Ius culturae, Italiani senza cittadinanza: “L’Italia ha abbandonato un milione di suoi figli, è ora che ne riconosca i diritti”
Ius culturae, Italiani senza cittadinanza: “Riforma subito, non c’è più tempo”
A due anni di distanza dal naufragio della riforma della cittadinanza, tornano alla Camera dei deputati tre proposte che introducono il cosidetto Ius culturae, la possibilità di diventare cittadini italiani al termine di un ciclo di studi nel nostro paese. TPI ha intervistato Arber Agalliu, 31enne giornalista albanese che vive in Italia da quando era bambino, che si è sempre sentito italiano, e attivo nel movimento di Italiani senza cittadinanza. Abbiamo chiesto a lui, che nella scorsa legislatura si era fortemente battuto per la riforma, di commentare quello che si sta muovendo negli ultimi giorni in cui la maggioranza di governo giallo-rosso ha aperto alla discussione di 3 proposte. (Qui tutto quello che c’è da sapere sul tema).
Sono molto scettico, da quando è saltata nel dicembre 2017 siamo un po’ sul chi va là. Teoricamente ora con lo ius culturae dovremmo esserci. Durante la scorsa legislatura sono stati abbandonati 800mila bambini e ragazzi che studiavano nelle scuole italiane e oltre un milione di cittadini nati e cresciuti in Italia. Sono stati abbandonati e nessuno si è preso una responsabilità politica. Questa è la cosa più grave. Ma ora non c’è più tempo di giocare a livello politico. Questa riforma doveva essere già fatta, già oggi è tardi, figuriamoci domani. Ed è una riforma che in Europa è stata fatta 15 o 20 anni fa. Ti ritrovi forze politiche che tentennano per paura di reazioni dell’opinione pubblica, ma che fanno lo stesso errore di due anni fa: non proseguono con la riforma, lasciando spazio alle peggiori destre, a Matteo Salvini. Se anche questa volta non si porta a casa la riforma è una sconfitta per l’Italia, vediamo scendere in strada i giovani per il clima, per un mondo migliore, e quale paese migliore di quello che riconosce i diritti degli stessi ragazzi che scendono in piazza? I nuovi italiani si sentono italiani, fanno parte di questo paese.
Io sono diventato cittadino italiano dopo 20 anni, quando avevo compiuto 30 anni, dopo essere cresciuto e aver studiato in Italia. E soprattutto ho iniziato a rappresentare l’Italia all’estero prima che quest’ultima mi riconoscesse come suo figlio. È assurdo. Come Italiani senza cittadinanza stiamo lavorando su una contronarrazione, raccontare il nostro punto di vista, l’Italia vista da noi. L’Italia che non rispecchia i proclami di Salvini o di Meloni. Questo paese ha investito su questi ragazzi, con la scuola obbligatoria e tutto il resto, ma li considera stranieri. Sonny parla il romanaccio meglio di chi urla in piazza “Non ci sono neri italiani”, fa ridere. O Benedicta che ti parla in bresciano meglio di Andrea Pirlo. Questa è l’Italia di oggi. Poi però ti ritrovi Salvini che ti dice no alla cittadinanza semplice o regalata. Ma l’unica cittadinanza regalata in questo caso è la sua, nato in Italia, e diventato cittadino italiano. Chi come me ha fatto richiesta dopo 20 anni, se l’è guadagnata, se l’è sudata. Io qui ho dovuto dimostrare di essermi integrato. Ho problemi con l’albanese, non con l’italiano. Ho dovuto pagare per anni pezzi di carta, documenti, rinnovi di permessi di soggiorno, per poter lavorare, muovermi e viaggiare con i miei compagni di classe nelle varie gite. E Salvini ti urla: No alla cittadinanza semplice. Ma quale sarebbe questa cittadinanza semplice? Tra i due chi ha avuto la cittadinanza semplice è lui. La riforma della cittadinanza in questione non ha poi nessun “automatismo”. La cittadinanza non la stanno proponendo per chi sbarca in Italia o per gli adulti. Stiamo parlando di bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia. Giorgia Meloni etichetta come immigrati i bambini nati nello stesso ospedale di sua figlia. L’unico percorso migratorio che questi ragazzi hanno svolto è quello dall’ospedale a casa loro quando sono nati.
Si etichettano come stranieri o immigrati ragazzi nati o cresciuti in Italia. È questo l’errore più grande. È stata fatta grande confusione, complici i giornalisti, nel raccontare questa storia della riforma della cittadinanza. Si è etichettata come ius soli, ma non c’è scritto da nessuna parte. L’unico ius soli che esiste è quello dell’attuale legge del 1992, che prevede che diventino cittadini italiani le persone vissute per più di 18 anni ininterrottamente sul suolo italiano. In Italia si cerca sempre di semplificare il più possibile ma così si compromette l’opinione pubblica. Mettere sullo stesso piano i bambini appena sbarcati a Lampedusa e i bambini nati e cresciuti in Italia da sempre è molto pericoloso. La riforma della cittadinanza deve andare di pari passo con una riforma culturale, che preveda una contronarrazione. Non si può etichettare un ragazzo in base a quanta pasta o quanto kebab mangia. Il resto d’Europa questi passi li ha già fatti molti anni fa. L’attuale legge che regola l’acquisizione della cittadinanza risale addirittura al 1992, quando in Italia le seconde generazioni neanche esistevano. E i cittadini non italiani erano neanche 600mila. Oggi siamo a 6 milioni. Non c’è stato un cambiamento, non ci sono state riforme da allora. Urge la riforma, la legge è obsoleta. Una legge fatta prima che i ragazzi che oggi chiedono la riforma nascessero.
Siamo rimasti veramente delusi nel 2017. Siamo stati per quasi due anni a batterci, a dare voce ai diretti interessati. Una cosa bruttissima è il tira e molla di questo governo giallo-rosso che dice che ci sono altre priorità. Non esistono priorità di prima fascia o seconda fascia. Qui rischiamo di lasciare a piedi un milione di ragazzi nati e cresciuti in Italia. Lo hanno già fatto una volta, nel 2017. Dal 2015, dopo che il ddl era stato approvato alla Camera, c’è stato un infinito tira e molla ed è mancato il coraggio e la volontà politica. Non facciamo come Schettino, portiamo in porto la riforma sullo ius culturae. Il tempo è già scaduto, non si può rimandare ancora. Chi ne fa le spese sono quegli stessi bambini nati nello stesso ospedale della figlia di Giorgia Meloni, o che frequentano le stesse scuole dei figli dei vari Salvini e co.
Evitiamo di fare passare a questi giovani quello che la mia generazione ha dovuto passare, quella discriminazione politica e burocratica di cui noi abbiamo fatto le spese. Io ho preso la cittadinanza insieme ai miei genitori, con il loro stesso iter. Non è stato minimamente tenuto in considerazione il fatto che io fossi cresciuto e avessi studiato in Italia. Si può fare sempre meglio certo, ma intanto portiamo a casa questa riforma sullo ius culturae. Una volta che sarà approvata questa riforma ritroveremo anche la forza e la speranza per batterci ancora per un’Italia migliore e più inclusiva. Non riconoscere i diritti di un milione di persone nate o cresciute qui, e su cui l’Italia investe per la formazione e non solo, è assurdo. Concedere questi diritti non comporta l’esclusione di altri diritti a nessuno. Riconoscere nuovi diritti non può che essere un bene per una società migliore.