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“La lotta non è più tra destra e sinistra, ma tra élite e popolo”: intervista a Massimo Fini

Immagine di copertina
Massimo Fini

"Non è detto in assoluto che la democrazia sia migliore di una dittatura. Ci sono state dittature che funzionavano meglio"

“Vorrei essere un talebano, un kamikaze, un afghano, un boat people, un affamato del Darfur, un ebreo torturato dai suoi aguzzini, un bolscevico, un fascista, un nazista. Perché più dell’orrore mi fa orrore il nulla”.

Basterebbero queste sue stesse parole per presentare Massimo Fini, giornalista, scrittore e autore di un vero e proprio manifesto dell’antimodernismo.

Lei ha attaccato duramente la democrazia, ma esistono alternative migliori?

Non è detto in assoluto che la democrazia sia migliore di una dittatura. Ci sono state dittature che funzionavano meglio. La democrazia, come poi si è realizzata nella sua concretezza, e come ammesso da studiosi del calibro di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, non è il governo del popolo ma un governo di oligarchie o di poliarchie.

In quanto tali, dunque, non hanno alcuna legittimazione. Nel Medioevo, ad esempio, vi era la nobiltà che aveva numerosi privilegi, ma si dava nello stesso tempo anche dei doveri: difesa del territorio, amministrazione della giustizia.

Questo sistema si rompe quando i nobili affidano il mestiere delle armi ad altri, come si rompe l’unica forma di democrazia diretta, che era la democrazia del villaggio, dove a decidere era l’assemblea dei capifamiglia.

Questo tipo di democrazia diretta, immaginata anche da Rousseau, era possibile in contesti ristretti e ben definiti. Una democrazia diretta a livello globale, a cui pensava anche Casaleggio e a cui forse pensano ancora i Cinque Stelle, non è possibile perché dovremmo decidere di cose che non sappiamo.

Mentre, l’assemblea del villaggio decideva del suo piccolo contesto. L’ideale, oggi, sarebbe un governo di aristocrazie intelligenti con alcuni precisi doveri, ma dubito di trovare in giro aristocrazie intelligenti.

Lei ha dichiarato di non andare a votare. Da quanto tempo non trova qualcuno che possa rappresentarla?

Fatta eccezione per quando ero giovanissimo, e non sapevo bene quel che facevo, ho votato una sola volta la Lega delle origini, quella di Bossi, che sembrava rompesse qualcosa.

A dirla tutta, in Italia non c’è una democrazia, ma una partitocrazia. La Costituzione poi non concede tutti questi poteri ai partiti, che sono citati in un solo articolo , il 49: ‘Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’.

È un diritto potersi associare, non un dovere, mentre poi i partiti si sono impossessati di tutti gli altri articoli. I partiti sono mafie organizzate, senza ovviamente i delitti della mafia; anche se ciò non vale sempre, tanto per ricordare il caso Ambrosoli.

I partiti non sono l’essenza della democrazia, come sempre si dice, ma sono la fine della democrazia.

Nonostante ciò, fa comunque un distinguo fra i diversi governi che si succedono?

Pur essendo cantore di un pessimismo universale, voglio sperare che questo governo, soprattutto nella parte che riguarda i Cinque Stelle, che è del tutto nuova, smussi questo sistema partitocratico.

La Rai rappresenta una prova, se non si comporteranno come gli altri e sceglieranno soltanto per merito, già sarà qualcosa. Alcune cose concrete però già le hanno fatte: rinunciare a parte dello stipendio, la creazione di un piccolo fondo per le imprese.

Conosco alcuni dei ragazzi (Di Maio, Di Battista, Casaleggio), sono persone oneste. Detto questo, per il qui e ora, resto un socialista libertario. Vivo in un sistema democratico e mi tocca difendere le regole della democrazia quando altri “democratici” le violano.

In linea più profonda, mi definisco un reazionario, sono cioè per un ritorno a una società pre- Rivoluzione industriale, pre-Illumismo. L’Illuminismo ha declinato la società verso forme marxiste e, verso quelle ancora più inquietanti, liberiste, dove ciò che domina non è neanche più un dittatore ma una cosa anonima che si chiama mercato.

Per le Europee prevede ci possa essere un sorpasso a destra dei movimenti populisti rispetto alla famiglia dei popolari?

Penso di no. Tuttavia, credo che Salvini – per il quale non nutro molta simpatia, perché è un razzista antropologico – una cosa intelligente l’abbia detta, e cioè che oggi la lotta non è più fra destra e sinistra, ma fra l’élite e il popolo. Cosa che peraltro avevo scritto già trent’anni fa.

