Meloni batte ancora sul presidenzialismo: il piano del governo per far approvare la riforma costituzionale
La riforma del sistema italiano sul modello del presidenzialismo resta il grande obiettivo del governo Meloni, che come ha dichiarato la stessa premier nella conferenza stampa di fine anno, è votato non a “sopravvivere” ma a “fare le cose”, anche a costo di giocarsi la rielezione.
“Non sarò così sprovveduta da non cogliere eventuali tentativi di dilazione”, ha spiegato la leader dell’esecutivo, conscia del fatto che una rivoluzione simile, che deve passare obbligatoriamente attraverso una legge di riforma costituzionale, ha bisogno di mettere d’accordo quanto più possibile il Parlamento per essere affinata e approvata.
Nei piani della presidente del Consiglio c’è l’elezione diretta del presidente della Repubblica, scelto ogni cinque anni dai cittadini, che presiede il Consiglio dei ministri ed ha il potere di revocare i ministri. Verrebbe conservata la figura di primo ministro e lo schema di fiducia delle Camere al governo.
Meloni ha in mente un piano per arrivare all’obiettivo: una commissione bicamerale interamente dedicata all’argomento, formata – secondo un retroscena de La Stampa – da un numero di 15-20 parlamentari al massimo, che lavori per due anni a tutte le implicazioni del passaggio al presidenzialismo.
Marcello Pera, senatore in quota Fratelli d’Italia ed ex presidente del Senato nonché volto storico di Forza Italia e del Popolo della Libertà, sarebbe il referente della riforma. La ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati ha già cominciato a sondare il terreno con gli alleati del centrodestra, ma il governo guarda anche al Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda per una “sponda” politica.
“Se il governo apre una discussione non è possibile sfilarsi”, ha detto il vicepresidente di Azione Matteo Richetti, mentre Partito democratico e Movimento 5 Stelle si sono già sfilati. Renzi ha suggerito a Meloni di “non fare tutto da sola”, correndo il rischio di fallire come nel caso del referendum del dicembre 2016 sul superamento del bicameralismo perfetto.
Ma il governo non pare spaventato dalla consultazione popolare. Emanuele Prisco, già capogruppo di Fdi in Commissione Affari Costituzionali, ha dichiarato: “Anche se la riforma dovesse ottenere i due terzi dei parlamentari sarebbe giusto indire il referendum. Una tappa epocale non può non essere confermata dalle urne”.