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Home » Politica

Un anno di Giorgia Meloni al Governo: sotto lo slogan, niente

Immagine di copertina
Credit: AGF

Meloni ha confermato la linea dura sui conti. Senza l’autorevolezza di Draghi. Ma il Pnrr resta un’incognita e il Mes è ancora un problema. Ha fallito invece sui temi più cari alla destra come migranti, pensioni, accise e crescita. L’unico risultato raggiunto è la guerra ai poveri

La vittoria della coalizione di centrodestra di Giorgia Meloni del 25 settembre 2022 non ha colto nessuno di sorpresa, né gli analisti politici, né i giornalisti, né tantomeno gli opinionisti della domenica. Da mesi Fratelli d’Italia era dato saldamente in testa nei sondaggi, mentre da anni aveva iniziato una costante quanto inarrestabile crescita che li aveva portati a passare dall’1,96 per cento dell’esordio elettorale nel 2013 al 25,98 per cento di un anno fa.

Sono stati anni intervallati da scadenze intermedie così come da tanti cambiamenti che hanno visto protagonista la politica italiana: la crescita del partito di Giorgia Meloni ha infatti accompagnato l’ascesa e caduta di Matteo Renzi, il governo giallo-verde e l’esecutivo giallo-rosso di Giuseppe Conte, il boom e il crollo di Matteo Salvini, la pandemia e il governo di Mario Draghi, restando sempre all’opposizione con una coerenza poi premiata dall’elettorato. Il resto dei protagonisti della politica alternava consenso e cadute, ma lei cresceva regolarmente. E nel frattempo studiava pregi e difetti di tutti i leader che uno dopo l’altro si succedevano e conquistavano la fiducia, magari solo provvisoria, dell’elettorato. Così, quando Fratelli d’Italia un anno fa ha vinto le elezioni, non sono stati solo elettori e commentatori a non rimanere stupiti, ma nemmeno la stessa Giorgia Meloni, arrivata ben preparata all’appuntamento.

Proprio perché aveva osservato attentamente le parabole degli altri, la leader di Fratelli d’Italia ha usato una prudenza ben superiore dei suoi predecessori. Ma la prudenza, si sa, per quanto saggia, può essere anche un’arma a doppio taglio.

Confusi e contenti
Il primo errore che Giorgia Meloni ha voluto evitare è stato quello che tra il 2018 e il 2019 ha compiuto il suo alleato Matteo Salvini, quando da ministro dell’Interno (e uomo forte della maggioranza giallo-verde) aveva tenuto un atteggiamento di scontro nei confronti delle istituzioni europee che aveva di fatto isolato l’Italia in quel contesto. Giorgia Meloni, fino a pochi anni fa ritenuta quasi una cosa sola con la Lega di Salvini in un unico fronte sovranista, nonché in un consolidato rapporto politico col premier ungherese Viktor Orban, il più euroscettico tra i leader europei, ha invece scelto di provare a porsi in continuità col governo Draghi su una linea tradizionalmente europeista. Ma le buone intenzioni non sono bastate a creare le stesse condizioni, fatte di anni di lavoro, che avevano permesso a Mario Draghi di tessere profonde relazioni e guadagnarsi un certo rispetto nel contesto europeo, così come non sono mancate e continuano a non mancare le posizioni traballanti nel rapporto con Bruxelles, come la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) su cui l’Italia prende ancora tempo.

Il nostro Paese si è trovato ancora una volta sotto pressione su un tema molto caro alla destra al governo e su cui Palazzo Chigi si è spesso scontrato con Bruxelles a prescindere dal colore dell’esecutivo, ovvero quello dei migranti. Se da un lato è calato il numero dei post social sull’argomento da parte dei leader di centrodestra, dall’altro ciò che non è calato è il numero degli sbarchi, che procedono senza sosta e che hanno portato Lampedusa all’ennesima situazione insostenibile su cui il Governo sta cercando di rispondere, non senza difficoltà. Soprattutto dopo il mancato accordo sui migranti con la Tunisia, fallito dopo il niet del presidente Kais Saied, con cui è in corso un braccio di ferro in assenza di un finanziamento dal Fondo monetario internazionale (Fmi), ritenuto imprescindibile dal leader nordafricano.

Se sui migranti il governo sta cercando di capire come affrontare la situazione, se sugli esteri i trascorsi sovranisti ed euroscettici di Fratelli d’Italia sembrano ormai legati al passato, anche un altro tema storico della destra dei tempi recenti sembra essere sparito dall’agenda di governo. Sulla legge Fornero, infatti, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha avuto parole che lasciano poco spazio a una revisione del sistema pensionistico, che l’ha definita quasi impossibile con gli attuali livelli di natalità.

Il tema economico è portante. Le risorse non sembrano essere sufficienti per permettere al governo di introdurre operazioni strutturali e, mentre il Pil cresce meno del previsto, si riscontrano ritardi e difficoltà strutturali nella gestione dei fondi del Pnrr, col governo costretto a presentare una revisione e il timore che questo porti l’Italia a perdere preziosi finanziamenti o a iniziare un braccio di ferro sul tema con la Commissione europea.

Ma se l’azione di governo ha bisogno di risorse, queste in un modo o nell’altro vanno trovate. E così, l’esecutivo ha dato il via allo smantellamento del reddito di cittadinanza, sostituendolo in parte con misure di portata minore e con effetti tutti da scoprire, e ha provato a lanciare l’idea di una tassa sugli extraprofitti bancari, con cui il governo conta di trovare oltre due miliardi di euro per sostenere i mutui e abbassare le tasse, ma che chiaramente ha trovato l’opposizione degli istituti di credito.

Una competizione tutta interna
Nonostante la pattuglia capitanata da Giorgia Meloni fosse ben consapevole, un anno fa, che salvo sorprese clamorose avrebbe vinto le elezioni, spesso sembra ancora non avere le idee chiare su come procedere. Dall’altra parte, però, trova un’opposizione confusionaria, ancora in cerca d’autore, senza un perimetro definito e senza parole d’ordine chiare intorno cui riunirsi e dare battaglia al governo, tranne per quanto riguarda la proposta sul salario minimo. Questo ha portato il centrodestra a vincere agevolmente le tornate di elezioni regionali e amministrative svoltesi nel corso di quest’ultimo anno, ma con un’astensione in crescita che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per tutte le forze politiche e che, con i giusti stimoli, potrebbe tornare a votare e alterare qualsiasi previsione.

Ma al di là dell’opposizione, se il governo non mette l’acceleratore rischia di fornire carburante alle critiche interne. Per quanto storicamente la destra sia più brava della sinistra a fare quadrato ed evitare spaccature, non è di certo immune al rischio. Di recente si è visto come ci siano alcuni suoi settori, come quello che si sta riunendo intorno all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che vedono il governo Meloni troppo in continuità con i recenti esecutivi e che vorrebbero portare avanti un dissenso da destra.

Poco conta la portata di questo dissenso, perché l’imprevedibile politica italiana insegna come anche una scintilla possa rapidamente incendiare la maggioranza, soprattutto mentre entriamo nei mesi a ridosso delle europee, con Fratelli d’Italia che cercherà di riconfermare il saldo primato, la Lega che vorrà riscattare il magro risultato di un anno fa e Forza Italia per la prima volta al voto dopo la morte di Berlusconi, l’uomo che nel 1994 ha inventato il centrodestra così come lo conosciamo in questo Paese e che, salvo rare eccezioni, è rimasto sempre compatto. Starà a Giorgia Meloni dimostrare se è in grado di mantenere saldo quello stesso perimetro.

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