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Home » Politica

Pasquale Tridico a TPI: “Meloni ha abolito le mie riforme e ha cancellato me”

Immagine di copertina

Ha guidato la Previdenza dal 2019 ed è considerato il padre del Reddito di cittadinanza e del decreto Dignità, entrambe misure abrogate dal nuovo Governo che l’ha defenestrato con una norma ad personam. A TPI Mr. Ex INPS rivela: “Ho provato a parlare con la premier ma mi hanno sempre detto che non aveva tempo”

Pasquale Tridico, presidente dell’INPS…

(Ride amaro). «Ancora per poche ore».

Questo perché è stato defenestrato dal governo con una norma ad personam che commissaria l’ente pur di mandarla via.

«Tutto insensato, ma purtroppo vero».

Se lo aspettava, confessi.

«No, non me lo aspettavo affatto».

Non era amato dal centrodestra.

«Il mio mandato durava ancora un anno. Commissariare una istituzione per mandare via una sola persona non era nello spettro della mie ipotesi più fantasiose».

Ma cosa le aveva detto la Meloni l’ultima volta che vi siete parlati?

«Nulla. Perché non ci siamo mai parlati».

Possibile?

«Le avevo chiesto un colloquio, subito dopo il suo insediamento, attraverso i normali canali istituzionali».

E cosa le rispondevano?

«Che non aveva tempo».

Pensa che questa freddezza sia dovuta al fatto che lei è il padre del reddito di cittadinanza che il governo ha appena abolito?

«Possibile. Se fosse così ne sarei sommessamente orgoglioso. Ma è un peccato, perché nelle istituzioni ci si parla anche se si hanno idee diverse. E l’Inps non è una nomina di spoil system».

No?

«No. Se vogliono che sia così devono cambiare la legge, non commissariare l’Ente mandando a casa, tra l’altro, anche un direttore generale».

E cosa avrebbe detto lei alla Meloni?

«Le avrei racontato – per esempio – qualcuna delle tante cose che abbiamo imparato nel dramma della pandemia. Quando abbiamo distribuito 60 miliardi di euro agli italiani inventando procedure che non esistevano. Di questo sono orgoglioso».

Ha detto “inventando”?

«Si, inventando: qualsiasi cosa pur di far presto e tagliare i tempi, perché arrivassero le casse e i sussidi».

E che altro?

«Che se lei ha una sensibilità sociale l’Inps è un grande ed efficiente strumento con cui si può fare quasi qualsiasi cosa».

Ad esempio?

«Prenda l’ultima emergenza quella dell’edilizia popolare e studentesca».

E cosa c’entra l’Inps?

«Ma i politici se lo ricordano, che noi abbiamo 17mila immobili nelle città italiane? Sarebbero uno strumento potentissimo anche solo per calmierare il mercato».

C’è un “però”, nelle sue parole?

«Lei sa che c’è una legge del 2011, eredità del governo di Monti, che ci impone di venderli, in modo da usare quel gettito per abbattere il debito».

E non è una buona cosa?

«Secondo me, no. Il gettito è basso, rispetto al valore, perché quasi tutti sono immobili legittimamente occupati, o in un cattivo stato di conservazione».

Quindi il gioco non vale la candela?

«Se li vendi, li vendi a poco. Ma la domanda è: se lo Stato svende un suo patrimonio, lo fa per far guadagnare chi?».

E lei non ha fatto nulla, per fare resistenza al Mef?

«Io sono un servitore dello Stato, non un guerrigliero. E quindi il 60 per cento di quegli immobili li abbiamo già venduti. Però…».

Cosa?

«Sono tutte case popolari: a Roma – per dire – sono alla Magliana, al Tuscolano, a Don Bosco. E così a Milano, Bologna, Napoli…».

E quindi?

«Con Conte, dopo mille difficoltà dovute al vincolo, siamo riusciti a fare una norma per concedere le case abitate in prelazione, con uno sconto fino al 45 per cento agli inquilini, purché legittimi usufruttori».

E questa operazione è finita?

