Italia Viva dichiara guerra ai profili falsi sui social, ma il sito del partito non è in regola
Legare l’apertura di un account social a un valido documento di identità (da far pervenire a chi non è dato saperlo). La mirabolante proposta di legge (già presentata lo scorso anno da alcuni parlamentari di Forza Italia, ndr) è stata annunciata su Twitter dal deputato Luigi Marattin e rilanciata da molti esponenti apicali di Italia Viva, tra cui il ministro Teresa Bellanova.
Prendendo spunto da un’idea del regista Gabriele Muccino, Marattin ha twittato: “Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento d’identità. Poi prendi il nickname che vuoi (perché è giusto preservare quella scelta) ma il profilo lo apri solo così”.
La proposta di Marattin ha scatenato un accesissimo e surreale dibattito e ha richiamato l’attenzione di numerosi esperti di Web, che hanno spiegato al deputato renziano per quale motivo legare l’apertura di un account a un documento di identità non risolverebbe in alcun modo il problema dell’hate speech sui social.
Nonostante in molti abbiano opposto alla proposta risposte puntuali e minuziose e spiegato che anche allo stato attuale nessun utente è veramente anonimo online perché la polizia postale ha tutti gli strumenti per determinare l’identità reale di una persona che commette un reato online, che il problema tutt’al più è nelle tempistiche delle rogatorie internazionali per l’ottenimento degli Ip dai vari provider o social, Marattin non ha voluto sentire ragioni e ha replicato alle spiegazioni sbertucciando gli esperti.
“Come si arrabbiano eh, quando annunci di voler far qualcosa per impedire che il web rimanga la fogna che è diventato (una fogna che sta distorcendo le democrazie, invece che allargarle e rafforzarle). Si mettano l’animo in pace. Il limite è stato superato, ed è ora di agire”, ha scritto qualche ora dopo.
Non pago della figuraccia, Marattin ha deciso di proporre una petizione online sul sito di Italia Viva: “Sono già diversi, infatti, i casi comprovati di consultazioni elettorali (in primis il referendum sulla Brexit del giugno 2016, ma non solo) che sono risultate profondamente distorte e manipolate dalla diffusione di informazioni false sulla rete”, si legge nel testo della petizione.
“Anche recenti inchieste giornalistiche hanno dimostrato che in Italia questo rischio c’è, con la creazione e la gestione di account falsi sui social network che drogano la discussione politica sulla rete. Sulla carta stampata viene garantito il (sacrosanto) diritto all’anonimato solo se la redazione conosce la vera identità di chi scrive ed esprime opinioni. Perché la stessa cosa non può essere fatta sul web? Per questo proponiamo che anche i social network, per legge ed avvalendosi di autorità terze, possano esser messi nelle condizioni di garantire che ad un account corrisponda un nome ed un cognome di una persona reale, eventualmente rintracciabile in caso di violazioni di legge”.
Una petizione come tante altre, penseranno molti. E invece no, quella di Marattin ha una grande e grottesca particolarità, che fa prendere una piega tragicomica al dibattito: come scoperto da Evariste Gal0is, celebre hacker che scoprì le numerose falle della piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle, il sito di Italia Viva che ospita la petizione di Marattin non rispetta la normativa Gdpr sul trattamento dei dati personali.
“Visto che il Deputato Marattin ha condiviso questa raccolta firme domando a lui: dov’è la policy sul trattamento dei dati personali che si vanno a inserire nel form? O il GDPR ce lo siamo dimenticati, e per fortuna che nel pop-up si legge che tenete alla privacy”, domanda Evariste Gal0is. “Mi chiedo anche come mai per la raccolta firme non serva il documento, ma per fare l’account Twitter sia imprescindibile”, fa eco il professor Stefano Zanero, tra i primi esperti a spiegare a Marattin le falle della sua proposta.
Non solo, il Gdpr non è l’unico problema del sito di Italia Viva: “Regaz no parole. Nessun sistema antispam, nessuna verifica sulla mail, token riciclati, nessuna autorizzazione al trattamento dei dati personali, nessuna lista pubblica delle firme”, spiega Andrea Ganduglia. Insomma, una vera e propria figuraccia per Marattin e il partito di Matteo Renzi.
Rimane aperta una domanda: ma Italia Viva non era il partito “del merito”, “dei competenti”, di quelli che sostengono – giustamente – che di argomenti tecnici e complessi devono parlare gli esperti? E allora per quale motivo, in questo caso, Italia Viva sta facendo tutto l’opposto, denotando un latente populismo politico del tutto identico a quello dei populisti che tanto combatte?