Elezioni in Umbria, il viaggio di TPI: “La sinistra qui ha dimenticato i lavoratori, ma chi difende i diritti ha paura di Salvini”
"Non è solo Sanitopoli. La sinistra non ha sostenuto i bisogni dei lavoratori". A ridosso delle regionali, TPI è entrata dentro le ragioni della crisi della sinistra umbra e del progetto di rilancio civico con i Cinque Stelle. Con un occhio anche a quel pezzo di società umbra a cui la Lega fa paura. La seconda parte del nostro reportage
La sfida per le prossime elezioni regionali in Umbria, in programma il 27 ottobre, assume inevitabilmente anche i contorni di una resa dei conti della sinistra locale col suo passato.
Specularmente a quanto accaduto a livello nazionale, anche qui gli effetti della recessione globale iniziata nel 2007 hanno generato risposte timide da parte delle amministrazioni locali, raramente in grado di far fronte a crisi industriali che stavano svuotando il tessuto produttivo del territorio.
Per capire fino in fondo l’auto-scacco di un modello gestionale ormai al tramonto bisogna andare anche più indietro, a quella gestione assistenzialistica del potere che avevamo già messo in luce nella prima parte del nostro reportage.
Sia come sia, quando si perdono voti la colpa non è mai degli elettori.
La sinistra qui vive in una complessa tensione dialettica tra la necessità di salvare ciò che in passato funzionava e l’esigenza di presentarsi, soprattutto agli occhi dei cittadini, in una veste rinnovata, un’operazione palingenetica condotta attraverso la cosiddetta “svolta civica”.
La fine dell’assistenzialismo
“Un modello di sviluppo si è esaurito e non è ancora stato sostituito”, è quanto ammettono diversi esponenti del centrosinistra locale. “Non si è capito che basarsi su spesa pubblica, invasività nella vita delle persone anche rispetto ai processi occupazionali, erogazioni di servizi diffusi e per tutti, non era più sostenibile”, ci dice l’ex segretario del PD umbro Giacomo Leonelli, uno dei quattro esponenti del partito ricandidati come consiglieri regionali.
“Siamo stati percepiti come quelli che replicavano in formato mignon quello che veniva fatto 30-40 anni fa. Questo ha generato insoddisfazione: se prima soddisfacevi dieci domande, ora ne soddisfi una, e gli altri nove si arrabbiano. La spesa pubblica negli anni è calata, alcuni servizi sono stati tagliati: ma quando la vecchia area verde non è più manutenuta come in passato, la scuola chiude, l’ospedale anche, inevitabilmente il conto lo si paga a livello elettorale”.
“La fine di questo modello assistenzialistico non è un male – precisa Leonelli – Prima c’era un’aspettativa dei cittadini nei confronti della politica che non passava solo dalla buona amministrazione, ma anche dal soddisfacimento di esigenze personali. Ora quel meccanismo è esaurito. Va trovato un modello di sviluppo alternativo”.
Elezioni Umbria: dentro le ragioni della crisi della sinistra
Dato per assunto l’esaurimento del modello assistenzialistico, resta da capire quali motivazioni meramente “materiali” abbiano generato la progressiva emorragia di consensi della sinistra locale.
Qui l’elenco è lungo, e chiama in causa una serie di scelte quantomeno miopi che hanno avuto un impatto diretto sull’economia del territorio.
“Le amministrazioni locali, a fronte della crisi economica, hanno aperto molto alla grande distribuzione – ci spiega Valerio Natili, segretario umbro di Fisascat Cisl, il sindacato che si occupa di terziario, turismo e servizi – Al contempo, e come effetto di questa scelta, c’è stato un crollo delle attività commerciali a conduzione familiare”.
