Che ha nel suo Dna la funzione di spolpare il Paese, quello che Luciano Gallino ha scritto in “Finanzcapitalismo”, una macchina che preme in basso per concentrare in alto le risorse, ne sa qualcosa Mc Kinsey perché la interpreta, la promuove, la descrive.
Un momento in cui scopriamo com’è conciato socialmente il nostro Paese: una parte consistente di popolazione, quasi un italiano su 10, è sotto la soglia della povertà assoluta, che è una soglia feroce perché segna la differenza tra chi non ha nemmeno il minimo indispensabile per vivere una vita dignitosa e chi in qualche misura ce l’ha, ma non è detto che chi sta al di sopra di quella soglia sia benestante, tutt’altro. È costretto a nuotare con tutte le proprie forze per restare a galla, dove c’è un bel pezzo di ceto medio. In 30 anni l’Italia non è mai riuscita a gestire la fine del lungo ciclo industriale fordista e il passaggio a questo nuovo modello. Alcuni Paesi hanno visto crescere le disuguaglianze ma non nella misura in cui l’abbiamo visto noi, nell’abbassamento in termini di reddito di una parte così consistente della popolazione. L’Italia ha fallito quel passaggio in un momento delicato anche perché una persona che si chiama Mario Draghi ha messo in atto uno dei più massicci programmi di privatizzazione del mondo. Un trapasso di proprietà da mani pubbliche a private in cui un bel po’ del nostro patrimonio industriale si è volatilizzato ed è diventato capitale finanziario entrando nei grandi circuiti descritti da McKinsey.
Per usare il titolo di un bel libro di Garcia Marquez, non c’è dubbio che si è trattato di una morte annunciata, con il senno di poi appare ancora più evidente. Dall’estate del 2018 a ieri carsicamente sui giornali, che esprimono il punto di vista dei loro proprietari, dei gruppi dominanti l’indicazione del nome di Draghi è ritornata. Ogni volta che sembrava possibile dare una spallata a Conte, veniva l’invocazione di Draghi. È successo cinque o sei volte. Questo blocco di potere economico finanziario non si è mai rassegnato ai risultati di quelle elezioni, ha sempre pensato di cancellarle in nome del primato del pilota automatico evocato dallo stesso Draghi nel 2013 e nel fatto che i fondamentali dell’economia devono essere in mani sicure, e quelle dei cinque stelle erano considerate poco sicure. Quando sembrava che la maggioranza giallo verde si rompesse perché la Lega ascoltando Confindustria aveva imposto il rovesciamento delle politiche delle infrastrutture rispetto al Tav le madamine in piazza sognavano il banchiere di Dio, e poi dopo il Papeete, poi all’inizio della pandemia, finché alla fine grazie al ‘killeraggio’ di Matteo Renzi l’operazione è riuscita. Dopo che i 5 stelle si erano dissanguati e avevano perso pezzi per strada, dopo che le faide interne al Pd si erano consolidate, alla fine è riuscito il gioco.
Sta diventando sempre di più con chiarezza l’occasione unica per alcuni, mica per tutta l’Italia, per quelli che hanno i denti aguzzi e sono in grado di masticare un pane così impegnativo come il tesorone del Recovery. Ci sono quelli specializzati nel mettere le mani sulle risorse pubbliche e privatizzarle, che hanno brindato quando è nato il governo Draghi. Poi speriamo che almeno qualcosa vada in assistenza, in sostegno alle famiglie e ai disoccupati, a quei cinque milioni e mezzo che son sotto la soglia di povertà, che vadaa rafforzare il reddito di cittadinanza che vogliono abolire o ridimensionare. Speriamo, ma i segnali non sono incoraggianti.
Con Conte non dico che ci sarebbe stato un governo orientato alla giustizia sociale perché questo Paese non sa bene cosa sia ma sicuramente ci sarebbe stata un po’ più di attenzione all’Italia in sofferenza, un pezzo di quel popolo di cui Conte diceva di voler essere l’avvocato. Avvocato dei poveri qualcuno ce n’è , banchieri dei poveri ce n’è solo uno nel mondo, quello del microcredito, si chiama Yunus, ma non mi pare che Draghi sia specialista in microcredito.