La preside con due lauree che viene dal Sud: chi è la nuova ministra della Scuola Lucia Azzolina
A 37 anni ha due lauree e ha già vinto il concorso da dirigente scolastica: deputata M5S dal 2018, si era opposta al governo con la Lega. Ha un pallino: l'insegnamento in carcere. Ritratto di Lucia Azzolina
Lucia Azzolina, chi è la nuova ministra della Scuola
Lei che è super secchiona l’hanno fatta passare per una mezza raccomandata perché a 37 anni ha vinto il concorso da preside. Il bello è che la storia di Lucia Azzolina, ex sottosegretario e nuovo ministro alla Pubblica istruzione, due lauree, deputata, volto noto per i duelli in tv (“con una spiccata vocazione polemica”) casomai è segnata da un certo tono da prima della classe.
Eppure La Repubblica, che ai tempi di Valeria Fedeli nulla commentò su una ministra dell’Istruzione minuta di solo diploma (per di più di avviamento), adesso pubblica la lettera di un commissario d’esame che sostiene di averla trovata impreparata in informatica (ma la domanda sarebbe da fare a lui: “Se meritava zero in informatica perché l’avete promossa?”).
La Azzolina è siciliana, ma da anni è trapiantata a Biella. È una trentasettenne molto combattiva, una che dopo la batosta delle regionali ripeteva: “Torneremo a vincere”. È nata a Siracusa e raccontava di sé: “Vengo da una famiglia monoreddito. Mia madre casalinga, mio padre agente di polizia penitenziaria”. Il padre prestava servizio nel carcere di Brucoli e poi a Cavadonna.
Lucia era bambina quando per il terremoto del 1990 le celle saltarono, i detenuti insorsero, e alcuni addirittura evasero. Suo padre venne assalito e sbattuto ad una cancellata. “Tornò a casa contuso e distrutto. Il carcere non era a norma, ma l’umiliazione di essere stato colpito lo feriva. Dopo quell’episodio, “per anni temevo per lui ogni giorno che andavo a scuola”.
L’episodio ha una qualche importanza perché – diceva la futura ministra – “la mia passione per la legalità non nasce in astratto ma dall’aver imparato presto quanto può costare farla rispettare. A milleduecento euro al mese”.
A casa sua “non c’era un libro”. “Forse per questo li ho amati così tanto, è stato un contrappasso”, racconta. “Devo tutto alla scuola pubblica, al professor Ierla, responsabile di biblioteca, che d’estate mi apriva la porta e diceva: ‘Prendi tutti i volumi che vuoi!'”. Lei li saccheggiava.
Il padre guadagna 2 milioni di lire quando lei è bambina, e 1.200 euro al mese dopo il cambio della moneta. La Azzolina capisce che l’unica via che ha è lo studio: alla maturità prende 100 su 100 e menzione d’onore, alla laurea arriva con 110 su 110 (con lode) in Filosofia. Tesi della triennale – ironia della sorte – sul contratto sociale di Rousseau (ma curiosamente non gliel’aveva assegnata Casaleggio). La tesi specialista – a Catania – era stata sulla diatriba tra Voltaire e Rousseau, in filosofia morale.
Finisce al nord, come tanti professori inseguendo una cattedra: “Un giorno ho preso la cartina geografica e le graduatorie, ho incrociato i dati e sono partita: prima a La Spezia. Da lì a Biella”. Si ritiene fortunata ad aver studiato Filosofia (anche se voleva Giurisprudenza) perché la famiglia non aveva i soldi per andare fuori Catania: “Mia madre mi disse. ‘C’è il mutuo da pagare, mille spese e c’è tua sorella’”.
Ma quella passione non realizzata diventa lo stimolo per seguire un nuovo corso di laurea, per un secondo pezzo di carta: a Pavia – dove ha la cattedra – si iscrive ancora all’università. Prende la seconda laurea con 105. Questa seconda tesi su “Il contenzioso sul diritto scolastico” – nuova coincidenza – gli è utilissima al ministro, oggi.