“L’apertura alla grande distribuzione è avvenuta sostanzialmente per due motivi. In primo luogo, era l’unico settore in cui si realizzavano delle assunzioni, anche se in gran parte a tempo determinato. Dopo 6-7 mesi, infatti, gli organici venivano ridotti all’osso e l’occupazione generata era relativa. Inoltre, in quel modo le amministrazioni locali potevano rifare le vie stradali per favorire l’accesso a questi luoghi coi soldi dei privati, e senza investire le risorse (che non avevano)”.
Un esempio di politica di corto respiro che col tempo si è rivelata deficitaria e ha generato delusione, insoddisfazione e impoverimento. “Si è favorita una politica di sviluppo commerciale fuori dai centri storici cittadini, che si sono svuotati di attività commerciali. C’è stata la migrazione di tutto un tessuto produttivo, avvenuta per l’esigenza di andare incontro alla grande distribuzione”, chiarisce Natili.
Ciò che riscontriamo, nella sua posizione come in quella di altri sindacalisti, è una critica sferzante anche al modo in cui le amministrazioni locali, negli ultimi anni, hanno gestito il rapporto con le parti sociali: “La politica si è sempre più chiusa in se stessa – conclude Natili – snaturando un modello concertativo che aveva caratterizzato il governo regionale fino a 6-7 anni fa”.
Un’analisi condivisa da Vincenzo Sgalla, segretario generale della Cgil Umbria: “Il modello di disintermediazione della sinistra in Umbria è stato fallimentare – ci racconta – Una delle potenziali leve di sviluppo in una piccola regione come la nostra si chiama coesione sociale. Ovvero, mettere soggetti intorno a un tavolo e immaginare come andare insieme da qualche parte. Si è perso questo riferimento. Lo ha perso la sinistra e questo è stato un errore grave”.
“Negli ultimi anni abbiamo chiesto spesso l’apertura di un percorso concertativo analogo a quello che si verificava in passato – conclude Sgalla – La risposta in Regione è stata: basta tavoli, decidiamo noi. Così non si va lontano, specie se pensiamo che l’Umbria, negli ultimi anni, ha avuto 170 crisi industriali e ha un Pil che cala più che nelle altre regioni”.
Stefano Vinti, ex assessore regionale alle politiche della casa, oggi è tra gli animatori del movimento “Da sinistra per l’Umbria”, un comitato che chiede alla sinistra locale una svolta reale nelle politiche messe in campo per risollevare la regione.
Durante la nostra chiacchierata fa riferimento anche lui a una “diffusione abnorme del grande commercio rispetto ai reali bisogni della popolazione”, con un conseguente “stravolgimento del tessuto produttivo regionale. Il modello che si è sviluppato è quello delle quattro C: cavatori, cementieri, costruttori e centri commerciali”.
“Il calo del consenso della sinistra – afferma – nasce dal fatto che i bisogni fondamentali dei lavoratori non sono stati sostenuti. Pensiamo al fatto, ad esempio, che la presenza nella regione di vani sfitti o invenduti è massiccia, e che ci siano 15mila famiglie in sofferenza rispetto al diritto all’abitare”.
“Un tempo i partiti comunista e socialista garantivano alle persone salario e mobilità sociale. È evidente che quella spinta si è esaurita e che non si possono fare appelli su quello. Allo stesso tempo, però, la regione ha aperto in maniera indiscriminata ai privati. Pezzi del welfare regionale sono stati esternalizzati al mondo della cooperazione e del privato sociale. Non c’è stato un aumento della qualità e della diffusione dei servizi, e il lavoro è diventato sempre più precario”.
“La politica – aggiunge Vinti – non ha difeso le aziende del territorio. Pensiamo alle acciaierie di Terni, o alla Perugina: se cambia la proprietà, se vengono rapinate alcune produzioni di qualità, e se questi processi non vengono contrastati, la Regione compie un’azione avvertita come contraria agli interessi del territorio e della popolazione”.