«Macché! Solo il mese scorso abbiamo venduto 120 appartamenti».

Li ricorda così, a memoria?

(Sorriso). «Ho amministrato questo patrimonio con più attenzione che se fosse mio. Ma…».

Cosa?

«Con una buona legge questo tesoro potrebbe diventare il cardine di un nuovo progetto di edilizia popolare».

Come?

«Magari ristrutturandone alcuni non abitati».

Secondo lei, non si farà più?

«Lo spero. Sarà il nuovo governo a scegliere se continuare sulla nostra stessa strada, oppure usare la legge di Monti per regalare prodotti a qualche fondo speculativo».

L’intervista a Pasquale Tridico avviene a notte fonda, in una birreria vicino a casa sua, nel quartiere Conca d’Oro di Roma. Dopo anni senza respiro il presidente uscente dell’Inps si sta dedicando di più alla famiglia, a sua moglie Iryna (ucraina) e ai suoi due vivacissimi bimbi Francesco (sette anni, un tipo riflessivo) e Giulia (tre anni, una grande chiacchierona).

Allora Tridico, a quale incarico punta dopo questi anni senza respiro al vertice di un colosso previdenziale? Manager? Consulente?

(Risata). «Punto al mio posto». 

Cioè?

«Torno a fare il professore come uno che torna al lavoro dopo un meraviglioso anno sabbatico». 

Di solito a chi lascia l’Inps vengono offerti remunerati consigli di amministrazione.

«Pensi che io già mi chiedo chi saranno i miei prossimi studenti e cosa dire nella prima lezione».

Addirittura?

«Mi mancano i ragazzi. E ho molte cose da studiare, oltre a tutte quelle che ho imparato».

E poi?

«Sto girando l’Italia per presentare il libro che ho scritto con Enrico Marro, uno dei massimi esperti previdenziali del giornalismo italiano (“Il lavoro di oggi, la pensione di domani”, ndr.)».

Le nuove forme varate dal governo hanno distrutto anche il decreto dignità, l’altra creatura di cui lei è genitore.

«Pensi, la Lega lo votò! Potrei limitarmi a rispondere mostrando ai lettori di TPI un grafico. Quello che dimostra come il primo obiettivo della nostra legge, l’aumento dei contratti a tempo indeterminato, è stato raggiunto, con una impennata potente. Adesso tutto riporta alla precarietà».

Se pensa questo perché non ha attaccato il governo?

«Il presidente dell’Inps ha un ruolo istituzionale e non può essere generatore di conflitto. Ma adesso, il professor Tridico può dire tutto quello che pensa».

E lo farà?

«Può starne certo».

Lei ha ricevuto critiche feroci dai giornali di destra…

(Ride). «Una compagnia quotidiana. Temo che mi mancherà la rassegna stampa…»

Risponda alla più frequente critica: Libero e la Verità, la Lega, il centrodestra tutto, l’accusano di aver gonfiato i dati sull’enorme contributo dei migranti alla previdenza degli italiani.

«Ma questa è una sesquipedale balla propagandistica! E comunque i Paesi più ricchi d’Europa sono quelli che integrano di più i migranti».

Cioè? 

«I contributi dei migranti sono importanti per pagare le pensioni. E in prospettiva lo saranno sempre di più. Punto. Non lo dice Tridico. Lo dicono i numeri».

I suoi critici suggeriscono che lei li abbia gonfiati.

«Primo: lavoro con i numeri previdenziali da un quarto di secolo, ho una deontologia professionale e nessuno mi ha mai potuto smentire su un dato».

Secondo?

«I migranti contribuiscono per 11 miliardi di contributi al bilancio della previdenza italiana!».

Però ottengono anche delle prestazioni.

«Esatto. Per 4,5 miliardi di costi che eroghiamo a cittadini extracomunitari. Fra questi 1,2 miliardi sono pensioni. Ma vuole sapere un’altra cosa?»

Mi dica.

«I dati ci dicono che la maggior parte dei migranti questa pensione la maturano: ma poi non la prendono».

