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Fratelli di ostriche: ecco tutto quello che non torna del sistema dell’IVA

Immagine di copertina
Credit: Selene Daniele - AGF

L’idea del ministro Lollobrigida di ridurre l’Iva sui pregiati frutti di mare ricorda il caso del tartufo, la cui aliquota fu ridotta prima da Renzi e poi da Conte fino al 5%, metà di quella prevista per pannolini e assorbenti intimi. Ma ha rimesso in luce tutte le iniquità dell'imposta indiretta. Dai preservativi ai seggiolini auto per bambini fino ai biberon, considerati beni di lusso

La proposta del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, di abbassare l’Iva sulle ostriche ha riacceso il dibattito sulla disparità tra le aliquote, che si riflette soprattutto nella differenza tra beni di lusso e di prima necessità, creando, talvolta, un’ineguaglianza economica nella tassazione. L’Iva sulle ostriche è attualmente al 22 per cento, ovvero la stessa aliquota applicata anche a diversi beni di lusso. La proposta del governo prevede la riduzione della tassazione al 10 per cento al fine di tutelare e sostenere i produttori italiani, in particolare modo quelli di Goro, colpiti dalla proliferazione del granchio blu. L’obiettivo del ministro è quello di rendere le ostriche italiane più competitive sul mercato europeo dal momento che, in alcuni Paesi dell’Ue, l’Iva su questi prodotti è addirittura inferiore al 10 per cento. Ma le ostriche sono davvero un bene di lusso? Spesso accostate nell’immaginario collettivo allo champagne, prodotto catalogato per l’appunto come bene di consumo superfluo, questi molluschi sono comunque considerati pregiati rispetto ad altri prodotti. Il problema, però, non è tanto nella volontà del ministro di abbassare l’Iva su questi frutti di mare, proposta peraltro già avanzata in passato da quasi tutti gli esponenti dei partiti sia di maggioranza che d’opposizione, quanto la disparità e l’iniquità sulla tassazione applicata ai vari prodotti.

Le aliquote
In Italia le aliquote iva, ovvero l’Imposta sul Valore Aggiunto, sono essenzialmente quattro: ordinaria al 22 per cento, che riguarda i prodotti e servizi non essenziali, ridotta al 10 per cento, applicata a determinati beni e servizi di interesse generale e super-ridotta al 5 per cento e al 4 per cento, per alcuni beni alimentari e di prima necessità. Poi, vi sono alcuni beni e servizi che sono esenti da Iva, tra cui prestazioni sanitarie, scolastiche e universitarie, servizi finanziari e bancari e assicurazioni. Il paradosso è che l’imposta indiretta che si applica sul valore aggiunto di un bene o servizio durante il processo di produzione e distribuzione è suddivisa in aliquote proprio per tutelare i consumatori. L’Iva al 4 per cento, infatti, è pensata per ridurre il carico fiscale su chi ha minori possibilità economiche, rendendo questi beni accessibili anche alle persone con redditi più bassi. Quella al 22 per cento, che include anche beni di alta gamma come automobili, gioielli, e tecnologia avanzata, dà in un certo senso per scontato che i prodotti siano alla portata dei consumatori più abbienti senza considerare, però, le famiglie più povere.

Ma quali beni di lusso
L’Iva al 22 per cento, infatti, non è applicata solamente ad auto di lusso come Ferrari e Lamborghini o a vestiti di alta moda, ma bensì anche a beni di fatto di prima necessità, come, ad esempio, il seggiolino auto per bambini che è obbligatorio per legge. Ma vi sono anche prodotti che, se non obbligatori, sono comunque necessari come, ad esempio, arredamento e articoli per la casa, quali mobili, tavoli, sedie, letti, armadi, o elettrodomestici, tra cui forni e frigoriferi. Per non parlare dei preservativi, che prevengono le malattie sessualmente trasmissibili, ma che non rientrano tra i prodotti per i quali sono previste aliquote ridotte come nel caso di altri dispositivi medici o prodotti sanitari, come ad esempio i medicinali. Un’altra considerazione da fare riguarda l’accesso al mondo culturale, catalogato di fatto come un bene di lusso. Libri e riviste non scientifiche o educative hanno l’Iva al 22 per cento così come tutto ciò che riguarda l’attività culturale come ad esempio biglietti per cinema, teatro, concerti, mostre e altre attività di intrattenimento.

