“Porterò il modello Riace in Europa”: TPI intervista Lorenzo Tosa (Più Europa in Comune)
“Voglio portare un pezzo di Riace in Europa. Non a parole o simbolicamente ma concretamente all’interno delle politiche europee e nel bilancio dell’Unione, attraverso i fondi europei”. È la proposta lanciata da Lorenzo Tosa, 35 anni, fresco candidato per la lista Più Europa Italia in Comune alle elezioni europee del prossimo 26 maggio nella circoscrizione Nord Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta).
Giornalista professionista, ex addetto stampa del Movimento 5 Stelle, Tosa si è dimesso nel novembre scorso con una lettera di dimissioni pubbliche, in aperto dissenso con la linea del partito.
Europeista convinto, in questi mesi si è battuto, anche attraverso il suo blog “Generazione Antigone”, in difesa dei diritti civili e dell’Unione “mai così minacciata dai rigurgiti nazionalisti come in questi anni – dice – non solo in Italia”.
Sì, è già capitato che l’Europa, nella sua breve e tortuosa storia, fosse attraversata da pulsioni isolazioniste e da un euroscetticismo diffuso. Ma oggi, per la prima volta, i nuovi nazionalismi sono a tutti gli effetti forze di maggioranza relativa in alcuni paesi chiave del continente, dall’Italia all’Austria, all’asse di Visegrád, passando per il caso più eclatante e drammatico: la Brexit.
Porterei il modello di Riace in Europa. Senza dubbio. Non c’è oggi un’idea di Europa più chiara, solidale, visionaria e, al tempo stesso, conveniente dal punto di vista economico del modello Riace e del suo sindaco Mimmo Lucano. Che ha tanti estimatori ma anche parecchi nemici in Italia. Suo malgrado, probabilmente, Mimmo è diventato il simbolo di un’Italia diversa, umana, coraggiosa, pronta anche a disobbedire alle leggi quando esse sono ingiuste.
Ma, al di là degli elementi giudiziari, su cui ho la massima fiducia nella magistratura, ha dimostrato nei fatti come l’accoglienza e l’integrazione non siano un’emergenza ma spesso rappresentano l’unica strada che abbiamo per risollevare i piccoli borghi abbandonati e desertificati del Meridione d’Italia, riportando lavoro, produttività, riempiendo botteghe, negozi, ripopolando i paesi e costituendo un presidio vitale in grado di tenere lontana la criminalità organizzata.
Esattamente. Se sarò eletto, lavorerò fin dal primo giorno all’interno delle commissioni affinché il modello Riace sia inserito nel prossimo programma settennale dei fondi strutturali di Coesione e diventi un paradigma virtuoso da esportare nei piccoli borghi abbandonati, nelle periferie della provincia estrema o nelle zone rurali o di montagna più povere e depresse, in un continente che si sta sempre più concentrando nei grandi centri metropolitani.
Una soluzione, ad esempio, è quella di inserire i parametri del modello Riace nei fondi strutturali di coesione, il cui scopo è proprio quello di ridurre le diseguaglianze tra le regioni più ricche e più povere a livello comunitario. E aumentando, al contempo, i finanziamenti spesi in questo specifico settore. Gli strumenti legislativi ci sono. Serve solo il coraggio per metterli in pratica, ovviamente nel più totale e pieno rispetto delle leggi italiane e delle normative europee.
È un errore di valutazione macroscopico. In un Paese, l’Italia, che nei prossimi dieci anni è destinato a perdere circa 1 milione e mezzo di persone per via di denatalità, decrescita e fughe all’estero, abbiamo bisogno di loro molto più di quanto loro abbiano bisogno di noi. Già oggi gli immigrati regolari rappresentano l’8 per cento dell’intera forza lavoro e contribuiscono allo Stato italiano con oltre 8 miliardi di euro (dati Istat): in pratica, ci pagano le pensioni.
È chiaro che l’immigrazione debba avvenire coi tempi giusti e di pari passo con il miglioramento dell’intero sistema dell’accoglienza, affinché sia dignitosa per tutti, rispettosa degli italiani e dei diritti umani di chi accogliamo. A differenza del decreto Sicurezza di Salvini, che produce volutamente solo clandestinità e scatena bombe sociali sui territori, il modello Riace è un’eccellenza tutta italiana che dobbiamo avere il coraggio di esportare a livello europeo.
Un’Europa antifascista, profondamente antirazzista, aperta, solidale, liberale, prospera, che parla al mondo con una sola voce in tutte le sedi istituzionali (non solo sul commercio), contro ogni rigurgito nazionalista. In questi ultimi 10 mesi abbiamo visto qui in Italia cosa succede quando sovranismo e populismo si fondano al potere, trascinando un intero paese in una recessione economica e una regressione senza precedenti sul fronte culturale e delle conquiste che credevamo acquisite, dall’aborto ai diritti LGBT.
Se sono qui, se ci sto mettendo la faccia, è perché questa deriva non si affermi e si propaghi anche in Europa, l’ultimo grande baluardo di civiltà e democrazia della nostra epoca. Chiunque oggi si definisca europeista deve combattere per salvarlo. Prima che sia troppo tardi.