Nel M5s è caos: Di Maio costretto a dire sì al PD, Di Battista furioso e in fuga
M5s in subbuglio, Di Maio all’angolo. Se c’è qualcuno, nel Movimento Cinque Stelle, che sembra tutt’altro che felice di siglare un accordo col PD, questo è sicuramente Luigi Di Maio.
Come riporta Annalisa Cuzzocrea in un retroscena pubblicato oggi su Repubblica, Di Maio ha sperato durante tutta la trattativa coi dem (e forse spera ancora) che la frattura con Salvini potesse ricomporsi e che si potesse ricreare un’alleanza gialloverde.
Cosa l’ha frenato dunque? Il fatto che nel Movimento il vento sia cambiato: ormai i filoleghisti sono in minoranza, e il capo politico è stato in qualche modo costretto ad assecondare la volontà preponderante nei gruppi parlamentari.
Ma tra i pentastellati il clima che si respira è pesante: il fronte leghista è minoritario ma esiste, ed è guidato da un nome importante come Alessandro Di Battista. Quest’ultimo, ieri non era presente al vertice decisivo.
Ennesimo segnale di una frattura sempre più profonda tra i grillini. Sul fronte di Di Battista c’è anche Davide Casaleggio, ostile all’alleanza con il PD, caldeggiata invece da Beppe Grillo.
In tutto questo, c’è di mezzo anche il voto degli iscritti alla piattaforma Rousseau, che dovrà ratificare l’eventuale intesa coi dem.
“A giudicare dal monitoraggio dei social – scrive Annalisa Cuzzocrea – il voto su Rousseau è un rischio. Serve tempo, un accordo blindato, magari un nuovo intervento di Grillo, per far sì che non sia un azzardo. Di certo, in questa fase è stato messo nell’angolo chi remava decisamente contro l’intesa. Di Battista non era al vertice decisivo di ieri, la sua linea è stata sconfessata nel momento in cui il garante ha scelto la carta Conte. Senza alcun cedimento alle istanze barricadere dell’ex deputato”.
Per Di Maio, intanto, è iniziata una partita ancora più importante: tenere un ruolo di primo piano nell’esecutivo giallorosso, se mai si formerà. Ma, se così dovesse essere, potrebbe essere proprio lui uno dei principali ostacoli per una svolta programmatica “a sinistra”. Perché la nostalgia di Salvini continua a mordere.