Ci sono governi che guardano sempre e solo l’interesse della grande finanza, è ovvio che prima o poi il popolo si ribella. Parlando di Donald Trump, quando il ceto medio americano ha visto che la Clinton era appoggiata da tutta la finanza e la grande stampa internazionale, non si è sentito rappresentato da tutto questo e ha votato per l’alternativa.

Fino a qualche giorno fa, prima che lo stesso Trump minacciasse il Venezuela, gli Stati Uniti si erano comportati nel contesto internazionale in maniera diversa dal passato, ritirando, ad esempio, le truppe militari dalla Siria e in parte dall’Afghanistan e trattando una pace con la Corea del Nord.

È un imprenditore Trump, e quello che gli interessa sono i quattrini per il suo popolo. Lo slogan “America first” vuol dire proprio questo. Naturalmente, dovrebbe rispettare anche “Europa first” e, nel nostro caso, “Italia first”.

Poi noi siamo i primi a non farci rispettare, da sempre siamo servi, fedeli come i cani, agli americani. Per giunta siamo poi anche sleali, come racconta la storia dell’Afghanistan.

Cosa ne pensa del fatto che i Cinque Stelle, in particolare Di Battista, abbiano accusato la Francia di tenere l’Africa sotto scacco?

Diciamo che è Alessandro a essere d’accordo con me. Ha perfettamente ragione. La Francia è il paese che più di tutti gli altri ha conservato una mentalità coloniale, se si legge Le Monde si può vedere come è tutto dedicato a paesi africani, dove la Francia domina ancora alla vecchia maniera.

La Cina, invece, anziché fare guerre assurde pensa ad occupare economicamente i paesi. Poi alla radice del disastro africano, c’è l’ingresso nel continente nero del “modello occidentale”.

Di questo siamo responsabili tutti, anche noi italiani, che abbiamo distrutto le economie di sussistenza di quei paesi, basate su autoproduzione e autoconsumo, sulle quali questi popoli avevano vissuto, e a volte anche prosperato, per secoli.

Non si erano mai viste tali proporzioni di immigrazione, come quelle che ci sono adesso.

“Non l’Isis, ma la scienza il più grande pericolo per l’Occidente”, titolava un suo editoriale. Ci può dire di più?

Per scienza va intesa, qui, l’applicazione tecnologica della scienza. La scienza, la conoscenza è consustanziale all’uomo, è ciò che lo distingue dalle altre creature. Non è detto però, che tutto ciò che conosciamo debba essere poi applicato.

Con le applicazioni della genetica, ad esempio, ci stiamo progressivamente allontanando dalla natura. Io non ho il mito della natura, ma la natura ha creato le sue leggi in milioni di anni, mentre magari un Nobel fa un’invenzione straordinaria, ma non conosce tutte le variabili che mette in giro.

Tutta la storia della tecnologia, dalla Rivoluzione industriale in poi, dimostra che la tecnologia allontana gli uomini dagli altri uomini, ma li allontana anche da se stessi.

Nell’epoca ipertecnologica, cosa vuol dire essere antimoderni?

Vuol dire tornare a una vita più semplice, meno complessa, più lenta. Non occorre pensare a un modello di vita pre-Rivoluzione industriale.

Nella Milano vissuta da ragazzo eravamo tutti più poveri, ma anche più sereni, c’era ancora un senso della comunità. È diverso essere poveri fra altri poveri, rispetto ad essere poveri mentre si è circondati dalla ricchezza, circostanza quest’ultima che fa scatenare il sentimento dell’invidia, su cui si basa tutto il nostro sistema.

Come scriveva Mises: ‘Il vagabondo invidia l’operaio, l’operaio invidia il capo officina, il capo officina invidia il dirigente, il dirigente invidia il padrone che guadagna un milione di dollari, costui quello che ne guadagna tre’. E così via. Esattamente su questo si fonda l’infelicità umana.

Questo sistema ha creato bisogni di cui l’uomo non aveva mai sentito il bisogno. Si afferma la legge di sé. La legge della domanda-offerta si basa ormai su una domanda che non ci serve, o ci serve poco.

L’altra sera sono andato a cena con degli amici, subito dopo aver preso il tavolo, tutti avevano il tablet in mano. Allora gli ho detto: ‘Siamo venuti per chiacchierare o per farci una sega con il nostro tablet?’.

Cos’è il progresso?

