Le 13 inchieste aperte in Lombardia dall’inizio della pandemia
Il caso San Matteo-Diasorin è solo l'ultimo in ordine di tempo: tutti sono innocenti fino a sentenza passata in giudicato e in alcuni casi l'istituzione è persino parte lesa, ma come è possibile avere la serenità necessaria per governare una Regione così complessa, in un caos del genere?
Sanità in Lombardia: le 13 inchieste che agitano il clima della regione
L’ultima in ordine di tempo riguarda l’accordo tra l’ospedale San Matteo di Pavia e l’azienda piemontese Diasorin per l’effettuazione dei test sierologici anti-Covid. Le ipotesi di reato sono turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e peculato, ma si tratta soltanto dell’ultimo capitolo della lunga storia di inchieste che sta travolgendo la sanità lombarda. Lasciamo perdere il passato remoto e le sue riminiscenze in quello prossimo, come ad esempio l’assoluzione di Roberto Formigoni a Cremona, la settimana scorsa, dall’accusa di corruzione per un presunto giro di tangenti nella sanità, risalenti al 2011. Stiamo sulla strettissima attualità, ovvero sulle varie inchieste aperte in Lombardia da quando è cominciata l’emergenza pandemica.
LA STRAGE NELLE RSA
Rappresenta senza dubbio il fronte più doloroso, per il coinvolgimento di tante persone fragili e bisognose di tutela, ma anche il più corposo. Oltre al caso-PAT, che spicca per l’importanza storica del Trivulzio, ci sono oltre 100 istituti all’attenzione delle procure di varie città, con numerose inchieste aperte.
IL CASO-VALSERIANA
In uno dei focolai più “caldi” del Pianeta sono molte le questioni da chiarire. Le denunce di singoli cittadini del Comitato “Noi Denunceremo – Verità e Giustizia per le vittime di Covid-19” ne hanno poste parecchie all’attenzione dei magistrati. Dalla mancata zona rossa di Alzano/Nembro alla decisione di tenere in funzione l’ospedale, le indagini sono in corso.
LE MASCHERINE-PANNOLINO
La vicenda nasce all’inizio di aprile, quando un’azienda di Rho (MI) che solitamente produce pannolini annuncia di aver convertito la produzione per realizzare 900.000 mascherine al giorno. Fontana la definisce “un’ottima notizia” e anche Salvini si fa vedere in giro con il dispositivo, dal curioso look. In seguito alla denuncia dei Cobas, che lamentano la scarsa protezione garantita da queste mascherine, si apre un’indagine per frode in fornitura pubblica.
L’OSPEDALE IN FIERA A MILANO
Anche in questo caso si parte da una denuncia dei Cobas, a seguito della quale la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo, per il quale al momento non risultano indagati, ne’ ipotesi di reato. L’esposto chiedeva di fare accertamenti e valutare eventuali profili di responsabilità in merito alla costruzione dell’ospedale che, secondo i denuncianti, “‘presenta delle criticità già dal giorno successivo alla decisione di pubblicizzazione da parte di Regione Lombardia della ‘Fondazione Fiera Milano per la lotta al Coronavirus'”. Nella giornata di giovedì 28 luglio, la Guardia di Finanza ha acquisito documenti nella sede della Fondazione di Comunitaà di Milano Città, Sud Est, Sud Ovest e Adda Martesana, che gestisce il Fondo Fondazione Fiera Milano per la lotta al coronavirus nell’ambito dell’indagine della Procura sulla costruzione dell’ospedale per i malati di Covid nei padiglioni della Fiera.
I CAMICI FORNITI DA DAMA
L’inchiesta è stata aperta in seguito alle rivelazione di “Report” e de “Il Fatto Quotidiano” in merito alla fornitura di camici a Regione Lombardia da parte di Dama, azienda controllata dal cognato di Attilio Fontana, Andrea Dini, la cui sorella Roberta Dini (moglie di Fontana) detiene il 10%. La vicenda presenta aspetti insoliti, che sono al momento sotto la lente dei magistrati: inizialmente Dama ha emesso fattura, salvo poi stornarla spiegando che la fornitura sarebbe stata una donazione, sulla quale c’era stato un fraintendimento. Nel frattempo, però, i giornalisti di “Report” avevano iniziato a costruire la puntata poi andata in onda.
