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Barca a TPI: “I partiti non capiscono. Nelle proteste di piazza c’è la rabbia che nessuno oggi rappresenta”

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Credit: Emanuele Fucecchi

Intervista all'ex ministro della Coesione territoriale, oggi coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità: "Se nelle proteste contro il Dpcm vediamo solo la violenza significa che siamo ciechi. La penso come Zerocalcare, in piazza ci sono oggi 3 diversi pezzi di Italia. Mi preoccupano i partiti, che non fanno più il loro mestiere: non c'è dialogo sociale. Questo non è un Governo di sinistra: è senza segno. Bene la proroga del Reddito d'emergenza, ma la misura va migliorata e comunicata meglio. Positivo il Piano per il Sud del ministro Provenzano, ma non sono gli sgravi fiscali a fare la differenza. Mes? L'importante è avere un piano di spesa. Non mi candido a sindaco di Roma, di Calenda non mi convince il metodo"

Fabrizio Barca, 66 anni, è il coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. Economista, ex ministro per la Coesione territoriale (Governo Monti), ex dirigente della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia, Barca – figlio di Luciano Barca, importante dirigente del Partito Comunista Italiano – ha militato per alcuni anni nel Partito Democratico, da cui si è poi allontanato. Alcuni lo hanno indicato come possibile candidato alle elezioni comunali di Roma, in programma nella primavera del 2021: lui però dice di non volerne sapere. In questa intervista parliamo delle conseguenze sociali della seconda ondata del Covid-19 e, in particolare, delle proteste di piazza scatenatesi dopo il Dpcm del 25 ottobre.

Preoccupato?
Sì.
Più sul piano sanitario o su quello economico?
Credo che l’intera popolazione italiana sia preoccupata su entrambi i fronti. E, entro certi limiti, questa preoccupazione è inevitabile.
Perché?
Di fronte a uno schock di questa portata c’è un forte senso di incertezza. Questa seconda ondata è peggio della prima, così come il secondo terremoto è sempre peggiore del primo. Dopo la crisi di primavera, milioni di persone – già duramente colpite dall’emergenza – avevano iniziato a ripensare alla ricostruzione dei loro piani di vita e adesso si ritrovano stroncate.

C’è questo senso di incertezza dietro le proteste di piazza degli ultimi giorni?
Certo. E poi c’è la rabbia che si prova nel vedere che, dopo la prima ondata, non ci si è attrezzati per governare in modo diverso la seconda. Questo vale in generale, e non solo in Italia: succede in quasi tutto il mondo. Se vogliamo entrare più nel particolare, invece, di tutte le cose che ho letto, mi sembra di una lucidità straordinaria l’analisi di Zerocalcare, una figura importante della cultura, che conosce sia il mondo marginale sia quello giovanile.

Cosa l’ha colpita dell’analisi di Zerocalcare?
Lui individua tre tipologie diverse dentro queste proteste. La prima: quegli imprenditori e lavoratori che sono stati toccati dalle misure di contenimento nel pieno del loro tentativo di rilancio. Queste persone si oppongono alle restrizioni, le percepiscono come ingiuste di fronte agli investimenti sostenuti in questi mesi per rispettare le nuove regole. La seconda tipologia è composta soprattutto di giovani favorevoli alle misure di contenimento ma che chiedono misure adeguate di welfare che impediscano loro di finire gambe all’aria. Poi c’è la terza componente, anche questa fatta prevalentemente di giovani: giovani provenienti dalle aree fortemente marginalizzate delle grandi città, persone che stavano malissimo già prima di questa crisi, che erano già rabbiose, a causa di disuguaglianze diffuse. Ed è in questa terza fascia che possono penetrare ultras, camorre, clan, eversione. Queste frange violente sono sempre pronte a cavalcare le proteste, ma se in queste proteste noi vediamo solo ultras, camorre, clan, eversione, significa che siamo ciechi.

Prima ha detto che è preoccupato. Cosa la preoccupa?
Quando la rabbia non trova soggetti di rappresentanza diventa addirittura auto-lesiva. Preoccupa il fatto che non si vedono forze organizzate, partiti, capaci di fare quello che fa Zerocalcare: cioè di raccogliere, di distinguere, di capire cosa c’è in questo movimento. E di corrispondere, cioè rappresentare. Non vedo nei partiti consapevolezza della gravità della situazione, non li vedo in grado di ascoltare e di portare all’attenzione di chi governa non solo le spinte ma anche le idee, le suggestioni i suggerimenti. Cose che leggiamo tutti i giorni, domande senza risposte.

Ad esempio?
Ad esempio, sul trasporto pubblico locale: perché non avete mobilitato i pullman bloccati che portavano i turisti dando lavoro a chi li guidava? O ancora, sulla scuola: perché non avete pensato a migliorare l’insegnamento a distanza? E per finire, ci avete detto che andava bene la diradazione nei ristoranti, adesso ci dite che non va più bene: può darsi, ma non capiamo, le persone non sono meglio controllate sotto la responsabilità di un ristoratore anziché stando in giro assembrate? Sono domande ragionevoli, forse hanno una risposta, ma non ci arriva. E soprattutto: non si poteva discutere prima con i pezzi di società interessati immaginando che le cose potessero tornare ad aggravarsi? Il fatto è che non c’è un dialogo, un “dialogo sociale”, come scrive Papa Francesco nella sua “lettera”. In questo momento in Italia non c’è.