Come? Come?

«Spesso non raggiungono la soglia dei vent’anni di contributi. E in molti altri casi non ci sono convenzioni bilaterali con i loro Paesi».

Dove non c’è la convenzione, l’Inps non paga?

«Esatto. Non abbiamo – faccio un esempio – una convenzione con l’Ucraina. E gli ucraini, insieme  agli albanesi e ai marocchini sono una delle tre nazionalità più presenti in Italia».

Morale della favola?

«Tra quello che versano e quello che eroghiamo c’è un saldo attivo netto di 6,5 miliardi».

E cosa risponde a chi sostiene che sia un dato taroccato?

«Mi viene da ridere. È il coordinamento statistico attuariale dell’ente a produrlo. E pensi che è indipendente, anche dentro l’istituto».

Indipendente?

«È tecnicamente impossibile solo immaginare che il presidente possa fare pressione per manipolare quei dati in nome di una qualsiasi intenzione politica».

Pronto a qualsiasi scommessa?

«Certo. Metta cento euro sul tavolo». 

Poi se vinco li do a Belpietro e Sallusti?

«Glieli dovranno dare loro. Vedrà che questi dati saranno confermati da qualsiasi successore prenda il mio posto, nel prossimo rapporto annuale. Ma posso dirle una cosa di più?».

Certo.

«Mi lusinga che questi critici identifichino me con il rigore dell’istituto che ho diretto. E…». Cos’altro?

«Il fatto che – oggi – ogni cittadino possa andare su Internet e verificare in prima persona grazie all’osservatorio open data».

Non c’era?

«L’ho voluto io perché la trasparenza e l’accessibilità dei dati sono un mio pallino».

Altro esempio?

«Lei va sul sito e scopre tutto della sua storia contributiva. La trasparenza per me è il primo diritto della cittadinanza».

Cosa prevede sulla riforma previdenzale? 

«Sulle pensioni nessuno farà nulla».

Possibile?

«Abbiamo dovuto mettere 22 miliari di integrazione dovuti in buona parte all’inflazione. E questo anche non adeguando – per scelta del governo – tutti i trattamenti».

Rischiamo il crack?

«Non è una calamita ma una scelta. È cresciuta la spesa pensionistica ma i salari non sono indicizzati. I contributi sono minori, ma “pesano anche” di meno».

C’è una alternativa?

«Se ci fosse la scala mobile non avremmo questo deficit mostruoso».

Oppure?

«Se avessimo un salario minimo per chi è sotto i 9 euro lordi aumenterebbe la sostenibilità». Faccia i conti.

«Pensi: 4,5 milioni di italiani, il 30 per cento di chi lavora, sono sotto i 9 euro l’ora!».

Si dice, anche a sinistra, che gli incentivi alle aziende aumentino le assunzioni.

«Sa che noi paghiamo 21 miliardi di incentivi? Sa quanto è stato l’impatto sui nuovi assunti? Zero».

Gli incentivi possono calmiera i prezzi?

«Gli incentivi hanno impatto sensibile solo quando sono focalizzati su un target preciso».

Cioè?

«L’esperienza di questi anni mi conferma che solo gli investimenti fanno crescere la domanda di lavoro, gli incentivi no. E per me c’è un altro problema».

Quale?

«Il calo demografico. Oggi 60 per cento nel 2019, 59 per cento».

Diamo un numero perché il lettore capisca.

«È semplice. Oggi noi mandiamo in pensione i nati del 1960, che sono milione e 100mila. Ma stiamo mandando al lavoro i nati del 2000 che sono 500 mila. Quando toccherà ai nati oggi, che sono 100mila di meno, il sistema crollerà se non aumentiamo la base contributiva».

Il tasso di chi entra al lavoro è la metà di quelli a cui va pagata la pensione.

«E il sistema è a ripartizione: i contributi di oggi pagano le pensioni di ieri. Capisce la mia ossessione sul salario minimo?».

Lo ha detto ai ministri di centrodestra?

