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Home » Politica

Premierato, Italia Viva non esclude l’appoggio. Borghi a TPI: “Testo pasticciato ma il principio è giusto”

Immagine di copertina
Credit: AGF

"Stanno sbagliando entrambi: sia Giorgia Meloni sia la sinistra. Meloni sbaglia a interpretare questa riforma come un modo per legittimare definitivamente la destra italiana. E la sinistra? È già sulle barricate: non ha neppure accettato di discutere. Con la segreteria Schlein vedo il Pd trasformato geneticamente". Parla il capogruppo al Senato di IV

Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva, come valuta la riforma costituzionale varata dal Governo?
«Se mi permette vorrei preliminarmente fare una riflessione sul metodo».

Prego.
«Ho la sensazione che dietro questa impostazione ci sia un’idea plebiscitaria della democrazia, in cui si punta a una simbiosi tra l’alto e il basso legandosi al carisma del leader e saltando l’intermediazione dei partiti e del Parlamento. Credo sia un errore».

Ma il “Sindaco d’Italia” era anche nel programma di Italia Viva.
«Siamo favorevoli al principio dell’elezione diretta del primo ministro, ma siamo preoccupati della soluzione pasticciata che è stata presentata. È un testo che, anche a giudicare dalle dichiarazioni di certi ministri, sembra costruito con l’intento di far tornare gli equilibri interni alla maggioranza».

In che senso?
«La possibilità che, caduto il “primo” premier, gliene possa succedere un “secondo” nella stessa legislatura è chiaramente una concessione a Lega e Forza Italia, che hanno il timore di lasciare eccessivo potere in mano a Giorgia Meloni. Così come è una concessione il fatto di non avere previsto la modifica del bicameralismo perfetto: a maggior ragione se andrà in porto l’Autonomia differenziata, servirà un luogo di governo legislativo delle funzioni affidate alle Regioni». 

Quali sono i punti che non vi piacciono della riforma Casellati-Meloni?
«Il nodo principale sta nell’equilibrio tra i poteri. Se il primo ministro eletto direttamente dal popolo viene sfiduciato dal Parlamento, devono decadere entrambi, perché la loro fonte di legittimazione è la stessa ed è contestuale: il voto popolare. Nella riforma presentata, invece, è consentito che ci sia un secondo round per la figura del premier su nomina del presidente della Repubblica e fiducia del Parlamento: così, inevitabilmente, appena insediato il primo ministro eletto dal popolo, partirebbe subito la campagna elettorale di chi vuole fargli la fronda».

Altri nodi?
«Dovrebbe essere previsto che il primo ministro nomini e revochi i ministri. E poi c’è il tema del premio di maggioranza al 55% inserito in Costituzione: la storia del nostro Paese insegna che è più previdente lasciare il meccanismo della legge elettorale alla dinamica della politica. Detto questo, se comunque si decide di costituzionalizzare il principio maggioritario, allora si deve discutere in contemporanea e in parallelo della legge elettorale. Infine, dobbiamo affrontare il nodo, irrisolto da quarant’anni, del bicameralismo perfetto: finché lasciamo in capo alle due Camere gli stessi poteri di fiducia e sfiducia al Governo, il tema della cosiddetta navetta parlamentare non verrà mai risolto».

Fra tutte queste modifiche, qual è la prioritaria per voi?
«Questa del bicameralismo perfetto, perché attiene a una logica d’insieme. Si immagini poi se davvero andasse in porto l’Autonomia differenziata: il premier eletto dal popolo si ritroverebbe con presidenti di Regione che possono fare quello che vogliono. Anche per questo è indispensabile trasformare il Senato nella Camera delle Regioni».

Tuttavia non escludete di appoggiare la riforma…
«Non lo escludiamo a priori nella misura in cui i contenuti finali terranno conto delle nostre proposte. Noi, a differenza di altri, riteniamo che si debba utilizzare il Parlamento per la discussione di merito e il miglioramento del testo. Qui stanno sbagliando entrambi: sia Giorgia Meloni sia la sinistra».

Perché?
«Meloni sbaglia a interpretare questa riforma come un modo per legittimare definitivamente la destra italiana, facendo appello preventivamente al corpo elettorale come a una sorta di lavacro confermativo: tradisce quasi un’ansia da legittimazione». 

E la sinistra?
«È già sulle barricate: non ha neppure accettato di discutere. Il Pd di cui ho fatto parte era un partito parlamentarista, che prima di fare appello alla prova di forza della piazza avrebbe accettato la sfida riformista in Parlamento. Ma con la segreteria Schlein lo vedo trasformato geneticamente». 

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