La parabola di Forza Italia: la nuova vita del partito che inventò il centrodestra
Berlusconi cambia rotta. Si allontana da Salvini e si avvicina a Meloni. Il partito che ha inventato il centrodestra è ridotto a sparring partner della coalizione. Ma è anche l’ago della bilancia della maggioranza
Dall’asse con la Lega per bilanciare il peso di Giorgia Meloni a quello con la presidente del Consiglio che mette Matteo Salvini all’angolo, entrambe le notizie sono lo specchio di un dato di fatto: Forza Italia, il partito che ha messo insieme il centrodestra in Italia così come lo conosciamo, è ridotto a semplice partner di coalizione, finito dagli allori del periodo di massima popolarità del berlusconismo a un ruolo di gregario, nonché di ago della bilancia degli equilibri interni.
Non è una notizia nuova, dal momento che il partito è da tempo in una fase di flessione che lo ha portato elezione dopo elezione a perdere consensi, al punto da finire sotto la soglia psicologica della doppia cifra scivolando nel ruolo di terza forza della coalizione di centrodestra dietro Fratelli d’Italia e la Lega. Ed è forse questa la cosa più beffarda per Forza Italia, perché furono proprio Silvio Berlusconi e il suo partito a inventare quella coalizione, proponendo uno schema che anno dopo anno, pur con tutti i cambiamenti cui la politica italiana ha assistito, è risultato sempre più consolidato.
Nella cosiddetta Prima repubblica un centrodestra come lo intendiamo oggi non esisteva. La Democrazia Cristiana fu un partito che ospitò uno spettro di idee e posizioni molto ampio, da elementi di sinistra sociale fino ad altri profondamente conservatori.
Pur non trattandosi di un partito di centrodestra, nella contrapposizione con il Partito Comunista Italiano, la Dc occupò quello spazio politico, lasciando in secondo piano partiti più piccoli, come il Partito Liberale Italiano o i monarchici, che avrebbero potuto rappresentare quell’area. Il Movimento Sociale Italiano, estraneo all’arco costituzionale e ritenuto ancora troppo legato al fascismo, rimaneva isolato e impossibilitato a partecipare a qualsiasi compagine di governo.
Col crollo del sistema partitico della Prima repubblica, tuttavia, le cose cambiarono molto. La discesa in campo di Silvio Berlusconi, infatti, non solo ha portato alla costituzione di un nuovo partito che avrebbe occupato uno spazio politico fino a quel momento sottorappresentato, diventando protagonista della scena politica, ma ha anche avuto un ruolo determinante nella creazione di una coalizione che, pur con tutti i cambiamenti di nomi e di uomini del caso, esiste ancora e si basa pur sempre su quello schema, quello che fu del Polo delle Libertà.
Forza Italia fu così il perno di un’alleanza che trasformò due partiti fino a quel momento ai margini in partiti di governo. Fu così che l’Msi si trasformò a Fiuggi in Alleanza Nazionale e che la Lega, rivelazione elettorale dei primi anni Novanta e forza strettamente legata al Nord e al federalismo, si unì alla coalizione. Due forze che all’epoca avevano profonde differenze e che, verosimilmente, senza Forza Italia non si sarebbero unite in un’alleanza.
Elezione dopo elezione, alternando vittorie e sconfitte, al contrario di un centrosinistra più mutevole, il centrodestra è rimasto stabile, tranne il solitario giro di valzer della Lega del 1996.
Lo stesso tentativo di cambiare profondamente lo schema partitico della coalizione con la fusione di Forza Italia e An nel 2008, sulla scia della nascita del Pd di Veltroni, non ha sortito gli effetti sperati ed è rapidamente tramontato, concludendo l’esperienza nel 2013, dopo che negli anni precedenti Gianfranco Fini aveva rotto con Berlusconi e messo in piedi la breve esperienza di Futuro e Libertà e un gruppo di ex An capitanati da Giorgia Meloni e Ignazio La Russa avevano fondato Fratelli d’Italia.
Fu allora che Berlusconi, ormai non più popolare come un tempo, provò a ritrovare il successo perduto rispolverando lo storico brand, Forza Italia. Ma ormai i tempi erano cambiati. La politica ha premiato posizioni più radicali, il partito che guardava all’elettorato moderato e prometteva la rivoluzione liberale iniziava ad accusare la concorrenza a destra di forze dalle posizioni dure verso le istituzioni europee. E Berlusconi ha iniziato a essere sempre meno presente nella politica italiana, senza che il suo partito trovasse una nuova leadership in grado di esprimere la stessa popolarità.
Sulla ricerca del “delfino di Berlusconi”, figura ai limiti del mitologico, si potrebbe aprire un capitolo a parte. Dal 1994 a oggi sono stati innumerevoli i nomi veri o presunti indicati per una possibile successione del presidente e imprenditore che sistematicamente sono stati accantonati o finiti addirittura nel dimenticatoio.
Da possibili staffette a Palazzo Chigi col fido Gianni Letta, ai promettenti alleati Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, passando per Angelino Alfano e Stefano Parisi, fino a figure meno strettamente legate alla politica come Guido Bertolaso, l’imprenditore Gianpiero Samorì o il generale Leonardo Gallitelli.
E intanto che i nomi veri e presunti per prendere il posto di leader del centrodestra si succedevano uno dopo l’altro, c’è stato chi ha smesso di aspettare il sigillo berlusconiano sulla propria ascesa e ha agito spontaneamente. Prima Matteo Salvini, che nel 2018 porta la Lega a diventare il primo partito di centrodestra dal 1994 a oggi a superare Forza Italia, poi Giorgia Meloni, la cui crescita l’ha condotta alla vittoria nelle scorse elezioni, la prima persona diversa da Berlusconi a guidare un governo espressione di quella stessa alleanza, figlia della celebre «discesa in campo».
Oggi quell’alleanza esiste ancora ed è sempre la stessa, ma il ruolo di Forza Italia è profondamente cambiato. Ridotta a poco più dell’8 per cento alle scorse politiche, risultato comunque accolto con favore stando ai sondaggi della vigilia, terza seppur solo di poco sotto alla Lega, non ha più la guida della coalizione ma i suoi numeri determinanti ne fanno l’ago della bilancia su molte questioni.
E i recenti cambiamenti di vertici, al di là delle ricostruzioni vere o presunte, raccontano proprio questo: un partito che può scegliere tra essere più vicino a Giorgia Meloni o a Matteo Salvini, che può influenzare la linea e la politica della coalizione su molti temi più divisivi, ma che ne ha perso la guida. Apparentemente impensabile fino a un passato non troppo remoto.
Ma la storia dei partiti è fatta così, di alti e bassi, di paradossi, e non c’è da stupirsi più di tanto se un partito tra i più votati in tempi recenti si trova oggi sotto la doppia cifra, così come che una forza che voleva farsi promotrice di un bipolarismo muscolare indossi i panni dell’ago della bilancia. Soprattutto se gli alleati hanno iniziato a muoversi per la propria strada.