Siria, Palazzotto (Leu) a TPI: “Italia ritiri il suo contingente per dare segnale alla Turchia e alla Nato”
Il deputato di Leu commenta l'attacco della Turchia contro i curdi e la possibile risposta da parte del governo italiano
Siria, Palazzotto (Leu) a TPI: “Italia ritiri il suo contingente per dare segnale alla Turchia e alla Nato”
“L’Italia partecipa alla missione Nato in Turchia Active Fence con un suo contingente, che dovrebbe essere ritirato a dicembre. Credo però che dovremmo valutare l’ipotesi di ritirarlo prima, per dare un segnale politico non solo alla Turchia ma anche alla Nato, che non può ignorare che l’esercito turco stia mettendo in discussione il ruolo stesso dell’alleanza e la sicurezza degli altri paesi alleati”. L’onorevole Erasmo Palazzotto, deputato di Liberi e Uguali (Leu), contattato telefonicamente da TPI, commenta l’attacco della Turchia contro i curdi e la possibile risposta da parte del governo italiano.
La nostra proposta resta valida, ma richiede un pronunciamento delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza non si è potuto esprimere sul conflitto in corso nella Siria del Nord a causa del veto di Stati Uniti e Russia. Ma la proposta troverebbe riscontro anche da parte delle forze curdo-siriane, che sarebbero ben felici di poter ospitare i caschi blu sul proprio territorio. Occorrerebbe anche il consenso del governo siriano. L’Italia potrebbe farsi promotrice di questa proposta a livello internazionale.
Ieri il parlamento ha condannato all’unanimità questo intervento, Conte ha tutta la legittimità per porre in essere qualsiasi tipo di azione in sede internazionale e bilaterale affinché si arrivi alla fine di questa operazione militare. Noi abbiamo molto apprezzato la decisione del governo di interrompere la fornitura di armamenti ad Ankara, ma credo che bisogna fare un passo avanti e interrompere le forniture in corso, non solo quelle future.
Durante il Consiglio europeo Conte dovrebbe chiedere non solo una condanna da parte di tutti i paesi Ue, ma anche che l’Europa usi tutti gli strumenti di pressione politico-economica e diplomatica di cui dispone, a partire da un embargo generale sugli armamenti e dalla sospensione di tutti i fondi, sia quelli legati all’accordo sui migranti – che Erdogan ora utilizza per tentare di ricattare l’Europa – sia quelli legati al processo di adesione della Turchia all’Unione europea, che andrebbe sospeso perché non ci sono le condizioni.
Ho sempre ritenuto che il processo di ingresso della Turchia in Ue fosse da sostenere, e credo che sia stato un grande errore non accelerare quel processo quando c’era disponibilità da parte di Ankara a fare riforme importanti verso la democratizzazione del paese.
Non avere colto quell’occasione è probabilmente una delle cause della deriva autoritaria che ha trasformato la Turchia in quella che oggi è sempre più una vera e propria dittatura. Ora guardiamo ciò che sta succedendo in Siria, ma non possiamo fare finta di niente rispetto alle violazioni dei diritti umani avvenute in questi anni verso la popolazione curda e l’opposizione turca.
Tra gli strumenti di pressione, la sospensione del negoziato e la conseguente sospensione dei finanziamenti legati a quel negoziato, sarebbe un segnale importante oggi. Questa posizione non è unanimemente condivisa dalla maggioranza, ma si può avviare una discussione.
La Turchia è un paese Nato, quindi penso innanzitutto che dovrebbe essere la Nato in quanto tale a chiedere la sospensione dell’azione militare unilaterale di Ankara. L’Italia partecipa alla missione Nato in Turchia “Active Fence” con un suo contingente, che dovrebbe essere ritirato a dicembre. Credo però che dovremmo valutare l’ipotesi di ritirarlo prima, per dare un segnale politico non solo alla Turchia ma anche alla Nato, che non può ignorare che l’esercito turco stia mettendo in discussione il ruolo stesso dell’alleanza e la sicurezza degli altri paesi alleati.
Dobbiamo smetterla di commuoverci o esprimere il nostro cordoglio solo quando queste tragedie avvengono a pochi metri dalle nostre coste e ne visualizziamo le immagini. Questa è la dimostrazione che in mare si continua a morire e che questa deve essere la priorità per l’Europa e per il nostro paese. Il tema non è come gestiamo i flussi migratori, ma come tuteliamo la dignità e la vita umana in mezzo al mare, ripristinando al più presto il meccanismo di soccorso. Questa non è una soluzione rispetto al problema, ma è sicuramente una risposta rispetto all’emergenza che mette in discussione il nostro grado di civiltà e umanità.
Da parte del governo ci sono stati finora solo timidi segnali di discontinuità, come il vertice di Malta. Mi batterò affinché questo governo al più presto ripristini i meccanismi di soccorso in mare. Le navi Dattilo e Diciotti della Guardia costiera sono attrezzate per il soccorso in mare.
Nel frattempo bisogna attivare politiche per evitare che queste persone partano. Ma queste politiche non possono essere in continuità né con quelle dello scorso governo né con quelle del governo ancora precedente. Non possiamo immaginare che si limiti la possibilità delle persone di scappare da un paese in guerra o che si stringano accordi con autorità che sono in mano ai trafficanti. Serve un piano di evacuazione dalla Libia, l’apertura di corridoi umanitari e di vie di accesso legali per chi fugge da quella situazione disperata.
Il governo italiano si deve attivare al più presto perché le Ong possano operare in mare coordinandosi con le autorità, per sostenere l’attività dei governi europei di prestare soccorso in mare, e non sostituirsi ai governi in questo. Mi aspetto che il governo agevoli il dissequestro delle navi che adesso sono ferme, come la Sea Watch e le due navi di Mediterranea, la Mare Jonio e la Alex, che in questo momento si trovano al porto di Licata, per provvedimenti non giudiziari ma amministrativi, emanati dal precedente governo, che quindi possono essere revocati da quello attuale.