Generazione euro: così i giovani possono fare la differenza alle europee
Hanno priorità diverse rispetto agli anziani ma anche una visione più ottimista dell’Ue. Eppure sono i meno propensi a votare. Il Parlamento europeo ha concentrato la campagna per il voto sugli under-24. "L’affluenza dei nuovi elettori è una priorità democratica", spiega il portavoce dell'Eurocamera Jaume Duch Guillot all'inviato di TPI a Bruxelles
Monique aveva solo 12 anni quando, il 17 giugno 1940, perse sua madre durante un bombardamento nazista in Francia. Jarmila ne aveva tre quando, negli anni Cinquanta, la polizia segreta della Cecoslovacchia la portò via dai suoi genitori, arrestati entrambi perché dissidenti. Samuel invece aveva solo pochi mesi quando, per salvarlo dall’olocausto e dalla persecuzione degli ebrei, sua madre lo affidò a una famiglia olandese che lo crebbe come loro figlio. Tutti e tre, insieme ad altre sette coppie di nonni e nipoti, sono i protagonisti del documentario “Hero Movie”, prodotto dal Parlamento europeo per promuovere la campagna per il voto dell’8 e 9 giugno.
L’idea alla base, come ci hanno spiegato a Bruxelles il direttore del progetto Johan Køhler della Creative Agency e la regista Mette Carla Albrechtsen, era «di mettere in una stanza chi poteva raccontare la propria storia ai giovani che per la prima volta andranno a votare». Nei quattro minuti montati si vedono infatti dieci coppie di ragazzi e anziani condividere le proprie storie per comprendere quanto sia importante vivere in pace e democrazia. «Chi, se non i loro nonni».
Anche se la campagna “Usa il tuo voto, oppure altri decideranno per te” è rivolta a tutti, non è un segreto che riservi un occhio particolare a chi per la prima volta andrà alle urne per le Europee. D’altronde, secondo l’ultima rilevazione di Eurobarometro, i più giovani sembrano «i meno interessati e i meno propensi a votare» rispetto a tutte le altre fasce d’età. Pur avendo generalmente maggiore fiducia nell’Ue hanno altre priorità: per gli under-24 la lotta al cambiamento climatico, la riduzione della povertà, la ricerca, la tecnologia, l’innovazione, l’eguaglianza di genere contano più di tutto il resto e pensano che sia l’Europa a doversene occupare. Ecco perché è importante attirare alle urne chi vota per la prima volta, come ci spiega da Bruxelles il portavoce del Parlamento europeo, Jaume Duch Guillot.
Come si fa, come dicono gli americani, a “conquistare i cuori e le menti” dei più giovani per queste elezioni?
«Innanzitutto dobbiamo provare a entrare in contatto con, se non tutti, la maggioranza dei cittadini europei, non soltanto i giovani. Ma è vero che una parte della nostra campagna guarda soprattutto ai ragazzi, perché votano meno rispetto ad altre fasce d’età e perché se non vanno alle urne la prima volta è probabile che non lo faranno mai più. Chi vota la prima, la seconda, la terza volta poi continua per tutta la vita. E se c’è l’opportunità di difendere la democrazia e di partecipare alle decisioni che poi hanno un impatto su tutti noi, quello è il momento delle elezioni Europee. Portare i ragazzi al voto è una priorità democratica».
Gli appartenenti alle nuove generazioni vivono un paradosso: sono europei ma in pochi si sentono europeisti.
«Probabilmente non hanno bisogno di essere europeisti proprio perché sono nati europei e questo, forse, fa parte del problema. I ragazzi non hanno la possibilità di distinguere tra cosa significa essere cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, con tutti i diritti e tutti i vantaggi che comporta, e cosa significa invece non esserlo. I nostri genitori – e anch’io quando ero giovane – hanno vissuto una situazione diversa, meno rosea. Ci sono solo due termini di paragone oggi».
Quali?
«Prima di tutto, la Brexit. Molti giovani europei hanno contatti con i loro coetanei britannici perché hanno studiato insieme o attraverso i social media, etc. Questi ultimi, da un giorno all’altro, hanno perso la cittadinanza europea e con essa una serie di vantaggi, tra cui una sorta di ombrello – che è molto importante quando piove – e in Europa adesso piove forte».
E l’altro?
«Guardiamo a cosa succede in Ucraina. Giovani che probabilmente pensavano di studiare in Europa con i loro coetanei o che magari volevano fare le vacanze in Italia, mentre adesso invece sono in guerra, vestiti in uniforme per difendere il proprio Paese».
Qual è il messaggio?
«I nostri giovani non hanno bisogno di sentirsi europeisti, ma devono prendere molto sul serio cosa vuol dire essere europei».
Come influiranno sul risultato delle elezioni europee oltre due anni di guerre?
«Il conflitto ha già influenzato la metà della legislatura e ci ha permesso di mostrare che l’unità dell’Unione europea può andare avanti e risultare politicamente efficace. Non era chiaro il primo giorno dello scoppio della guerra che i 27 Paesi avrebbero avuto la capacità di coordinarsi e di assumere una posizione unica, invece l’abbiamo fatto e questa unità resiste ancora dopo due anni e mezzo di ostilità. Nel momento di andare al voto, l’aggressione della Russia, la situazione in Ucraina e il sostegno del resto dell’Europa dovrebbero sottolineare quanto sia importante recarsi alle urne. I russi non possono votare liberamente. I britannici non possono votare per le elezioni europee dal 2019. Quei milioni di giovani europei che possono farlo e decidere loro stessi sul proprio futuro, lo devono fare. Devono prendere in mano il proprio futuro».
Al conflitto in corso però si aggiunge anche quella che è stata definita una nuova “guerra dell’informazione”.
«La guerra dell’informazione non è un conflitto fisico ma è pur sempre una guerra. Da due anni e mezzo – e forse anche più – si combattono entrambe. La Russia ha invaso l’Ucraina ma allo stesso tempo ha promosso una campagna di disinformazione contro tutti noi europei: italiani, tedeschi, spagnoli, baltici, etc. E questa guerra ha anche delle conseguenze, probabilmente – com’è ovvio – meno visibili, ma produce degli effetti e se non li prendiamo sul serio, ci possono mettere tutti in difficoltà».
A proposito di questo nuovo conflitto mediatico. Il Parlamento europeo ha aperto un profilo TikTok, che registra tante visualizzazioni, eppure nelle sue sedi l’app non si può utilizzare. Come si spiega?
«Sono due cose diverse: non possiamo utilizzare TikTok sui telefonini e sui dispositivi mobili che appartengono alle istituzioni per evitare problemi dal punto di vista della protezione dei dati ma allo stesso tempo è chiaro che se vogliamo lottare contro la disinformazione non possiamo non essere presenti su questa piattaforma. TikTok è uno dei canali di informazione più importanti per i giovani. Più di 120 milioni di cittadini europei sono registrati sull’app e molti sono giovani. Dunque dobbiamo essere presenti anche lì con i nostri contenuti».