«Ho parlato sia con Giorgetti che con Calderone. Li ho trovati molto cordiali e attenti. Condividevano la mia preoccupazione. Speriamo che convincano il resto del centrodestra! Non è un problema di schieramenti ma di numeri».

Altrimenti?

«Salta il banco».

Amareggiato?

«No, sono lucido».

Cioè?

«Hanno cancellato le tre grandi riforme a cui ho lavorato. E poi, coerentemente, hanno cancellato me».

Adesso dicono che la flessibilità solleverà l’economia. 

«Lo dicono da vent’anni, non ha mai funzionato».

Tornano i voucher.

«Non garantiscono i lavoratori. Né contribuzione né Tfr».

Danno più possibilità di impiego?

«Hai gli stagionali, hai il lavoro a chiamata, hai l’intermittente? Cos’altro serve?».

La flat tax è un errore?

«È contro la Costituzione. Oggi c’è solo per le partite Iva e per giunta è iniqua».

Ci servono più partite iva?

«Ne abbiamo il doppio rispetto agli altri Paesi europei. Sei milioni di partite Iva!».

E in proporzione?

«Il 35 per cento dei lavoratori. Tutti i paesi europei hanno il 17 per cento».

Non è il segreto del sistema Italia?

«Abbiamo creduto al modello della terza Italia, delle piccole imprese, delle filiere».

E ha funzionato?

«Si. Ma solo fin quando non ci siamo esposti alla globalizzazione».

E quando è arrivata questa concorrenza feroce?

«O ti associ, o scompari, o ti sussidia lo Stato, oppure competi sul costo del lavoro. Di queste quattro cose malsane sta prevalendo la peggiore, la quarta».

Precarietà.

«La nostra unica politica industriale è stata la flessibilità del lavoro».

E questo governo?

«Conoscendo la sensibilità della destra sociale che si dice sensibile a una dimensione umana avrei detto che quello strumento non lo avrebbero incentivato. Invece…».

Le diranno che è un nostalgico delle garanzie.

«Papa Francesco dice: “Il capitalismo produce residui”. Residui ambientali e residui umani. E queste vittime della modernità vanno tutelate».

Un dividendo sociale per chi è sotto 9.360 euro lordi.

«Invece il governo ora lo ha tolto ai cosiddetti “occupabili”».

Non le piace quella definizione?

«È un trucco: si è occupabili per età, disabilità e carichi familiari. Non per competenze».

Ci spieghi perché.

«La Calderone lo sa bene. Persone con lo stesso reddito ricevono prestazioni diverse».

Faccia un esempio.

«Se un disoccupato ha un padre di 59 anni a carico, è considerato occupabile e gli viene dimezzato il sussidio. Se invece lo stesso disoccupato ha un padre a carico di 60 anni, è inoccupabile e prende un sussidio doppio. Ma è lo stesso disoccupato!».

C’erano le truffe sul reddito…

«È stata una campagna odiosa e brutta. Erano “solo”  l’1 per cento».

Solo?

«Il più basso dei tassi fra tutte le nostre prestazioni Inps». 

Così poco?

«Perché noi abbiamo fermato prima prestazioni non dovute per 11 miliardi!».

Possibile?

«I furbetti che ci hanno dato i loro dati si sono inconsapevolmente esposti ai controlli».  

E non sono i soli.

«Secondo lei, non ci sono falsi invalidi? O cassaintegrati che lavorano in nero? Ci provano. E quelli del reddito li becchiamo più facilmente perché si espongono».

Addirittura.

«Il reddito è stata la misura più controllata della storia italiana. E ha centrato un altro grande obiettivo».

Il nero?

«Ha fatto emergere il nero. La stima era 3,5 milioni di lavoratori irregolari, ora sono 3 milioni».

Con quale meccanismo?

«Molti hanno potuto rifiutare il ricatto schiavile».

E L’evasione fiscale contributiva?

«Negli ultimi anni è passata da 130 a 100 miliardi. Anche grazie allo sforzo enorme di Inps».

In che senso?