Intanto non occorre confondere il progresso con lo sviluppo. Il progresso si è rivelato uno straordinario regresso, sul piano delle relazioni umane, sul piano della solidarietà, sul piano della comunità, sul piano della vita quotidiana in generale.

La grande speranza nata dopo la Rivoluzione industriale, ovvero di garantire la felicità per gli uomini, da Marx in primis fino ai liberali, si è rivelata un’illusione.

Le nostre classi dirigenti drogano un cavallo già dopato, sperando che faccia ancora qualche passo, tanto quando crollerà, loro saranno morti e non potremmo neanche impiccarli al più alto pennone di una nave. Sarò morto anch’io, altrimenti li avrei potuti impiccare personalmente.

La depressione – si evince da “Confesso che ho vissuto. Esistenza inquieta di un perdente di successo” (Marsilio, 2018) – è quasi una conseguenza del modello di vita occidentale?

Certamente. Da quando la Cina ha assunto il nostro modello, la prima causa di morte fra i giovani è il suicidio, mentre è la terza fra gli adulti. In Giappone, che ha adottato il modello occidentale, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il suicidio è la prima causa di morte.

Che questo sia un contesto disumano è evidente, soprattutto nelle grandi città.

Lei ha lavorato anche alla riabilitazione della figura di Nerone. Perché la storiografia lo avrebbe trattato male?

Semplicemente perché la storia la scrivono i vincitori. Dato che Nerone aveva fatto molto per l’economia della plebe e per le classi produttive, contro gli interessi dell’aristocrazia, è stato costretto poi dal Senato ad uscire di scena.

La storia di Nerone l’ha scritta Tacito, che apparteneva alla classe senatoria. Poi ci sono le leggende completamente false, come quella dell’incendio di Roma. Nessuno storico né antico né moderno ha avvalorato tali tesi.

Io cerco di smentirle. Io dico che era un fiorentino più che un romano, ovvero una sorta di principe rinascimentale. Il solo delitto di Nerone che corrisponde a realtà, è l’omicidio della moglie. Moglie che fu costretto a sposare per ragioni dinastiche, che nulla aveva a che vedere con la sua curiosità e con le sue attività.

Oggi però, occorre ricordare i suoi meriti, come la grandiosa riforma monetaria e la messa a punto dell’apparato burocratico. Inoltre, in termini moderni potremmo dire che è stato uno show-man, un grande comunicatore, non a caso il popolo lo amava.

Non poche volte i suoi articoli hanno generato polemiche. In molti le hanno affibbiato l’etichetta di misogino. Cosa ne pensa del femminismo e dei movimenti nati negli ultimi anni?

Il movimento Me-Too ha posto un problema reale, gli uomini di potere spesso approfittano della loro posizione per ricattare le donne e portarsele a letto. Però, ha aperto anche un vaso di Pandora.

Abbiamo visto uomini essere accusati di molestie avvenute addirittura trent’anni prima. Io ho molti lettori che chiedono di incontrarmi, se sono ragazzi li faccio venire a casa mia, se sono ragazze le aspetto al bar. Basta ormai che qualcuna faccia un’accusa e si è spacciati. Posto che il punto di partenza è giusto, ha reso ancora più difficili i rapporti fra uomo-donna.

C’è qualcuno che ha influito di più nella sua formazione?

Senza dubbio Nietzsche, del quale ho scritto anche una biografia. Ci sono ovviamente anche altri, come Dostoevskij e Kafka. Non ho scritto un’esegesi del pensiero nietzscheano, sul quale già vi era una sterminata bibliografia, ma mi sono concentrato sull’uomo Nietzsche. Il pensiero è sullo sfondo.

Attraverso l’uomo poi si capisce anche la sua filosofia, che è esattamente il contrario di quello che lui è stato. È uno strano fenomeno di un genio che non ha carattere. Alla fine però conta quello che ha scritto, lui è stato un antropologo dell’esistenza.

A differenza di Marx, l’altra colonna portante dell’Ottocento, che è diventato obsoleto, Nietzsche è fecondo ancora oggi, e lo sarà ancora per secoli, sempre che l’umanità sopravviva.

Ha qualche rimpianto?

Forse sì, con una donna con la quale c’è stato un grande amore. Eravamo ancora troppo adolescenti, nonostante non lo fossimo anagraficamente, per accettare che un rapporto potesse perdere di qualche punto d’intensità, come era normale dopo dieci anni.

Non siamo stati capaci di trasformare il rapporto. Intanto, abbiamo vissuto quegli anni splendidi, poi tutto a un certo punto deve finire.

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