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Non è Draghi a essere grillino, sono i grillini a essere draghiani

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Non è vero che Draghi è grillino, sono certi grillini ad essere ormai irrimediabilmente diventati draghiani. Intimoriti o interessati, i ministri a 5 stelle hanno dato prova di incapacità politica, pavidità, accidia e inadeguatezza. Roba da chiedere scusa ai milioni di elettori che li hanno sostenuti, posto che molti di loro non gli rivolgerebbero più la parola.

Il fallimento dell’ala governista del M5S è un dato di fatto e solo chi è “interessato” al governo o chi ormai ha la carta intestata ministeriale davanti agli occhi non riesce ad ammetterlo. Immagino che Cadorna si rese conto della disfatta di Caporetto così come i francesi travolti dall’astuzia militare del generale Giáp a Ðiện Biên Phủ. I draghini a 5 stelle no.

Negano l’innegabile, difendono l’indifendibile inimicandosi ogni giorno migliaia di iscritti che, ingenuamente, cinque mesi fa, credettero alla barzelletta del “controlliamo dall’interno”. Mai vista una débâcle tale nella storia repubblicana.

Una forza politica che, tre anni fa – sebbene pare sia passato un secolo – prese il 33% dei voti grazie a sacrosante istanze di cambiamento e che finisce a portare il caffè a chi un tempo diceva di voler spazzar via accontentandosi, in modo dozzinale, di mancette composte, oltretutto, da banconote false.

Sì perché la litania dell’ “abbiamo ottenuto il massimo” è ormai stucchevole, ipocrita, inascoltabile. I genuflessi a 5 stelle hanno costretto chi vanta ancora una spina dorsale ad abbandonare l’amore di una vita. L’hanno fatto ingannando gli iscritti con un quesito truffaldino basato su un super-ministero alla transizione ecologica capeggiato da un uomo pro-Tav, pro-trivelle e pro-nucleare.

L’hanno fatto facendo credere che la Lega sarebbe rimasta fuori dal governo. Invece il Carroccio signoreggia, così come l’ala renziana del Pd. L’hanno fatto facendo credere che il solo modo di difendere le conquiste contiane e pentastellate sarebbe stato entrare nella stanza dei bottoni, stanza dove altri pigiano mentre i ministri a 5 stelle fanno i bottoni.

Se si rivotasse oggi, i No trionferebbero. Erano fautori del recall: perché non chiedono agli iscritti conferma del loro ottimo operato?

L’ultima settimana è stata un bagno di sangue. Salario minimo sparito dai radar, Berlusconi proposto al Quirinale senza che nessun esponente del Movimento osasse aprire bocca, cash-back prima cancellato e poi sospeso per la gioia dei grillini draghiani che non si rendono neppure conto di essere stati intortati. Quattrini trovati da Giorgetti (100 milioni di euro) per un bonus Tv che non favorisce l’industria italiana e che, soprattutto, non è legato all’Isee: questo sì che è un regalo ai ricchi.

Ieri si è iniziato a picconare il Decreto Dignità e sempre ieri un pezzo della riforma sulla prescrizione è finita nell’oblio. Oltretutto lo stop alla prescrizione era una norma voluta da tutto il Movimento, presentata in campagna elettorale nel 2018 e che è costata la testa del ministro Bonafede. E i governisti, al posto di difendere una conquista, si calano le braghe facendo credere a questo punto che tale riforma fosse un capriccio dell’ex guardasigilli e non la linea politica scelta negli ultimi 10 anni.

La prescrizione è di fatto tornata, per la gioia di chi ha denari e potere. Solo che si chiamerà “improcedibilità”. Le decennali truffe semantiche che hanno caratterizzato le scelte partitocratiche degli ultimi 30 anni continuano evolvendosi.

L’impunità è tornata, così come il finanziamento pubblico ai giornali, così come i licenziamenti, così come la vendita di armi a paesi che sganciano missili sullo Yemen, così come i piccoli grandi condoni, così come il bombardamento mediatico a danno dei magistrati per bene, così come le mancette elettorali in legge di bilancio.

Il Congresso di Vienna sancì il trionfo della Restaurazione in Europa. Ma – diamine – allora gli sconfitti persero sul campo, non nei corridoi ministeriali. Allora c’era Metternich, mica Brunetta. Allora le idee (sane) della rivoluzione francese avevano preso definitivamente campo e non potevano essere più cancellate. Qui è a rischio anche il reddito di cittadinanza.

I governisti, auto-proclamatisi “responsabili”, hanno dato prova di grave irresponsabilità perché si dovrebbe essere responsabili anche nei confronti degli elettori, degli iscritti, dei volontari che si sono fatti il mazzo rimettendoci denari e tranquillità familiare, degli attivisti che hanno garantito loro rapide quanto effimere, a questo punto, carriere politiche.

Non solo, il loro quotidiano e sbandierato sostegno a Conte pare – ahimè – un esercizio svolto più per convenienza che per convinzione, altrimenti non si spiegherebbero tali timorosi ossequi al cospetto dell’altissimo che li tratta da scolaretti.

A Draghi bastano un paio di telefonate per portarsi dalla sua parte chi un tempo riteneva irriverenza e intransigenza dei valori. Se cinque mesi fa gli avessero detto che il suo compito sarebbe stato così facile, non ci avrebbe creduto. Come io, del resto, ad Arcore, dopo aver letto sotto casa di Berlusconi insieme a centinaia di persone la sentenza Dell’Utri, mai mi sarei immaginato di vedere i miei ex colleghi non solo sedersi di fianco a ministri berlusconiani ma votarci insieme una riforma della giustizia credendo, oltretutto, che le rimostranze di Forza Italia fossero un segnale di vittoria, quando sono solo la conferma che sanno fare le trattative meglio di loro.

Urge una presa di posizione del gruppo parlamentare del Movimento, urge per dignità, per rispetto della Costituzione e anche per mera autoconservazione. Come pensano di prendere i voti tra due anni? Con la tiritera della responsabilità mentre in Italia ci sarà la fame? Con la balla della governabilità quando per i piccoli imprenditori sarà sempre più difficile governare la propria azienda? Con la presunta evoluzione quando i dati socio-economici saranno nettamente peggiorati?

In politica servono idee ma serve anche coraggio. Martin Luther King disse: “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”.

TUTTI GLI ARTICOLI DI ALESSANDRO DI BATTISTA
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