600 MILIONI DI SPESE SOTTO LA LENTE
Nell’ambito dell’inchiesta sui camici, come scrive oggi “La Stampa”, è spuntata una determina di Fontana che assegna ampie facoltà di spesa a Filippo Bongiovanni, d.g. di Aria, la società della Regione che, tra l’altro, ha gestito anche questa vicenda. Essendo indagato, Bongiovanni si è dimesso dal suo ruolo, ma intanto ci sono spese per quasi 600 milioni di euro che vengono sottoposte ad analisi. Di questi acquisti, secondo il quotidiano torinese, si può distinguere tra “molti necessari, alcuni superflui o addirittura farlocchi. Come racconta per esempio l’inchiesta di Lecco su un imprenditore con 1.000 euro di capitale che si è visto assegnare (e pagare sull’unghia) una commessa da 14 milioni di euro per mascherine nemmeno tutte consegnate”.
IL CASO LOMBARDIA FILM COMMISSION
Sotto inchiesta è finito l’acquisto di un immobile industriale sito a Cormano (MI) per 800.000 euro da parte dell’ente incaricato di promuovere la produzione di film sul territorio. Il sospetto degli inquirenti è che l’immobile sia stato supervalutato per garantire un introito a soggetti vicini alla Lega. Tra i protagonisti di questa vicenda c’è il commercialista Sostegni, fermato mentre stava partendo per il Brasile e accusato di estorsione e peculato sui fondi della Regione. Avrebbe infatti chiesto dei pagamenti per non rivelare le cose di cui è a conoscenza.
I PRESUNTI FONDI NERI DELLA LEGA
La presenza di soggetti vicini alla Lega nel caso Lombardia Film Commission determina un intreccio con la preesistente inchiesta, che mira ad evidenziare eventuali irregolarità nelle relazioni internazionali dei lumbard, in special modo quelle con la Russia.
I MILIZIANI LIBICI AL SAN RAFFAELE
La vicenda, emersa lo scorso gennaio, ha i contorni di una spy-story. Un uomo di nazionalità libica si presenta al Pronto Soccorso dell’ospedale, spiegando di essere stato accoltellato da due connazionali che risiedono nel suo stesso albergo, nei pressi del San Raffaele. L’uomo viene ricoverato e i due aggressori vengono indagati per lesioni aggravate, salvo poi sparire misteriosamente da Milano. A quanto emerge, ci sarebbe stata una convenzione tra l’ambasciata libica presso la Santa Sede e il Gruppo San Donato (del quale fa parte il San Raffaele) per la cura dei feriti di guerra. Di questo progetto sarebbero stati ospiti anche i due aggressori che, in base a quanto raccontato dal consolato, “si sono comportati male e per questo sono stati immediatamente rimpatriati”. L’antiterrorismo della Procura di Milano e la Digos indagano.
LA TRUFFA DEI FARMACI
Anche questo caso riguarda il San Raffaele. Secondo l’ipotesi accusatoria, grandi quantità di farmaci acquistati con forti sconti concessi dalle aziende farmaceutiche venivano poi fatti rimborsare da parte di Regione Lombardia a prezzo pieno. In questo caso la Regione è parte lesa e il Gruppo la sta rimborsando di un danno che ammonterebbe a circa 10 milioni e quasi 250 mila euro. Per il momento ci sono molti indagati, anche rappresentanti di aziende farmaceutiche, ma nessun colpevole.
GRAVI MINACCE A FONTANA
A inizio giugno sono comparse delle scritte ingiuriose su alcuni muri di Milano, seguite da intimidazioni sui social, nonché da lettere anonime inviate allo stesso Presidente della Regione Lombardia, al quale è stata assegnata una scorta. Il PM Alberto Nobili, a capo del pool antiterrorismo, sta indagando per diffamazione e minacce.
Queste, ovviamente, sono solo le inchieste di dominio pubblico, anche se tra chi frequenta le procure circolano immancabili mormorii su possibili ulteriori sviluppi. Va ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento: tutti sono innocenti fino a sentenza passata in giudicato. E in alcuni casi le istituzioni non sono accusate di nulla, semmai sono parte lesa. Qui però non si tratta certo di esprimere una valutazione giudiziaria, bensì politica e logica: come si fa a mantenere la lucidità necessaria per amministrare una regione grande e complessa con la Lombardia, in un quadro del genere?
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