Inchiesta Fondazione Open: gli affari segreti, gli indagati, i finanziatori e tutto quello che c’è da sapere
Tutto sull'inchiesta sulla Fondazione Open: gli indagati Renzi, Boschi, Lotti, Bianchi, Carrai, i finanziamenti dalla British American Tobacco e della Toto Costruzioni, le spese per sostenere la scalata al Pd di Matteo. E poi le chat, le mail e gli appunti del Giglio magico
La Procura di Firenze ha chiuso a metà ottobre l’inchiesta su Fondazione Open. Tra gli indagati ci sono l’ex premier Matteo Renzi, i deputati Maria Elena Boschi (Italia Viva) e Luca Lotti (Pd), l’imprenditore Marco Carrai (che era nel cda di Open) e l’avvocato Alberto Bianchi (presidente di Open). Per loro l’ipotesi di reato è finanziamento illecito ai partiti. A Lotti e Bianchi è contestata anche la corruzione per l’esercizio della funzione.
Gli indagati sono in tutto undici. Oltre a Renzi e ai suoi collaboratori del cosiddetto “Giglio magico”, gli avvisi di fine indagine sono stati notificati agli imprenditori Alfonso Toto, Pietro Di Lorenzo, Patrizio Donnini e Riccardo Maestrelli e ai manager della British American Tobacco Gianluca Ansalone e Giovanni Carucci. Sono iscritte al registro degli indagati anche quattro società: la Toto Costruzioni, la Immobil Green, la British American Tobacco Italia spa e la Irbm spa (già Irbm Science park spa).
La Fondazione Open – che inizialmente si chiamava Big Bang – ha operato dal 2012 al 2018: la sua missione era finanziare la “Leopolda” e altre attività politiche di Matteo Renzi. In sei anni la fondazione ha raccolto 7,2 milioni di euro di donazioni, di cui almeno una parte – secondo i pm – in violazione delle norme sul finanziamento ai partiti. Secondo gli inquirenti, infatti, Open avrebbe agito come l’articolazione di un partito e avrebbe violato gli obblighi stringenti di trasparenza.
Inchiesta Fondazione Open: i Renzi Papers
Dalle carte dell’inchiesta sulla Fondazione Open emergono una serie di documenti, i cosiddetti Renzi Papers, dai quali emerge una ragnatela di potere costruita intorno alla struttura del Giglio magico, capace di riscrivere leggi su misura per i finanziatori più generosi.
Come nel caso della clamorosa lettera interna, pubblicata in esclusiva da TPI, della British American Tobacco, al secondo posto al mondo fra i produttori mondiali di sigarette e tra i principali finanziatori della Fondazione Open, la cassaforte del renzismo, dalla quale si evince che le donazioni sono state fatte come “come pre-requisito per accedere a Renzi e ai suoi uomini”.
La Fondazione Open, quindi, si rivela essere una vera e propria macchina da soldi che in sei anni ha raccolto 7,2 milioni di euro e con alcune delle imprese (Da British American Tobacco a Toto Costruzioni: leggi qui chi (e quanto) finanziava la Fondazione Open) che l’hanno finanziata adesso sono indagate.
Matteo Renzi si è sempre difeso sostenendo che Open fosse una “fondazione culturale”: eppure nelle loro chat Lotti e Bianchi spiegano come funzionava la macchina da soldi della Fondazione Open: incassava un fiume di denaro, ma era sempre in rosso.
Ma dai Renzi Papers emerge anche la scalata al Pd da parte di Matteo Renzi attraverso i finanziamenti della Fondazione Open e i ricavi extra come conferenziere (qui la lista).
Non solo, nelle carte della Procura di Firenze spuntano due bonifici da Leonardo Bellodi, ex dirigente Eni in affari con l’imprenditore fiorentino, ad Alberto Manenti, che Renzi nominò direttore dell’Aise e che poi finì nel cda del Banco Bpm.
Toghe, manager e perfino commissari delle authority indipendenti: negli appuntamenti del presidente di Open, inoltre, vi è l’elenco degli amici da piazzare e dei nemici a cui sbarrare la strada (qui l’articolo completo).
Ma tra le carte dei Renzi Papers c’è anche una lettera scritta dall’ex premier al pm che indaga sull’inchiesta Open, in cui il leader di Italia Viva invitava il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco a desistere dalle indagini.
Tra le intercettazioni, invece, spunta una mail di Mirko Provenzano, imprenditore cuneese successivamente coinvolto in un’inchiesta per bancarotta fraudolenta con la madre di Renzi (assolta), in cui questi insulta l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, allora candidato alla segreteria dem in competizione proprio con Renzi, definendolo “Quella testa di c**zo di Piacenza”.
Dalle carte dell’inchiesta Open, contenenti email e chat sequestrate ad alcuni degli indagati, inoltre, emerge anche l’esistenza di una task force volta a sostenere l’attività politica di Renzi sul web e sui social, di cui ne faceva parte anche la “leopoldina” Simonetta Ercolani, titolare della società di produzione “Stand by me”.
L’inchiesta rivela anche alcuni messaggi, mail o appunti (raccolti nel Best of dei Renzi Papers) dai quali emergono le manovre sulla tv, gli scambi di messaggi con la British American Tobacco e il piano per la macchina del fango nonché il colorito linguaggio fiorentino utilizzato da Renzi & Co.