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Quella strana lista senza nomi: i media italiani e l’assurdo silenzio sulla Loggia Ungheria

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Le liste. Si può sapere come mai maneggiamo con tanta disinvoltura nomi e cose, nomi di cose che ci ricordano anni bui, tragedie e sangue, per esempio le “liste”? Perché c’è stata a metà degli Anni settanta dello scorso secolo una lista della P2, massonica e diretta da Licio Gelli, che pochi giorni fa, il 2 agosto, come ogni anno da tanti anni, è stata maledetta dagli italiani. L’anniversario della strage alla stazione di Bologna quel giorno del 1980, 85 vittime e 200 feriti, una volta infragiliti complicità e depistaggi grazie al cambio di classi dirigenti, ha reso più nitida la responsabilità di chi era a capo di quella lista nell’organizzare quell’orrore. Da allora, non soltanto per la tragedia di Bologna, è meglio non parlare di liste, specialmente quando sembrano o sono davvero segrete.

Da mesi invece nelle cronache dei giornali vola un calabrone che ha fatto il suo nido a Roma, in Piazza Ungheria e tempo fa, volato a Milano, ha diviso la più importante procura d’Italia dopo le rivelazioni di un avvocato “esterno” dell’Eni, Amara, che a certi magistrati piace e ad altri no. Tutti i gusti son gusti.

Questo avvocato, dunque, svela l’esistenza di una lista contemporanea, la “Loggia Ungheria” che giudica e manda secondo chi avvinghia. Una loggia segreta di cui però il facondo avvocato, facondo come dev’essere un avvocato sia pure “esterno” di una grande multinazionale, fa i nomi e questi nomi circolano e non sono pettegolezzi ma la loro pubblicazione provoca scontri mai visti tra i magistrati milanesi, giovani e meno giovani, celebri o che celebri diventeranno. Un affare che inevitabilmente torna a Roma dove le “alte cariche” non si sono ancora del tutto riprese dalle fatiche del “caso Palamara”.   

Il caso è dello scorso anno, ma la discovery è dei primi di maggio e il fascicolo con le dichiarazioni di Amara gira da allora. Eppure un solo giornale, La Verità, ha azzardato la pubblicazione dei nomi di affiliati, poi niente. Altri che hanno ricevuto graziosamente il fascicolo dalla ex segreteria di un ex membro del Csm, Davigo, hanno pensato fosse meglio depositarli in procura piuttosto di usare il proprio computer aziendale.

L’analogia tra una lista e l’altra è naturalmente forzata. La prima, la P2 di Gelli era criminosa, questa, sempre che realmente sia esistita ed esista ancora, sembra che si dedichi all’antico, mai smesso, lavorìo intorno a candidature, promozioni, posti di riguardo e difesa virile di quelli occupati dai propri aderenti. Niente di nuovo, quindi: normali attività di valorizzazione degli amici che hanno capacità e intelligenza e preparazione. Ce ne fossero di associazioni così. O forse addirittura gli associati non arrivano neanche a questo, si riuniscono in un bar a Roma, sembra dalle parti di piazza Ungheria, per un tè all’aglio e se piove o fa troppo caldo restano dentro, a distanza regolamentare: che facciamo teniamo la mascherina? è la parola d’ordine. Chi di loro “ha fatto” la P2 riflette amaro: altri tempi!

Vero, ma nel loro piccolo anche questi signori hanno creato un bel casino e poi rimane una domanda: perché questa lista non viene pubblicata? Sono passati oltre tre mesi e niente, pure è una bazzecola: una quarantina di nomi. Pensare che la lista della P2 sequestrata il 17 marzo 1981 a Castiglion Fibocchi dai magistrati Gherardo Colombo e Giuliano Turone venne pubblicata dal Il Tempo e da La Repubblica il 21 maggio, due mesi dopo il ritrovamento, tra infinite polemiche per i ritardi. Quella era una lista ben più pesante che conteneva 962 nomi, due ministri, 44 parlamentari, un segretario di partito, 12 generali dei carabinieri, 5 della Guardia di Finanza, 22 dell’Esercito, 4 dell’aeronautica, 8 ammiragli e magistrati, dirigenti statali, capi dei servizi segreti, giornalisti e imprenditori. Quella di oggi, niente. Non ci sono i sequestri e i giornali di una volta.

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