Si profila un autunno caldo di proteste?
Non sono un futurologo. Ma se invece di fare semplificazioni, come leggo, i partiti avessero un sussulto e facessero il loro mestiere, potrebbe andare meglio.
Perché i partiti, come dice lei, non fanno il loro mestiere?
Questa è una domanda a cui non so rispondere. Ma trovo impressionante il loro stato di cloroformizzazione.

Nelle piazze si protesta contro le chiusure, ma il Governo ha varato il Decreto Ristori: non basta?
Non esiste una piazza, esistono – come dicevo –  tre componenti in questa piazza. Per ognuna di queste c’è una risposta diversa.
Cominciamo allora con la prima delle tre componenti: gli imprenditori e i lavoratori danneggiati dalle restrizioni.
Per loro la risposta alla sua domanda è che c’è stato uno sfasamento tra l’emanazione delle misure di contenimento e quelle del Decreto Ristori: uno sfasamento, sebbene solo di 48 ore, che non si comprende dal punto di vista almeno tattico. I due provvedimenti andavano annunciati insieme. E soprattutto torniamo a quel che dicevo prima: non c’è dialogo, nessuno ha discusso con queste organizzazioni prima di emanare quelle misure.

Passiamo alla seconda componente delle piazze: i giovani favorevoli al contenimento ma che chiedono misure di welfare.
Il Forum Disuguaglianze e Diversità, con Asvis, subito dopo l’annuncio del provvedimento, ha chiesto di prolungare il Rem (Reddito di emergenza, ndr): il Governo ha immediatamente risposto prolungandolo di un mese.
Soddisfatti?
Sì, meglio della scorsa primavera, quando ci vollero due mesi per introdurlo: noi ponemmo il problema il 13 marzo, arrivò a metà maggio. Questa volta invece il Governo non ha esitato. Ma il modo è decisamente insoddisfacente: non si impara dall’esperienza e così il Rem resta una misura scritta male.

Cosa non va nel Rem com’è oggi?
Primo: è difficile accedervi. Secondo: non è stata fatta comunicazione. Terzo: non viene contrastata la stigmatizzazione di chi ricorre a questa misura, la terribile metafora dei “divani”. In questo contesto i giovani sono attivamente scoraggiati a usarlo. Noi pensiamo che il Governo debba modificare il Rem e che lo debba fare insieme a quelle organizzazioni di cittadinanza attiva che sanno di cosa si parla. E da loro ascoltare altre proposte, relative a fitti, bollette, e al ridisegno del welfare.
E invece?
Non basta intervenire, bisogna intervenire bene, con strumenti appropriati discutendo con i soggetti interessati. Non è questo, però, il metodo di questo paese. E in condizioni così gravi lo paghi.
Cosa intende quando dice che sul Rem “non è stata fatta comunicazione”?
Comunicare, nel caso del Rem, vuol dire far capire a tutti che non è  poco dignitoso essere poveri. Che il Rem non è una concessione, ma un atto di giustizia sociale. Raccontarlo così, magari dedicandoci 5 minuti di discorso da parte del presidente del Consiglio per spiegare che tutti gli italiani che possono chiederlo devono chiederlo. Rem e Reddito di cittadinanza non servono a trovare lavoro ma ad avere la testa libera da angosce per potersi occupare di vivere e anche di trovare lavoro.

Torniamo alle piazze: resta la terza categoria, quella dei giovani marginalizzati…
Quella è una categoria comunque furibonda, perché appunto vive ai margini della società. Ed entra in relazione con l’insoddisfazione della seconda componente di cui parlavamo prima: quei giovani che prima non erano in sofferenza ma che ora ci stanno andando.

Che giudizio dà dell’ultimo Dpcm?
Non ho le competenze per giudicare, ma certo le misure precedenti non bastavano. Lo sentiamo tutti. Ma c’è un tema di metodo: tutta Italia capì le restrizioni del 9 marzo perché Conte le seppe spiegare. Ci sentimmo tristi, angosciati ma anche fiduciosi e grati. Non è stato così in questo caso. Assumiamo che queste siano le decisioni ottimali: sono state spiegate? Io, quando me lo chiedono, questa volta non sono in grado di spiegare perché in un luogo di religione si può entrare e in un cinema no…
È la stessa critica che fa Italia Viva…
C’è chi in modo sincero o opportunista fa sue le domande della gente.

