Mancata zona rossa, Conte ai pm: “Ho deciso io con massima precauzione”
Il colloquio con la pm di Bergamo Rota è durato più di tre ore
“Ho deciso io”. Ha dichiarato il premier Giuseppe Conte, venerdì 12 giugno, dopo che la pm di Bergamo Maria Cristina Rota ha raccolto a Palazzo Chigi a Roma la sua deposizione sull’inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, nel Bergamasco. Dopo aver ascoltato la versione del governatore della Lombardia Attilio Fontana e quella dell’assessore Giulio Gallera nelle scorse settimane, i magistrati hanno deciso di approfondire quali decisioni sono state prese per i due comuni lombardi e se esistono delle responsabilità.
Il colloquio tra il premier e la pm è durato circa tre ore, durante le quali Conte ha ribadito, come ha ripetuto negli ultimi mesi, che la Regione Lombardia aveva gli strumenti tecnici per agire in autonomia come hanno fatto altre Regioni. Nel corso delle indagini, la Procura ha acquisito tutto il materiale d’inchiesta esclusivo di TPI, come la nota ufficiale di risposta che il premier ha inviato al nostro giornale per spiegare di chi era la responsabilità di istituire la zona rossa nella Val Seriana. Acquisite anche le dichiarazioni di Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, e la lettera di Giuseppe Marzulli, il direttore dell’ospedale di Alzano che il 25 febbraio chiedeva di chiudere l’ospedale a causa del Covid-19 rimanendo però inascoltato. Tutte testimonianze, queste, raccolte da TPI e dalla giornalista Francesca Nava.
Il presidente del Consiglio ha affrontato il colloquio con i magistrati con “coscienza serena”. Alla fine, Conte ha detto ai suoi ministri: “Ho chiarito tutto. Non ho paura di avvisi di garanzia” e ha rivendicato ogni singola decisione assunta dal 3 al 7 marzo. Anche quando il 2 marzo l’Istituto Superiore di Sanità e il Cts chiedevano con una nota al governo la chiusura dei due comuni di Alzano Lombardo e Nembro, come abbiamo rivelato nella prima parte dell’inchiesta a firma di Francesca Nava. In quell’occasione Palazzo Chigi rifiutò i consigli della scienza e andò avanti. Il motivo? I dati del 3 e 4 marzo – spiega Conte – indicavano un andamento del contagio “ormai critico” in buona parte della Lombardia e non solo ad Alzano e Nembro. Secondo il premier, “ci si trovava di fronte a un caso diverso rispetto a quello di Codogno, dove fu subito decretata la zona rossa. La differenza è che il focolaio non è isolato, ma esteso ad ampie aree della regione”. Solo il 5 marzo, ha ammesso il presidente del Consiglio, l’esecutivo ha sollecitato un approfondimento al presidente dell’Iss Brusaferro, che arrivò il 5, ribadendo che quei due comuni dovevano essere chiusi.
Dopo il colloquio con i pm, Conte ha parlato di un nuovo dettaglio: il 6 marzo mattina si recò alla protezione civile “pronto a firmare il provvedimento per le zone rosse ed esaminando i nuovi dati”. Ma Conte e Roberto Speranza (sentito ieri dai pm assieme alla ministra dell’Intero Luciana Lamorgese) si convinsero della necessità di una “misura ancora più radicale” (così disse il premier anche in conferenza stampa il 6 aprile 2020 rispondendo a una domanda di TPI), cioè il lockdown dell’intera Lombardia. Ma, come sappiamo, rendere la Lombardia zona “arancione” è stato completamente diverso rispetto a istituire una zona rossa militarizzata, perché le attività produttive sono rimaste aperte e i contagi si sono moltiplicati.