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Home » Politica

M5S, Pizzarotti a TPI: “Io l’avevo detto che sarebbe finita così. Il Movimento crolla perché non ha contenuti né dirigenti all’altezza”

Immagine di copertina
Credit: Emanuele Fucecchi

Intervista al sindaco di Parma, ex pentastellato: "Il caos di oggi era ampiamente prevedibile. Ma la scissione non ci sarà, si troverà una mediazione che permetta a tutti di non perdere tutto. Casaleggio? Il padre è stato l'ideatore di una rivoluzione, il figlio era uno spettatore e non ha portato avanti l'ideale. Con i Cinque Stelle in crisi si torna al bipolarismo. Conte non può fare il leader del centrosinistra, meglio un amministratore locale. Bonaccini? (Ride) Questo lo lascio dire a lei"

“Un giorno il Movimento 5 Stelle arriverà a formare una grande assemblea di eletti. Lo dovrà fare per non farsi consumare dalle lotte intestine, che se non sono pubbliche e alla luce del sole possono diventare pericolose. Lo chiamerà congresso, meetup nazionale o in qualsiasi altro modo. Ma capirà che uno sparuto gruppo di 5 persone e una raffica di click non potranno mai fare una vera rivoluzione né sostituire i rapporti umani”. Correva l’anno 2016: libro Una rivoluzione normale (Mondadori), autore Federico Pizzarotti, sindaco di Parma ed ex pentastellato fuoriuscito dal Movimento in polemica con i vertici. Quattro anni dopo, i Cinque Stelle – in preda alla più grave crisi della loro storia e a profonde lacerazioni interne – si avviano a svolgere i loro primi Stati generali: alla fine li hanno chiamati così, ma sono più o meno quell’assemblea di cui parlava Pizzarotti.
Sindaco, siamo davanti al classico “io l’avevo detto”?
Diciamo che, per chi ha l’onestà intellettuale di voler affrontare i problemi, queste situazioni erano assolutamente prevedibili. Era ampiamente prevedibile che i Cinque Stelle sarebbero arrivati a un punto di non ritorno con questi cortocircuiti comunicativi: non puoi essere “di lotta e di governo”.

Quindi è prima di tutto un problema di comunicazione?
Il problema è che loro hanno solo la comunicazione e zero contenuti. Così la comunicazione diventa tutto.
E quindi?
Quando sei all’opposizione puoi comunicare quello che vuoi: la linea Di Battista. Quando sei al governo, invece, provi a comunicare quello che vuoi – il famoso “Abbiamo abolito la povertà” – ma poi i risultati parlano per te. E allora la linea comunicativa non basta più. Se a questo aggiungiamo i risultati negativi alle elezioni e l’abbandono dei territori – bistrattati in virtù del fatto che l’importante è stare sulle poltrone a Roma – abbiamo come prodotto finale quel che sta succedendo oggi. I Cinque Stelle stanno raccogliendo quello che hanno seminato negli ultimi 5 anni.

I risultati negativi alle urne sono dovuti alla mancanza di contenuti?
Alla mancanza di contenuti e all’incapacità dirigenziale. Anche qui, l’ho sempre detto: non si può passare dal fare lo studente al fare il ministro. Non si può passare dal tema di quinta elementare al saggio di Umberto Eco. La gavetta serve: sono passaggi necessari.

Da una parte l’anima movimentista di Casaleggio e Di Battista, dall’altra quella governista di Grillo e Di Maio: chi è il più lucido in questa fase?
Guardi, nei Cinque Stelle di lucido non c’è nessuno. Prendiamo Di Battista: con una scelta scenografica, aveva deciso di non restare in Parlamento per fare il grande saggio esterno, battagliero. Ma quando scendi dell’autobus, l’autobus va comunque avanti e poi fatichi a rimanere dentro certe dinamiche. Lui lo ha capito tardi e oggi prova a tornare indietro.
È possibile un ritorno alle origini del Movimento?
No, perché non esiste più il Movimento 5 Stelle delle origini. Ma questo non da ieri, dal 2014. Non esiste da quando si è scelto di valorizzare, non le capacità e le tematiche, ma gli yes men.
Perché indica proprio il 2014 come anno spartiacque?
Con l’ingresso in Parlamento, nel 2013, il Movimento poteva migliorare o implodere. Nei mesi successivi a quelle elezioni ci furono le prime espulsioni, poi entrò in carica il famoso direttorio e poi è successo tutto il resto. Ora vediamo qual è stato il risultato.