Chi ha tratto beneficio da tutto questo è, ovviamente, il centrodestra, con la Lega in testa. Se alcuni sindaci di importanti città umbre, tra cui Perugia, provengono ancora dall’area di Forza Italia, negli ultimi anni anche la destra regionale si è sempre più spostata nell’orbita di Matteo Salvini.
Tra i candidati leghisti al consiglio regionale c’è Paola Fioroni: consigliere nazionale della Croce Rossa, ha una lunga esperienza nel civismo e nel mondo del volontariato. La contattiamo proprio per avere un punto di vista “da destra” del nesso tra mondo civico, politica e welfare, in un momento in cui il centrosinistra tenta di rilanciarsi sull’onda della svolta civica.
La sua prospettiva è che il welfare messo in campo dalla sinistra nella lunga fase storica in cui ha governato la regione sia stato di natura “assistenzialistica”. Al contempo, la sua proposta è quella di approntare invece un welfare realmente meritocratico: “La condivisione e la corresponsabilità sono elementi imprescindibili anche nella formulazione di un modello di welfare che tenga in considerazione tutte le risorse disponibili, in cui siano definiti i livelli di governance e collaborazione con i corpi intermedi”.
“È necessario – continua Fioroni – bandire le politiche provvisorie, di corto respiro, per puntare su azioni incisive volte a salvaguardare la dignità dei cittadini riformando e riducendo ogni forma di mero assistenzialismo e promuovendo percorsi e progetti personalizzati, mirati, tempestivi. La meritocrazia, supportata con la formazione continua per i professionisti che lavorano nel sociale, deve essere il primo criterio per definire l’organizzazione e condizione necessaria per aumentare l’efficienza dell’azione politico-sociale, allocando nelle diverse posizioni lavorative, professionali e amministrative le persone maggiormente competenti”.
Da qui l’esigenza, secondo la candidata leghista, di un cambio di paradigma: “Bisogna pensare a un welfare di natura generativa, in cui trovino spazio le istanze dei cittadini, la loro responsabilizzazione, l’associazionismo, i gruppi informali. Il sistema virtuoso deve assicurare l’empowerment individuale ed organizzativo e dunque di comunità, attraverso la diffusione di buone pratiche. Ciò che da sempre da valore al mondo del terzo settore è il suo imprescindibile ruolo di sussidiarietà orizzontale che non significa e non può significare sostituirsi al pubblico”.
Elezioni Umbria: civismo e politica, una convivenza difficile
Fioroni, come detto, viene dal mondo civico, proprio quel mondo attraverso cui il PD, all’interno della coalizione con i Cinque Stelle, sta cercando un rilancio nella regione. Secondo la candidata leghista “il civismo, sia esso di destra o di sinistra, è la sconfitta della classe politica”.
Una linea condivisa, anche per ragioni di contrapposizione elettorale, all’interno dello schieramento di centrodestra. Al comizio tenuto da Salvini a Bastia Umbra incontriamo Alberto Marino, referente politico del partito nel comune alle porte di Perugia. Rivendica il radicamento civico della Lega (“noi attivisti di Bastia veniamo tutti da realtà associative, parrocchie, mondo del volontariato”) ma afferma che “civismo è una parola abusata. Ci si nasconde dietro al civismo quando si ha paura di ciò che si è”.
Sul tema raccogliamo anche il parere di Alessandro Campi, professore di Scienze Politiche all’università di Perugia. Per Campi l’operazione civica di PD e Cinque Stelle non rappresenta un “civismo autentico, associativo e che trova una traduzione politico-partitica”, quanto piuttosto “un civismo di tipo professionale”.
“Un medico, un industriale – avverte – avranno sensibilità per temi della sanità e dell’impresa, per i loro segmenti necessariamente minoritari di società. La competenza del politico, invece, non è analitico-professionale ma sintetica. Il politico fa più cose, ha capacità negoziali, sa mediare, ascoltare. Quando la società civile mette ai vertici della macchina pubblica persone senza esperienza politica, non restituisce potere ai cittadini, ma lo consegna agli apparati burocratico-amministrativi della Regione, alle tecnostrutture”.