Questa seconda ondata è imputabile più al Governo o alle Regioni?
Con assoluta sincerità, non ho conoscenze che mi consentano di entrare in profili che attengano alla tutela della salute. Posso dirle, però, cosa avverto: poiché c’è incertezza in tutto il mondo circa l’efficacia delle misure di contenimento, mi sarei aspettato che in questi mesi ci si attrezzasse per i diversi scenari. Si ha invece la sensazione che, a fronte di questo quadro incerto, non fossero stati previsti scenari. E questo accresce l’ansia generale.

Come valuta l’operato del Governo sul tema delle disuguaglianze?
Noi del Forum DD crediamo che le disuguaglianze profonde che preesistevano a Covid-19 vadano affrontate con un cambio radicale di politiche – abbiamo fatto 15 proposte, da tempo – con l’obiettivo di aumentare l’accesso ai saperi e riequilibrare i poteri. In questo senso le rispondo che non sono stati presi provvedimenti radicali per ridurre le disuguaglianze.
Giudizio insufficiente, quindi.
Sono state fatte cose per lenire le disuguaglianze. Ma se parliamo di porre le condizioni per una loro riduzione strutturale, no, non è stato fatto nulla.

Definirebbe questo un Governo di sinistra?
No.
Perché?
Perché un governo di sinistra, consapevole della gravità dell’ingiustizia sociale, introduce delle misure radicali di riduzione delle disuguaglianze

Non sarà un Governo di destra?
No.
Perché?
Perché, fortunatamente, ha invertito ed eliminato provvedimenti autoritari, minacciosi per la democrazia, iniqui e che prendevano in giro la gente.
È allora un Governo di centro?
Se centro vuol dire un governo senza un segno, sì. Diciamo che è un governo anti-autoritario senza un segno.

Mi dica 3 proposte contro le disuguaglianze.
Prima: individuazione di missioni strategiche misurabili – di cui il Piano Ripresa e Resilienza diventi un volano – con un metodo che prevede forti indirizzi nazionali e forte responsabilità dei livelli territoriali. Nel sito del ForumDD illustriamo le possibili missioni. Seconda: condizione perché questo piano avvenga è trasferire potere ai giovani. E cioè tramutare il rinnovamento generazionale nella Pubblica Amministrazione – che avverrà comunque – in un grande piano strategico Paese, con modalità di assunzione che diano molto peso alle competenze organizzative dei giovani, indicando loro forti e visibili missioni strategiche e facendo accompagnare la loro entrata dalla parte migliore della generazione anziana dei pubblici dipendenti. È una delle condizioni per avere una PA che sappia costruire gli interventi a misura dei luoghi e ridurre le disuguaglianze territoriali. Terza: puntare sul trasferimento tecnologico dalle università alle imprese, valorizzando le alleanze che già oggi esistono ma che hanno bisogno di essere incoraggiate, promosse, moltiplicate, finanziate.

Mes sì o Mes no?
L’ho definito un residuato bellico disattivato. Disattivato perché non può più far danni, vista l’eliminazione delle condizionalità. Il tema vero è se il Governo italiano ha pronto un piano di spesa sulla Salute. Se è così, prenda i soldi perché conviene.
Come valuta il Piano per il Sud del ministro Provenzano?
Positivamente. Il ministro Provenzano ha anticipato lì alcune proposte proposte che speriamo al centro del nuovo Piano, come il rafforzamento delle tecnostrutture dei livelli territoriali e l’attenzione alle aree marginali interne, una enorme risorsa del Paese.
E gli sgravi fiscali la convincono?
Non ho mai pensato che gli sgravi fiscali siano quelli che fanno la differenza fra investire o no nel Sud.

Chiudiamo con Roma: ha già detto che non ha intenzione di candidarsi sindaco. Perché?
Il fatto di fare dignitosamente un lavoro non significa saperli fare tutti. Il lavoro che ho fatto in passato e quello che sto facendo adesso penso di saperli fare meglio del lavoro di sindaco. Penso di non essere adatto a quell’incarico.
Sui social ha battibeccato con Calenda. Cosa non la convince della candidatura di Calenda?
Il metodo.
Cioè?
Da cittadino di questa città ho chiesto quali fossero gli obiettivi, la visione, le persone che lo esprimevano. Lui, con spirito, mi ha chiesto di lavorare insieme e io, scherzando, ho detto: è come se un manager che si propone di fare l’amministratore delegato risponde a un azionista che gli chiede qual è il suo progetto ‘vieni con me’. È una questione di metodo nel senso che le persone devono venire dopo i contenuti, essere l’espressione di un blocco sociale.

Cosa intende con blocco sociale? 
Un’alleanza: quali sono i pezzi di Roma che reputi validi, che sono ostacolati nel loro vivere e nel loro potenziale e dunque da valorizzare? E chi sono i tuoi avversari, quelli che ritieni responsabili del degrado di questa città? È finita l’epoca in cui si vota per un nome. È proprio finita quell’epoca.
Per ora gli unici candidati certi in campo sono Calenda e Raggi: se se li ritrovasse uno contro l’altra al ballottaggio, lei chi voterebbe? Non è che andrebbe al mare?
Al mare mai. Al ballottaggio voterò la persona che mi convincerà di più.

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