«Abbiamo beccato gente con gli yacht e le Ferrari e con l’Isee da incapiente. Speriamo non si torni indietro».

Lei vorrebbe che  gli occupabili fossero determinati in altro modo.

«Con la profilazione delle competenze! Quanti anni hai? Che competenze hai? Cosa hai fatto nella vita?».

Serve una riforma del collocamento.

«Io vedo solo una via: l’integrazione tra politiche attive e passive e quindi far diventare Anpal una Piattaforma nazionale gestita da Inps».

Fino a ieri era in conflitto di interessi.

«Oggi non più. Noi siamo l’unico ente che in tempo reale dai flussi contributivi delle aziende, conosce i dati su ogni occupato!».

E può funzionare questo modello?

«In Germania è così. Funziona benissimo».

Lei non è riuscito a farlo accettare al suo governo, però. Lo ammetta.

«Certo! Il ministero del Lavoro perderebbe una competenza, cioè potere».

Perché ride?

«In certi palazzi mi odiano anche perché lo dico da anni».

Cosa resta del suo mandato?

«L’impresa della pandemia. 60 miliardi euro a 16 milioni di persone! I primi soldi dati alle partite Iva! La cassa Covid alle aziende di un solo dipendente! A bar e ristoranti!».

Chiudiamo con un’eresia.

«Andrebbero tolte subito le politiche del lavoro alle Regioni».

Perché?

«Non le sanno fare, sono un disastro. Dovrebbero occuparsi solo di formazione».

Qualcuno stapperà lo champagne.

«I sussidi in tutti i Paesi del mondo operano in modo centralizzato! Nel decreto Rilancio Italia quando abbiamo ridato competenze allo Stato siamo stati veloci il doppio nel pagare».

Cos’altro rimane del suo lavoro?

«I diritti restituiti ai riders che correvano per noi in pandemia».

Non tutta la sinistra ha difeso le nostre norme.

«Certa sinistra era contro il reddito di cittadinanza e il decreto dignità! Questo – sia chiaro – prima delle ribellioni che hanno messo in sella Ladini e la Schlein».

Uno che era d’accordo c’era?

«Epifani era favorevole al decreto e mi ha dato molte indicazioni utili. Ladini oggi è un baluardo. Allora avranno queste riforme con l’opposizione di tutto il mondo!».

E in istituto?

«Non lo scriva. Ma ho assunto 12mila persone dal 2019 a oggi».

Così tanti?

«Solo il 17 aprile scorso cinquemila persone: 370 ingegneri informatici, 360 medici, 23 avvocati, 60 tecnici edilizi, 4.124 funzionari…».

Tridico, è impazzito?

«Tutti per concorso con 67mila esaminati, 11mila all’orale, cinquemila idonei. In questi 4 anni ho trasformato l’Inps in una grande agenzia nazionale del welfare. Completa. Tecnologicamente avanzata. Digitalizzata. Innovativa. Abbiamo raddoppiato gli investimenti in tecnologia anche grazie al Pnrr. Abbiamo aumentato la produttività del 25 per cento, ridotto i tempi di liquidazione delle prestazioni del 20 per cento».

Servono queste persone?

«Come il pane. Lascio un ente con 29mila dipendenti. Una grande squadra, per fare la differenza nel sociale. Cito un grande pensatore sociale?».

Spari.

«Il welfare non è un costo ma un prezzo per lo sviluppo».

Lo ha detto Keynes!

«No. È keynesiana, in effetti. Ma è una citazione di Bergoglio alle Acli, nel 2015».

Lei è innamorato del Papa, confessi.

«Ha dato la mano a 400 dipendenti dell’Inps, il giorno dopo la dimissione dal Gemelli».

Anche lei era vestito di bianco?

«No, in nero con cravatta blu e nera».

Odia la Meloni perché l’ha silurata senza guardarla in faccia, confessi.

«Frequentiamo sartorie diverse. Ma mi auguro che faccia bene per gli italiani».

E darà consigli al suo successore?

«Assolutamente sì: con spirito di lealtà e senso delle istituzioni».

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