Dall’altra parte della barricata, il tema è quantomai spinoso. L’Umbria è il primo laboratorio regionale dell’alleanza tra PD e Cinque Stelle, e fa in qualche modo anche da “cavia” alla svolta civica sui territori che il segretario dem Nicola Zingaretti prefigurava già durante la campagna elettorale per le primarie del suo partito (sebbene, al tempo, la presenza dei grillini non fosse contemplata).
Quel che è certo, però, è che il civismo per il centrosinistra ha anche la funzione di garantire un rinnovamento che, qui in Umbria, era ineludibile dopo gli echi della vicenda Sanitopoli. Incontriamo a Perugia un ex rappresentante di lista dei Cinque Stelle, Andre Colaiacomo, che ha abbandonato il Movimento dopo l’alleanza di governo con Salvini (“ero nauseato”), ma che conserva ancora solidi legami con gli attivisti pentastellati del territorio.
Ci spiega che “sanitopoli ha avuto conseguenze enormi per il PD, finendo per dividere anche i suoi stessi militanti. Prima il clientelismo scandalizzava meno, forse perché era anche considerato meno venale, legato ad interessi di partito considerati legittimi, mentre ora sembra un mercato delle vacche per piazzare gli amici degli amici”.
“Di recente – racconta – sono stato a una cena con due elettori storici del PD. Si sono messi a litigare tra loro sulla vicenda sanitopoli. Uno sosteneva che il partito avesse scelto delle persone perché considerate competenti e affidabili, l’altro ribatteva che erano stati selezionati i propri accoliti lasciando magari da parte giovani preparati”.
Quanto al mondo da cui proviene, quello grillino, sostiene invece che “nella base umbra non tutti apprezzano l’alleanza col PD. Il Movimento ormai è trasversale: c’è un blocco di sinistra, ma anche una componente di destra che si è saldata dopo l’esperienza di governo con Salvini. Per me questo accordo locale col PD era l’unico possibile, ma a una fascia di elettorato pentastellato, in qualche modo nostalgica di Salvini e che comunque non si considera di sinistra, l’operazione non piace”.
Resta il fatto che l’alleanza civica appare in qualche modo una naturale evoluzione del percorso grillino, una trasposizione elettorale dei meetup e della vocazione alla democrazia diretta.
Quanto al PD, la questione è più complessa: qui la politica è sempre stata vista come un’arte nobile, fatta di formazione delle classi dirigenti, in un certo senso anche di professionismo, seppur calato nell’ambito locale in cui chi amministra proviene spesso da contesti propriamente civici.
È quanto rivendica anche Giacomo Leonelli: “I candidati del PD al Consiglio regionale, anche quelli al secondo mandato come me, non sono politici a tempo pieno. Ci sono insegnanti, avvocati, professionisti in vari settori. Il rapporto tra civismo e politica deve essere virtuoso. Non vedo una dicotomia tra i due mondi, né una rivoluzione rispetto al passato. Non è che ieri eravamo dei burocrati e oggi ci apriamo al mondo. La verità sta nel mezzo: le nuove energie provenienti da politici non di lungo corso sono importanti, ma è anche giusto che figure con una maggiore esperienza istituzionale possano svolgere il loro ruolo nell’attività del Consiglio regionale”.
Il candidato della coalizione PD-M5S Vincenzo Bianconi, però, ha spiegato di voler selezionare la giunta regionale, gli assessori, con una sorta di bando pubblico finalizzato a individuare le persone più competenti (pur precisando che avere la tessera di un partito non sarà considerato un impedimento).
Una posizione che sembra mettere la politica e i partiti in una posizione se non di subalternità, perlomeno di potenziale marginalità. Qui qualche crepa nella sintesi tra il modello grillino e quello dem si intravede.