La disparità appare ancora più evidente quando si prendono in esame alcuni prodotti tassati al 10 e al 5 per cento. È emblematico il caso del tartufo, la cui Iva, nel 2016, passò durante il governo Renzi dal 22 al 10 per cento per poi essere ridotta ulteriormente dall’esecutivo Conte dal 10 al 5 per cento. Così come per le ostriche, anche per il tartufo la riduzione fu giustificata come una misura necessaria per aiutare gli operatori del settore e, al tempo stesso, ridurre il fenomeno dellevasione fiscale e dellelusione fiscale che per anni aveva caratterizzato il settore. Ma il problema rimane lo stesso: come può il tartufo avere un’Iva minore rispetto, ad esempio, ad assorbenti e pannolini? Già, perché, tra i prodotti tassati al 10 per cento troviamo, tra gli altri, tamponi, coppette mestruali e assorbenti, oltre che prodotti di igiene per linfanzia come i pannolini e il latte in polvere.

Tampon Tax
La questione delle ostriche ha riportato in auge la polemica sulla cosiddetta “tampon tax”. Fino al 2022 tutto ciò che riguardava ligiene femminile era addirittura tassato al 22 per cento, ovvero tra i beni di lusso. L’Iva è stata quindi successivamente ridotta dal governo Draghi al 10 per cento, mentre, nella legge di Bilancio del 2023, la tassazione è stata ulteriormente ridotta dall’esecutivo Meloni, che l’ha abbassata al 5 per cento. Riduzione che si era estesa anche a determinati prodotti per linfanzia, come pannolini, biberon, omogeneizzati e latte in polvere. La misura, tuttavia, non è stata confermata per l’anno successivo con lo stesso governo Meloni che ha poi riportato l’Iva su questi prodotti al 10 per cento. La premier e le forze di maggioranza avevano giustificato il dietrofront affermando che la misura «non ha funzionato». Tuttavia, se le variazioni di prezzo secondo il governo non erano state così significative da giustificare un rinnovo della norma, è pur vero che l’aumento dell’inflazione ha comportato un aumento dei prezzi, inclusi quelli inerenti ai prodotti igienico sanitari e a quelli per l’igiene mestruale.

Una proposta, presentata dai parlamentari di Pd, Alleanza Verdi Sinistra, Movimento Cinque Stelle e Azione in occasione della legge di Bilancio per il 2025, prevedeva la riduzione dal 10 al 4 per cento su tutti i prodotti di igiene femminile e per linfanzia, per un costo di circa 180 milioni di euro, più o meno gli stessi soldi (oltre 150 milioni) che lo Stato dovrebbe incassare dalle multe ai No Vax che il governo ha deciso di sospendere attraverso il decreto Milleproroghe.

Il confronto con l’Europa
Fare un paragone con gli altri Paesi europei non è cosa semplice dal momento che il sistema varia a seconda dei singoli Stati. La Danimarca, ad esempio, ha una sola aliquota ordinaria al 25 per cento mentre la Germania ha due aliquote: l’ordinaria al 19 per cento e la ridotta al 7. Pur sottolineando queste differenze, tuttavia, prendendo in esame i prodotti precedentemente citati l’Italia è comunque uno dei Paesi europei con la Tampon Tax più alta, superata solamente da Ungheria (27 per cento), Croazia e Danimarca (25 per cento), Finlandia e Grecia (23 per cento), Bulgaria, Albania, Romania e Moldavia (20 per cento). Stesso discorso per i generi per linfanzia che variano dal 4 per cento per la Spagna, al 5,5 per cento per la Francia e al 7 per cento per la Germania.

La proposta del ministro Lollobrigida ha quindi nuovamente messo in luce le iniquità dell’Iva in Italia, evidenziando come, ancora prima dei singoli prodotti, sia innanzitutto necessaria una riforma che renda il sistema fiscale più equo e sostenibile e che consideri in un modo più giusto le esigenze dei consumatori.

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