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Dai gilet gialli all’alleanza col Pd, l’evoluzione M5S dalla piazza all’establishment

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La trasformazione del Movimento Cinque Stelle dalle elezioni del 4 marzo 2018 fino ad oggi

Dai gilet gialli all’alleanza col Pd, l’evoluzione M5S dalla piazza all’establishment

L’evoluzione M5S dai gilet gialli all’alleanza col Pd – È una vita in bilico quella dei populisti al governo. Un equilibrio difficile, che bisogna mantenere per non perdere né il potere né – possibilmente – il consenso. È questa la situazione del M5S, che in questi giorni sta negoziando sulla formazione di un nuovo governo con il Pd, il partito contro il quale fino a poche settimane fa puntava il dito, arrivando a definirlo addirittura “partito di Bibbiano”.

Da una parte il Movimento punta a mantenere la propria identità, costruita nel tempo sull’insoddisfazione delle persone per il fallimento dei partiti “tradizionali”, dall’altra i vertici M5S sono costretti a mettere in campo il pragmatismo necessario a chi governa. Questo passa necessariamente per alleanze e compromessi, anche nei confronti del Partito democratico, che finora aveva attaccato duramente come forza politica dell’establishment per eccellenza.

Solo pochi mesi fa, Luigi Di Maio incontrava a Parigi i gilet gialli, il movimento di protesta nato in Francia che si opponeva a Emmanuel Macron. Il presidente francese ha trovato invece in Matteo Renzi uno dei suoi grandi ammiratori e sostenitori.

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Ora, di contro, il Movimento ha aperto all’alleanza con un Pd che, anche se ha cambiato segretario, in parlamento conserva una maggioranza di parlamentari renziani.

Questo passaggio fornisce la misura di quanto sia cambiato il Movimento Cinque Stelle dalle elezioni del 4 marzo 2018 fino ad oggi.

Non è la prima trasformazione importante del movimento. Su TPI abbiamo già raccontato la metamorfosi dal Vaffa-day a “partito della responsabilità” avvenuta dopo le elezioni del 4 marzo 2018, dopo le quali il Movimento Cinque Stelle ha sottoscritto il contratto di governo con la Lega di Matteo Salvini.

Ora, dopo la crisi di governo innescata dal leader del Carroccio, M5S è di fronte a un nuovo compromesso: scendere a patti con il Pd di Nicola Zingaretti, con la benedizione del tanto avversato Matteo Renzi.

Da ogni compromesso però nascono dei sacrifici. Se con l’alleanza con la Lega il Movimento ha sacrificato la sua anima più umanista, un accordo col Pd lascerà probabilmente fuori quegli esponenti che trovavano congeniale il “matrimonio” con l’altrettanto populista Salvini. E già sembra esserci una fronda interna – minoritaria – contro il capo politico Luigi Di Maio.

In questo quadro si colloca il voto su Rousseau. A che serve chiedere agli iscritti alla piattaforma, visto che le trattative sono già partite e l’accordo sembra in discesa?

Il ricorso al voto online rimane un’utile valvola di sfogo, per scaricare le responsabilità (lo hanno deciso gli iscritti…), ma anche un modo per ribadire: siamo sempre noi, quelli dell’uno vale uno e della democrazia diretta. Fino a quando, però gli elettori saranno disposti a crederci?

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