Ci sarà una scissione?
Scissione, per i Cinque Stelle, significa implosione totale, scomparire in tempi velocissimi. Nel Movimento tanti, per interessi personali, non vogliono scomparire, quindi penso proveranno a trovare una quadra.
A novembre ci saranno gli Stati generali.
Io penso che vorranno trovare una via di mediazione perché tutti non perdano tutto. A perdere saranno gli elettori, che magari ci credono ancora, e lo Stato, che non avrà una forza politica con cui interloquire seriamente.

Un mese fa Di Maio è venuto a Parma per Cibus, la fiera dell’agroalimentare: com’è andato il vostro incontro?
Ho fatto l’educato padrone di casa, come ho sempre fatto – e farò – con chiunque venga sul nostro territorio, al di là del fatto che ne condivida o meno le idee.
Ma vi siete chiariti sui dissapori passati? Avete fatto pace?
(ride) Abbiamo parlato solo di Prosciutto, di Parmigiano Reggiano e dei prodotti del territorio.

Dei Cinque Stelle sente ancora qualcuno?
Non ho mai più sentito nessuno dai tempi della famosa abiura contro di me: “Chi lo sente verrà cacciato”.
Chi lo disse?
I vertici. Che sia stato Di Maio o Casaleggio o chiunque altro, ha poca importanza. Ma fu una cosa evidente nei fatti. Tutte le persone che conoscevo nel Movimento improvvisamente non mi chiamarono più. Il vero tema, peraltro, è che oggi tutte quelle stesse persone non ci sono più. Chi è in Parlamento è un perfetto sconosciuto rispetto ai territori .

Hai mai conosciuto Davide Casaleggio?
L’ho incontrato, ma non posso dire di averlo conosciuto.
Che differenza c’è tra lui e il padre Gianroberto? 
Il padre è stato l’ideatore di qualcosa di rivoluzionario nei fatti: non arrivi al 30% se non hai una idea e le persone che possono attuarla in modo rivoluzionario. Poi, non avendo lui la responsabilità di amministrare, ha un po’ perso la misura di certe cose: se rimani fuori e fai il teorico non sai cosa significa trovare soluzioni concrete per i cittadini.
E il figlio?
Il figlio era uno spettatore, faceva parte del gruppo. Dopo la morte del padre ha provato a mantenere l’azienda inserita nel quadro decisionale dei Cinque Stelle, ma si è concentrato più su questo che sugli ideali. Non a caso, sfido chiunque a dire oggi quale sia l’obiettivo politico dei Cinque Stelle, se non sopravvivere.

Con la crisi del M5S stiamo tornando a un quadro bipolare?
Sono i fatti a dirlo. Il M5S, che prima rappresentava il terzo polo, oggi è un partito che nei sondaggi viene dato al 10% e quindi non può più essere un polo a sé. Può essere un alleato del Pd, ma tenendo fuori altre forze, come Calenda, che sta crescendo. Se l’area di Calenda, PiùEuropa, Italia Viva arriverà a pesare come i Cinque Stelle, starà al Partito democratico capire se è meglio avere un partner credibile, di un’area riconosciuta dagli elettori, oppure un gruppo che ha consenso facile ma che ne avrà sempre meno.

Conte può essere un buon leader del centrosinistra?
Non penso che abbia la struttura. Il solo fatto che stia facendo il premier in questo momento difficile, e che lo stia facendo con un atteggiamento moderato e responsabile, non vuol dire che possa essere il leader per il futuro.
E allora chi potrebbe esserlo?
Purtroppo la crescita del centrodestra è alimentata da una debolezza del centrosinistra, che in questi anni non ha fatto crescere giovani generazioni. Di quelli che oggi sono frontman non vedo nessuno che abbia lo spessore e che sia al contempo in grado di unire. C’è chi è capace ma non sa unire e chi può rappresentare la novità ma è incapace. Forse andrei a pescare nelle figure che oggi stanno amministrando e che possono rappresentare una novità in termini di atteggiamento, di visione e di apertura nel mondo del centrosinistra.
Sembra l’identikit di Bonaccini.
(ride) Questo lo lascio dire a lei.

E lei? Il suo mandato da sindaco scade nel 2022 e lei non potrà ricandidarsi. Che progetti ha?
In città va costruito un prosieguo della nostra esperienza di 10 anni, affinché non passi il centrodestra, che a Parma ha già fatto tanti danni. Dobbiamo costruire un fronte ampio. E auspico sia anche quello che avverrà a livello nazionale in vista delle elezioni del 2023: un fronte composto da civismo, partiti di centrosinistra e partiti di area liberale. Per fare questo dovrò sicuramente spendermi anche io. Per il 2022 questo è l’obiettivo, sul 2023 poi ci lavoreremo.

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