“Io ho iniziato da indipendente, per poi avvicinarmi al PD e assumere una connotazione politica. Più volte mi sono chiesta qual è la differenza tra me e il civico”, ci dice Donatella Porzi, presidente dell’assemblea legislativa umbra e ricandidata dai dem al Consiglio regionale.
“Credo che una contaminazione tra il mondo politico e la società civile, di cui faccio parte, sia positiva. Detto questo, la politica non deve mai abdicare al suo ruolo. Quando la politica sa affrontare le difficoltà senza trincerarsi nella ricerca spasmodica del civismo, può avere successo. Il civismo va bene come stimolo, elemento aggiuntivo, ma se è un modo per mettersi un abito nuovo, siamo sulla strada sbagliata”.
Sulla procedura con cui Bianconi ha detto di voler scegliere gli assessori, Porzi è chiara: “Pur rispettandola, non la condivido nella maniera più assoluta”.
Il tema si allarga e la diversa visione del ruolo della politica rispetto a quella dei Cinque Stelle finisce per emergere: “In questa legislatura, il M5S ha promosso una legge per togliere alla politica la discrezionalità nella nomina dei revisori dei conti in Regione. Io invece rivendico la responsabilità della politica nel fare delle scelte. Dobbiamo toglierci quel retropensiero per il quale se la politica sceglie qualcuno, sta facendo qualcosa di sbagliato, di doloso”.
L’Umbria dei diritti civili che teme la Lega
C’è un importante fetta di società civile umbra che, in ogni caso, vede con timore la possibile ascesa di una destra a trazione salviniana nella regione. È quella di movimenti e associazioni che si occupano di diritti civili.
Chi con la Lega ha già avuto non solo dissapori ma persino cause legali è l’associazione per i diritti Lgbt “Omphalos”. Lo scorso aprile, il senatore leghista Simone Pillon è stato condannato dal Tribunale di Perugia per diffamazione nei confronti dell’associazione.
Pillon era stato denunciato per alcune dichiarazioni sulle attività di Omphalos. Secondo l’associazione, il senatore aveva sostenuto in alcuni incontri pubblici che militanti dell’Arcigay, e in particolare di Omphalos, andavano negli nelle scuole ad adescare minorenni, una “tesi” che gli è costata un risarcimento di 30mila euro.
Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos, ci spiega di avere alcune perplessità sull’operazione civica messa in campo da PD e Cinque Stelle (“i partiti hanno una loro funzione: preparare persone che si possano occupare della cosa pubblica, la rincorsa al mondo civico non deve sostenere sentimenti antipolitici oggi tanto in voga”).
Nonostante questo, la possibile ascesa della Lega rischia a suo parere di aggravare un processo di contrazione dei diritti Lgbt già in parte avviato con le giunte di centrodestra che hanno iniziato ad amministrare alcuni comuni umbri.
“L’Umbria è stata a lungo un’isola felice, prima regione che nel 2004 ha richiamato nello statuto regionale l’orientamento sessuale come elemento di non discriminazione, la terza ad approvare, nel 2017, una legge contro l’omofobia e la transfobia”.
“Negli ultimi anni alcune cose sono cambiate. A Perugia, nonostante il sindaco Romizi si presentasse come un candidato moderato di Forza Italia, abbiamo trovato ostacoli sia nel rapporto quotidiano con l’amministrazione locale che su questioni specifiche: il sindaco, ad esempio, si è rifiutato di registrare i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero e ha tolto il patrocinio al Perugia Pride”.
“Non posso negare – aggiunge – che c’è stato anche un aumento di episodi di omofobia, fortunatamente mai sfociati nella violenza fisica. È chiaro che il clima politico influisce: se senti dire dal politico di riferimento in città che gay o lesbiche non sono una famiglia, se senti cavalcare la paura della diversità, la cosa può condizionarti”.
