Esclusivo TPI – “Ecco la vera storia di mio fratello Francesco Rocca”
“Il giorno in cui nostra madre morì, lui mi portò dagli spacciatori. Aveva 19 anni, io 17. Non era tossicodipendente, fu per debolezza e avidità. È ridicolo paragonare il suo passato legato al mondo della droga con il fascismo giovanile di Scalfari. Da elettore di destra lo invito a fare i conti con se stesso se vuole diventare presidente del Lazio”. Parla Alessandro Rocca, fratello del candidato del centrodestra alle regionali
Alessandro Rocca, fratello minore di Francesco. Ci incontriamo al chiosco il “Il Curvone”, sul lungomare di Ostia. Ci siamo scambiati messaggi per giorni, alla fine mi ha dato un appuntamento per una intervista: questa è la sua storia.
Alessandro è di due anni più piccolo del fratello maggiore, candidato presidente del centrodestra alla guida della regione Lazio.
Nell’intervista di Grazia Longo su La Stampa che ha innescato questa crisi, il candidato del centrodestra raccontava di essere caduto nella tossicodipendenza per un crollo dovuto alla malattia della madre. E di essere diventato spacciatore – reato che lo ha portato ad un condanna che non ha mai nascosto – per questo motivo. Alessandro Rocca, per la prima volta, racconta la sua verità su quei giorni drammatici.
Alessandro Rocca, lei è diventato il grande accusatore di suo fratello Francesco, candidato del centrodestra alle regionali del Lazio.
«Assolutamente no. Respingo questa sintesi: io non accuso nessuno, chiedo solo verità».
Però lei ha pubblicato su Facebook dei post in cui accusava Francesco di aver mentito sul proprio passato, sulla sua storia di spaccio.
«È vero. Io ho chiesto a Francesco di dire pubblicamente la verità sulla sua storia di spaccio. E di non addebitare a nostra madre, morta di cancro – come invece ha fatto! – la responsabilità dei suoi errori di gioventù».
Lei, però, in quei post, ha alluso a diverse vicende. Ad esempio ha scritto: «Perché non dici dove mi hai portato la sera in cui è morta nostra madre». Però ha scelto di non raccontare tutto. Perché?
«Lo farò oggi, in questa intervista».
Mi fa piacere, ma perché non lo ha mai fatto prima? Francesco è un personaggio pubblico da tanti anni.
«Perché è stato lui in questi giorni a fare una ricostruzione di quei fatti, e perché mi aspettavo un segnale preciso da mio fratello».
Quale?
«Gli chiedevo una dichiarazione pubblica in cui ritrattasse le cose non vere, e per me gravi, che ha detto in un’intervista apparsa su La Stampa poco prima di Natale.
Perché per lei era così importante?
«Per un dovere di onestà personale rispetto alla nostra storia privata, sulla memoria di chi non c’è più, in primo luogo. E poi per un gesto di pubblica chiarezza: se ti candidi a governare la cosa pubblica devi essere onesto, prima di tutto con te stesso».
E secondo lei Francesco Rocca non lo è stato?
«Secondo me no».
Sarò diretto. Lei vuole sabotare la candidatura del centrodestra per ostilità politica, ipotizza qualcuno…
«Scherza? Io sono destra! Non ho nessuno ostilità politica, in questo caso la politica non c’entra nulla».
Altri – glielo devo chiedere – pensano che suo fratello le abbia negato qualcosa e che questa sia una vendetta.
«Ridicolo. Una volta, tanti anni fa, mi ha aiutato a trovare un lavoro».
E in tempi recenti?
«Non gli ho chiesto nulla, non ho nessun rapporto di questo tipo nei suoi confronti».
Cioè?
«Io mi faccio la mia vita, lui la sua. Lui ha diretto la Croce rossa, io facevo il salvataggio e l’assistenza ai disabili nelle spiagge».
Si rende conto che un fratello che accusa un fratello nel pieno della campagna elettorale non è una cosa normale?
«Lo capisco, ma a me bastava una sua precisazione, una assunzione di responsabilità».
La attendeva in queste ore.
«Purtroppo non è arrivata.
Lei, ed è l’accusa più grave, ha scritto: «Perché non dici che tu non eri un drogato?». Cosa voleva dire esattamente?
«Se lei ha tempo e spazio le racconto tutta questa storia dall’inizio».
Alessandro Rocca, fratello minore di Francesco. Ci incontriamo al chiosco il “Il Curvone”, sul lungomare di Ostia. Ci siamo scambiati messaggi per giorni, alla fine mi ha dato un appuntamento per una intervista: questa è la sua storia. Alessandro è di due anni più piccolo del fratello maggiore, candidato presidente del centrodestra alla guida della regione Lazio. Nell’intervista di Grazia Longo su La Stampa che ha innescato questa crisi, il candidato del centrodestra raccontava di essere caduto nella tossicodipendenza per un crollo dovuto alla malattia della madre. E di essere diventato spacciatore – reato che lo ha portato ad un condanna che non ha mai nascosto – per questo motivo. Alessandro Rocca, per la prima volta, racconta la sua verità su quei giorni drammatici.