“Ho sempre votato a sinistra. E per un po’ ho lavorato all’Anief (un sindacato scuola, ndr), esperienza che mi ha fatto capire, purtroppo, come funziona il sindacato”, dice.
Si avvicina al Movimento 5 Stelle dopo essere andata a vedere uno spettacolo di Beppe Grillo a Taormina: “Fino ad allora lo vedevo come un comico. Da quel giorno ho scoperto la sua capacità di mobilitare le coscienze sull’ecologia e i diritti. E ho iniziato a studiare su quei temi”.
La candidatura, come per tanti altri, è quasi per caso: “L’avvocato di Biella dove facevo pratica era consigliere comunale del M5S. Sono rimasta colpita dalla sua passione. E sono entrata nel gruppo”. Il bello è che a tutto pensava tranne che di poter arrivare al Parlamento: “Mi proposero di stare in lista il mio amico avvocato e gli altri: ‘Perché non ci provi?'”.
Lei ci prova, sostiene, convinta che il fatto di essere una militante recente renda impervia l’impresa: “Postai solo due cose per le parlamentarie: un video sulla scuola e il mio curriculum”. Ma il giorno in cui poi capisce che è stata tra le più votate addirittura piange: “Pensai. Vengo dal Sud, sono stata adottata da questa città. E, soprattutto, c’è un’Italia che ti sceglie solo per il merito”. “Il M5S – ripete oggi – ha difetti ma un pregio. Ha dato voce a questa Italia”. Non è finita.
Quando nasce il governo giallorosso scopre di essere entrata al governo “solo un’ora prima di entrarci, da una chiamata di Di Maio”. Il quale non si attarda in cerimonie: “Mi disse: ‘Vai alla pubblica istruzione, come sottosegretario. Abbiamo tanto da fare, auguri!'”. E attacca, click. Un chiacchierone. Dopo scopre di essere stata spinta dal mondo della scuola e dal gruppo parlamentare.
Sembra una favola per una che era finita in disgrazia durante l’alleanza con la Lega: “Ero ferocemente contro – dice oggi – e questo mi ha creato non pochi problemi. Ci sta”. Ma si era dissociata pubblicamente sulla Diciotti e questo l’aveva allontanata dalla prima linea e dalla tv per un anno. Oggi dice: “Io credo che elettoralmente ancora stiamo pagando l’alleanza con la Lega”. Forse è per questo che dopo il Conte-bis risorge, anche mediaticamente.
Segue il decreto scuola, con grande pignoleria, e va orgogliosa di essere riuscita a strappare – dopo un braccio di ferro con il Mes – l’assunzione (anche retroattiva, dal punto di vista economico) dei novemila insegnanti necessari a coprire le cattedre liberate da quota cento. “Non solo non erano scontate, ma nella prima bozza non c’erano. Una delle gente follie di questo paese, perché i precari lì pagavano uguale, e chi ci rimetteva erano gli studenti, costretti a pagare l’instabilità sul piano didattico!”.
Nutre una fiducia granitica, e forse esagerata, nell’idea che i consensi perduti si possano recuperare: “Nel lungo periodo si raccolgono i frutti”. Il suo riavvicinamento a Di Maio è figlia della svolta a sinistra e di questa certezza: “Il leader è lui. Deve restare alla guida, anche se tutti noi siamo meno importarti del Movimento”.
Di formazione garantista, la Azzolina ha un pallino: il progetto della scuola in carcere. “Far studiare e lavorare i detenuti è un investimento sociale. E ridurre tutto a una guerra tra buoni e cattivi non aiuta: rieducare si può”.
Nel penitenziario di Biella, dove va spesso a far visita, c’è anche il liceo artistico: “I detenuti che studiano escono diversi da come sono entrati. Il giorno in cui abbiamo consegnato alla città una panchina rossa contro la violenza sulle donne ho avuto la certezza che quello era uno dei tanti mattoni che separano la nostra strada da quella di Salvini”.