Giacomo Possamai: non chiamatelo l’anti-Elly
Eletto sindaco a Vicenza, è l’unica nota lieta delle comunali per il Pd. In campagna elettorale non ha voluto Schlein in città. Ma contrapporlo alla segretaria dem sarebbe sbagliato. I due hanno molto in comune
Guai a commettere l’errore di mettere in contrapposizione Giacomo Possamai e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. Non perché non abbiano delle legittime divergenze (Possamai alle primarie ha votato Bonaccini), ma perché il loro percorso politico è più simile di quanto non possa sembrare a prima vista.
Tanto per dirne una, “Jack”, come lo chiamano gli amici di lunga data, ha in comune con Schlein la campagna elettorale per Barack Obama. Entrambi, nell’autunno del 2012, varcarono l’Oceano per andarlo a sostenere come volontari e il neo-eletto sindaco di Vicenza tenne pure un diario di bordo su Europa, redatto insieme a Giovanni Diamanti, figlio di Ilvo, compagno di mille avventure e tra i principali artefici della sua inaspettata vittoria nella corsa alla guida della città del Palladio.
Glocale
Possamai, del resto, è la quintessenza del politico “glocale”: perfetto connubio di globale, nel senso di spirito internazionale e visione lungimirante delle questioni, e locale, nel senso di profondo attaccamento alle radici e alla terra natia. Non a caso, quando la scorsa estate Enrico Letta gli ha offerto un seggio blindato alla Camera, il nostro, già capogruppo in Consiglio regionale, dopo aver ottenuto una messe di preferenze nel 2020, ha preferito declinare e puntare dritto su Palazzo Trissino, benché i sondaggi dessero l’uscente Francesco Rucco, candidato del centrodestra, in vantaggio di diciassette punti.
Possamai, classe 1990, studi classici al liceo Pigafetta, laurea in Giurisprudenza a Bologna, solide relazioni territoriali e discreto cursus honorum alle spalle, non si è lasciato intimidire dallo stato delle cose, pianificando la sua corsa con il giusto anticipo e puntando su un tratto civico che, probabilmente, ha fatto la differenza.
Modello veneto
Lettiano di nascita, fu tra i membri dello staff dell’allora presidente del Consiglio, prima che Renzi gli desse il ben servito nel corso di un’indimenticabile riunione della Direzione del Pd. “Possa” non si è perso d’animo ed è andato avanti per la sua strada. Attivo sin da ragazzo nei Giovani Democratici, ne è diventato prima segretario provinciale e poi vicesegretario nazionale, per poi puntare dritto sulla scalata al vertice cittadino.
Già nel 2017 aveva tentato la corsa a sindaco di Vicenza, sconfitto per un soffio alle primarie da Otello Della Rosa, a sua volta battuto alle amministrative del 2018 da Rucco. Forte di quell’esperienza e degli ottimi risultati conseguiti, nel frattempo, a livello individuale, Possamai ha lanciato nuovamente la sfida, riuscendo nell’impresa di battere Rucco al secondo turno con il 50,5 per cento dei consensi. Non un trionfo, insomma, ma comunque un cambio di passo, in una regione in cui il leghista Luca Zaia è diventato una sorta di doge ma città come Vicenza e Verona, in dodici mesi, hanno cambiato colore.
E qui torniamo al ruolo di Giovanni Diamanti, già punto di riferimento della campagna elettorale di Damiano Tommasi nella città di Romeo e Giulietta e ora demiurgo del successo dell’amico Giacomo in quel di Vicenza.
Giovane ma scafato
Chi è, dunque, davvero Giacomo Possamai? Un astro nascente della sinistra, un civico, l’ultimo dei lettiani o un po’ tutte queste cose insieme? Propenderemmo per quest’ultima ipotesi.
Diciamo che non è un gauchiste, essendo stato fra i pupilli dell’ex sindaco Achille Variati, che puntò su di lui già nel 2013, nominandolo a soli 23 anni delegato alle Politiche giovanili e consentendogli di maturare un’esperienza che ora gli tornerà utilissima nel suo nuovo ruolo.
Diciamo anche che conosce il valore della gratitudine, non avendo mai fatto mistero di essere cresciuto con Letta e di dovergli moltissimo.
Diciamo, infine, che è abile e scaltro, avendo chiesto a tutti i leader nazionali di non farsi vedere per non romanizzare la competizione con Rucco, ben conoscendo la realtà vicentina e le sue caratteristiche.
Dei civici alla Tommasi possiede la trasversalità, avendo messo d’accordo mondi diversi ed essendo riuscito a riunire sotto le proprie insegne il Terzo Polo e il M5S, benché questi ultimi solo al ballottaggio, ma persino l’ex forzista Matteo Tosetto, la volta scorsa sostenitore di Rucco.
Da Letta ha ereditato il senso delle istituzioni e la capacità di misurare le parole. Alla sua giovane età, infine, deve la radicalità su alcuni temi, al punto che, subito dopo aver vinto, ha dichiarato a Concetto Vecchio di Repubblica: «Ho vinto schierandomi al fianco degli ultimi e dei giovani». Non solo. Ha affermato anche che vuole « governare con i cittadini, in mezzo ai quartieri».
Territorialità
E qui, conoscendolo da diverso tempo, ci sorge un dubbio benevolo. Quest’attenzione ai più deboli e ai temi su cui maggiormente dibattono le nuove generazioni non deriverà anche dalla sua esperienza personale e di gruppo? Dovete sapere, infatti, che nei giorni in cui il Pd decise di suicidarsi, non accettando né la sfida di Rodotà lanciata dai 5 Stelle né quella di Prodi lanciata da Bersani, una delle prime sezioni a essere occupate fu quella di Vicenza.
E i protagonisti della “sommossa” furono proprio i ragazzi e le ragazze del Pigafetta, i compagni di scuola e di militanza di Giacomo, che qualche mese dopo avrebbero votato in gran parte per Civati, eleggendo a loro punto di riferimento una ragazza di 28 anni che di quella protesta era stata la promotrice.
Sempre loro, nella primavera successiva, tributarono a quella ragazza una valanga di consensi, talmente tanti da consentirle di approdare al Parlamento europeo e di diventare una delle speranze della sinistra dem, prima della dolorosa scissione del 2015 in contrasto totale con le politiche renziane. È superfluo sottolineare che stiamo parlando di Elly Schlein, che Possamai non ha voluto al suo fianco più per calcolo che per avversione e con la quale, ne siamo certi, saprà trovare un modus vivendi.
La generazione è la stessa, l’elettorato e il partito pure, e il nostro è troppo furbo e troppo avvezzo alle cose del mondo per entrare in conflitto con la segretaria della sua comunità. Oltretutto, il conflitto non è proprio la sua cifra esistenziale.
Giacomo Possamai è un sostenitore del dialogo e del confronto, un uomo in grado di affrontare qualunque passaggio e di tenersi sempre apparentemente in disparte, pur compiendo scelte nette e avendo le idee chiare sul da farsi. Magari con Bonaccini si sarebbe trovato più a suo agio ma, come detto, non avrà problemi a collaborare con Schlein. Basti pensare che ha attraversato il renzismo da lettiano e ne è uscito addirittura rafforzato.
Sarà che lui un territorio di riferimento ce l’ha, virtù rara per i politici contemporanei. E a noi, volendo riassumere in una citazione la sua parabola glocale, tornano in mente alcune bellissime frasi di Cesare Pavese, tratte da “La luna e i falò”: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».