Alessandro, mi scusi se glielo ripeto: lei dice che non ha nessuna ostilità politica, ma sa bene che queste dire parole potrebbero danneggiare suo fratello e farlo perdere.
«Le do due risposte. La prima: mio fratello ha già vinto. La sinistra è divisa, alle regionali si vota a turno unico, chi conosce la politica sa come funziona, il resto è solo campagna elettorale e propaganda».
E la seconda risposta?
«La candidatura di qualcuno che ha espiato un errore è legittima e giusta, a patto che non si fondi su una menzogna. Vuole che le dica la terza cosa importante?».
Prego.
«Io non solo sono di destra, ma sono un elettore convinto di Giorgia Meloni. Lei mi piace, è in gamba, non ho nessuna ostilità verso il centrodestra. Casomai voglio aiutare lei, e tutti, a fare chiarezza su fatti di cui sono testimone».
È vero che lei è diventato di destra, da ragazzo, anche per l’influenza di suo fratello?
«È innegabile. Francesco è il maggiore, ha una personalità forte, ha sempre esercitato una forte influenza su di me. Lui è del 1965, io del 1968, si immagini il suo ascendente quando lui aveva 16 anni e io 13!».
Iniziate a fare politica negli anni Ottanta…
«A Roma e a Ostia, noi siamo stati l’ultima generazione imprigionata nella stagione della grande contrapposizione ideologica destra-sinistra».
Lo spieghi.
«Con la sinistra ci combattevano davanti alla scuola, ma anche sul modo di vestire, sui lavori: ci sentivamo diversi».
Spieghi.
«Fare il saluto romano, gasarsi gridando “Duce-Duce”… Vestire con il cappottino e con le coppole di lana che andavamo a comprare a via del Corso, partendo per la città, una sorta di rito di iniziazione… E poi i camperos e i Frye, gli stivali di pelle ricamati con la punta tagliata, le risse con i compagni davanti alle scuole… Era tutto parte di una identità».
Ovvero?
«Noi ci sentivamo fascisti. A 14 anni l’appartenenza teneva insieme tutte queste cose, in cui era difficile distinguere cosa pensi da come ti vesti e cosa fai».
Cosa ricorda di quegli scontri tra studenti?
«Che ne abbiamo date e ne abbiamo prese tante. Una volta, davanti a una scuola, arrivarono alcuni operai che gravitavano sui Cobas e sulla sinistra extraparlamentare, con i manici di piccone: ci massacrarono».
Mi immagino quanto lei li abbia odiati.
«Invece la sorprenderò. Per quanto le possa sembrare strano l’umiliazione di quel giorno non fu soccombere, ma il fatto che loro erano tutti operai e lavoratori. Noi ci sentimmo… dei fighetti».
Francesco faceva il classico.
«Era bravo a scuola, intelligente. Solo dopo la condanna si è laureato dai domiciliari, guadagnandosi uno sconto di pena con gli esami! Poi è anche fortunato».
Ovvero?
«Ha avuto due anni di sconto pena per l’amnistia».
Suo fratello era iscritto e militante del Fronte della Gioventù. E lei?
«Non ho mai preso nessuna tessera, ma non fa nessuna differenza».
Mi scusi, solo una curiosità: lei dice che vestiva con il loden e la coppola, non era un po’ chic rispetto ai camerati romani?
«No, il bomber dei paninari di destra arrivò poco dopo, a metà degli anni Ottanta. Ma forse per noi di Ostia contava anche il fatto che se sei fuori dalla città, all’estrema periferia, il “vestire bene” è un modo per distinguerti, per dire al mondo: “Guardate, non sono il coatto che dite voi!”».
Capisco.
«Queste sono spiegazioni che mi sono dato dopo. All’epoca si faceva così e basta».
Cosa accadde a sua madre?
«Un tumore al seno. È una cosa che oggi, a 54 anni, mi fa più male di allora. Perché oggi ci sono le diagnosi e le cure, e si sarebbe salvata, mentre allora se ne andò tra mille sofferenze».
Fu un calvario per tutta la famiglia, compreso il vostro terzo fratello, Fernando.
«Ferdinando, come capita in tutte le famiglie, è il buono, il più puro di noi. Si è sempre fatto la sua vita, oggi lavora in un albergo».
Torniamo a quei giorni del 1984. Dopo quanto lei scopre che suo fratello spaccia?
«Lo scopro subito. Vivevamo nella stessa casa, facevamo la stessa vita, nello stesso quartiere. Lo scopro e ne resto turbato».
Lei contesta ciò che ha detto Francesco a Grazia Longo: che lui era finito nella droga per il dolore del vostro calvario?
«Assolutamente no. Primo: Francesco non si è mai drogato. E quindi non è vero che è finito a spacciare perché si trovava in un momento di debolezza…Per leggere l’intervista integrale acquista il settimanale di TPI in edicola o in formato digitale sull’app di TPI