Massimo Cacciari a TPI: “Schlein non è l’anti-Meloni ma può cambiare il Pd”
“È giovane. È donna. Ma prende voti solo nelle Ztl. Per cambiare il Pd, deve superare la retorica sul fascismo. E abbandonare il neoliberismo. Anche a costo di subire scissioni. O rischia di finire come Zingaretti”
Professore, si aspettava la vittoria di Elly Schlein?
«Non me l’aspettavo, mi ha sorpreso molto. Come la stragrande maggioranza dei commentatori, credevo che la base di Stefano Bonaccini fosse molto più forte, soprattutto calcolando l’appoggio di Vincenzo De Luca in Campania e Michele Emiliano in Puglia e il suo zoccolo duro in Emilia Romagna, che in realtà si è dimostrato inesistente vista la straordinaria vittoria di Schlein a Bologna».
Per la prima volta, i circoli e i potenziali elettori hanno votato in modo diverso: che significa?
«È vero, simpatizzanti ed elettori si sono riconosciuti nelle posizioni di Schlein più dei militanti ma guardiamo all’estrazione sociale e alla provenienza del voto, che è stato cospicuo e partecipato».
Da dove vengono quei voti?
«Per lo più dalle grandi città e dai centri storici urbani, esattamente la stessa provenienza dei voti che arrivano generalmente al Pd».
Insomma resta un partito Ztl?
«Può piacere o non piacere ma la verità è questa: l’affermazione di Schlein deriva da questa base, le cosiddette Ztl, la stessa provenienza del voto politico al Pd. Prendiamo il centro storico per antonomasia, quello di Venezia: lì ha preso il 70 per cento e guarda caso è l’unica zona dove quel partito riesce ancora a ottenere percentuali decenti».
Cosa ci dice questo?
«La sua affermazione ribadisce esattamente dove sta oggi la base elettorale del Pd: non c’è stato alcun allargamento ed è questa la cosa drammatica. Bisognerà vedere se lei riuscirà a determinare un ampliamento dei voti, che finora non c’è stato. Lei prende quello che ottiene di solito il Pd e cioè pochissimo».
Ma hanno votato in tanti.
«L’affluenza è stata notevole. Ritenendolo solo un voto di partito, non credevo che avrebbe mobilitato la base elettorale e invece tanti hanno voluto esprimersi e hanno scelto Schlein, esattamente per gli stessi motivi per cui vanno a votare il Pd».
E adesso?
«È tutto nelle sue mani. Vedremo se riuscirà ad allargare la sua base di consenso perché solo con le grandi città e i centri storici non va da nessuna parte».
E nel Pd?
«Rischia di finire come con Zingaretti, personalità completamente diversa da Schlein ma che – non a caso – la appoggiava».
Cioè?
«Come lei, l’ex presidente del Lazio si presentò con un programma di rinnovamento, innovazione e svolta a sinistra ma poi sappiamo tutti come andò a finire. Vediamo se Schlein riuscirà a costruire un nuovo inizio, là dove ha fallito Zingaretti. Se invece si ricomporrà un’oligarchia di partito, con lei dentro, allora finiranno per trattarla come un corpo estraneo».
Ha qualche chance?
«Ormai per il Pd si tratta di sopravvivere, quindi – molto faticosamente – Schlein può farcela. Anche se con qualche perdita».
C’è un rischio scissione?
«Qualcuno, in un modo o nell’altro, si sfilerà dalla direzione Schlein. Ma, per sua fortuna, la sirena di Renzi e Calenda non è attrattiva, visto il risultato negativo ottenuto in Lombardia».
Personalmente come la vede?
«Può farcela e mi auguro, per lei, per il Pd e per il Paese, che ci riesca. Agli italiani non farebbe certo schifo avere un’opposizione per lo meno decente».
Cosa dovrebbe fare?
«Deve andare al di là della retorica sull’antifascismo che non ha più molto senso e cominciare a dettare una linea seria su temi come il lavoro, l’Europa, la guerra, etc.».
A partire dalle armi.
«Tra le cose che dovrà dire, una volta finito di cantare “Bella Ciao”, ci sarà anche qualcosa di autonomo e di proprio rispetto alla guerra e al conflitto tra Nato e Russia. Se dice le stesse cose di Meloni, allora è inutile».
Anche a costo di spaccare il Partito?
«Deve cominciare a decidere davvero, solo così potrà costruire un nuovo inizio. Naturalmente, strada facendo, dovrà scontare alcune perdite, ma è normale. Se invece comincia a convivere troppo con le correnti, crepa».
Non vede un rischio Ignazio Marino? Che sia trattata come una scheggia impazzita?
«No, mi pare che sia una persona politicamente molto abile. E poi ha un altro vantaggio».
Quale?
«È una donna. Dopo l’affermazione di Giorgia Meloni, era vitale anche per il Pd dare un segnale di rinnovamento in questa direzione. Molti hanno deciso, giustamente, di votarla anche per questo motivo».
Può essere l’anti-Meloni?
«No, macché anti-Meloni. La presidente del Consiglio ha un suo messaggio: è tutta “popolo e plebe”. E poi sono dieci anni che si costruisce il suo partito con le lotte politiche interne. Qui invece siamo alla fantapolitica».
Si spieghi.
«Una che è iscritta a un partito da due mesi, ne diventa segretario. Ma si rende conto? Questa è fantapolitica. E se ora non riuscirà a costruire qualcosa di nuovo, proseguirà la linea del Pd fino al suo totale scioglimento, cosa che è già avvenuta».
Che intende?
«Come struttura organizzata, il Pd non esiste. Conta una serie di capi bastone, un’oligarchia composta da personaggi che gestiscono ognuno i propri voti, con elettori che li scelgono in via residuale perché non trovano di meglio. Schlein ha ottenuto l’appoggio dell’elettorato del Pd ma se si limiterà a rimescolare i cocci, allora non arriverà a niente: cocci sono e cocci resteranno».
Molti temono che la sua sia una sinistra “fucsia”.
«Se parlerà solo di diritti civili, farà il Partito d’Azione. Se non positivizza i diritti civili, sociali e umani, allora arriverà all’esaurimento fisico del Partito. Ma Schlein ha una carta da giocare».
Quale?
«Scegliere una linea autonoma rispetto a quella liberal-liberista che ha dominato il Pd da 20 anni a questa parte. Forse così potrà dar vita a un nuovo inizio e anche a un’opposizione decente a questo governo».
E “rubare” voti al Movimento 5 Stelle?
«Soprattutto deve recuperare consensi tra le fasce popolari. Il Pd non prende voti tra i ceti meno abbienti, tra operai, lavoratori dipendenti a basso reddito e in generale negli strati sociali di cui tradizionalmente si nutrono i partiti socialdemocratici».
Fasce sociali che oggi, più che Conte, votano Meloni.
«Come al Nord, per tanti anni, hanno finito per votare la Lega. Non è questione di opinioni ma di numeri: negli ultimi 20 anni, con risultati sempre peggiori, il Pd ha preso i voti del ceto medio intellettuale, dei laureati e delle Ztl. Ha perso consensi tra i ceti meno abbienti e al Sud, dove tra la destra e il M5S raccoglie poco, se non dove vi sono personalità – essenzialmente populiste – come De Luca ed Emiliano che, da soli, possono competere con Meloni e i 5 Stelle, anche distanziandosi dalla linea nazionale del Partito».
Insomma, è una scommessa.
«È una scommessa che, se gioca bene le sue carte, può diventare entusiasmante. Se non vuole mantenersi ma affermarsi, allora può davvero cambiare le cose e fare una bella partita, che ha anche il suo fascino».