“La Lega sta facendo campagna elettorale anche contro di noi. Una candidata ha fatto un manifesto con scritto: ‘basta finanziamenti a Omphalos’ (citando peraltro finanziamenti inesistenti). È chiaro che i timori per una possibile vittoria della Lega sono tanti. Con Fratelli d’Italia, hanno già annunciato che se andranno al governo regionale cancelleranno la legge sull’omofobia e la transfobia. Un protocollo siglato tra regione e Università per una ricerca sul bullismo omofobico nelle scuole era stato bloccato dall’ex ministro Bussetti. È un assaggio di ciò che Lega può fare qui se andrà al governo regionale”, conclude Bucaioni.
Una posizione non troppo distante da quella di Bucaioni, sebbene più sfumata, la esprime Laura Panella, tra i responsabili a Perugia del Cidis, Ong che si occupa di cooperazione, sensibilizzazione alla diversità e integrazione dei migranti.
“Lavoriamo da 30 anni con le amministrazioni locali qui in Umbria. Devo dire che, finora, non abbiamo riscontrato particolari difficoltà nell’interlocuzione con le giunte di centrodestra che si sono via via insediate nei comuni. Il modello umbro di accoglienza diffusa, che finora ha funzionato sia grazie al sostegno della popolazione locale sia grazie a quello della Regione, è semmai stato messo a rischio da leggi nazionali come il Decreto Sicurezza di Salvini”.
“È evidente – prosegue – che c’è preoccupazione per il fatto che certe politiche possano essere attuate anche a livello locale. Il pensiero di avere una regione guidata da una forza politica che ha sempre individuato l’immigrazione come capro espiatorio non può che crearci inquietudine. Devo riconoscere che però, finora, le amministrazioni di centrodestra qui non hanno fatto propaganda cavalcando un ipotetico nesso tra sicurezza e immigrazione, come in altre realtà locali”.
Un rilancio della sinistra nelle (ex?) regioni rosse passa inevitabilmente anche dalla forza di attrazione nei confronti dei giovani, specie nell’epoca della generazione Greta. Concludiamo il nostro viaggio parlando quindi Angela De Nicola, una delle responsabile dell’UdU, la sinistra universitaria di Perugia.
Anche gli studenti, come altri pezzi di società umbra, hanno qualcosa da imputare alle amministrazioni di centrosinistra e alle scelte che hanno fatto negli ultimi anni: “Il bilancio sul lavoro della giunta Marini quanto alle politiche universitarie – ci spiega – può considerarsi positivo per la prima parte del mandato. Negli ultimi 2-3 anni, però, sono state fatte scelte che abbiamo fortemente contestato, come quella di tagliare di un milione e mezzo i finanziamenti alle borse di studio”.
“Si tratta di decisioni – prosegue – che in prospettiva mettono a rischio la tenuta del modello umbro, fiore all’occhiello in Italia nell’ambito del diritto allo studio. Un modello che non può in alcun modo essere smantellato”.
L’avanzata della destra nella regione, in ogni caso, è stata avvertita in misura relativa tra i giovani e gli studenti: “All’università la crescita di un sentimento di destra si sente – dice Angela – Nonostante questo, un anno e mezzo fa alle elezioni universitarie abbiamo preso il 48 per cento dei voti, pur essendo l’unica lista di sinistra. Abbiamo stravinto, eleggendo le due massime cariche dell’ateneo. È il sintomo del riconoscimento del nostro lavoro di rappresentanza, ma anche del fatto che la sinistra, tra i giovani, qui ha ancora un retroterra politico forte”.
Non è detto che questo basti a far vincere Vincenzo Bianconi, dato indietro nei sondaggi rispetto a Donatella Tesei. L’avviso ai naviganti, per il futuro, è però molto chiaro: quel capitale politico a sinistra esiste ancora, ma per farlo fruttare, nei prossimi anni, bisognerà invertire la rotta rispetto al passato.