Elezioni in Turchia: “Il tempo di Erdogan è finito: è ora che faccia i bagagli e se ne vada”
Le elezioni in Turchia sono state un segnale importante per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: pur restando primo partito a livello nazionale, l’AKP ha perso Ankara, Istanbul, Izmir e altre importanti città del paese.
Nel suo discorso post-voto, il capo di Stato ha cercato di sminuire i risultati, affermando che la maggior parte delle municipalità della Turchia restano ancora saldamente sotto il controllo della coalizione formata da AKP e dai nazionalisti del MHP.
Il presidente ha anche ribadito che i risultati non mettono in pericolo la tenuta del governo e che le prossime elezioni si terranno nel 2023. Inoltre ha ancora una volta minacciato di proseguire le operazioni al confine con la Siria contro la popolazione curda del Rojava lanciando un chiaro messaggio alla comunità curda autoctona, il cui voto ha avuto un forte peso nelle ultime elezioni.
TPI ha contattato Yilmaz Orkan, portavoce dell’Ufficio informazione per il Kurdistan in Italia Uiki-Onlus per un commento sui risultati delle elezioni.
Non del tutto. Non abbiamo ottenuto i risultati che ci aspettavamo perché ci sono stati dei brogli in alcune città, soprattutto in quelle più piccole del Kurdistan. HDP e CHP hanno fatto ricorso alla Commissione elettorale, ma non credo cambierà qualcosa.
Però per la prima volta abbiamo vinto in una provincia vicino all’Armenia, il che rappresenta un grande risultato. In totale l’HDP ha vinto in 8 metropoli e in 58 municipalità e nelle città in cui non ha proposto dei candidati abbiamo sostenuto quelli del CHP e di quei partiti che si sono schierati contro il presidente Erdogan.
Adesso HDP e CHP devono decidere insieme della vita 57 milioni di persone, è un grande risultato e un segnale chiaro per l’AKP. Erdogan non può più continuare a governare con la stessa forza di prima, così come non può permettersi di commissariare nuovamente i sindaci del Kurdistan come ha fatto tre anni fa.
Secondo me, e parlo a titolo personale, tra sei mesi si inizierà a parlare di elezioni anticipate: la crisi economica è molto forte e i risultati delle urne hanno portato a un ulteriore crollo della lira.
Speriamo che cittadini curdi e turchi si uniscano per mandare via Erdogan e mettere fine al suo governo.
La coalizione che sostiene il presidente è ancora forte a livello nazionale ed Erdogan stesso ha detto che non ci saranno elezioni anticipate.
Se tra 2-3 mesi la lira turca continua a crollare si arriverà necessariamente a elezioni anticipate. Erdogan è un politico e può dire quello che vuole, ma la realtà è un’altra.
CHP e HDP si sono alleati per sconfiggere Erdogan. È possibile replicare questa alleanza anche a livello nazionale?
Il CHP è un partito laico, kemalista, ma non ha ancora un progetto concreto per risolvere la questione curda per cui non ci sono ancora i presupposti per creare una coalizione anche a livello nazionale.
Nelle elezioni amministrative i due partiti si sono uniti perché avevamo lo stesso obiettivo, ossia sconfiggere Erdogan, ma i leader del CHP devono capire che se hanno vinto è stato grazie ai curdi e creare un progetto che vada oltre lo Stato nazione: solo così si potranno garantire i diritti dei curdi e delle altre comunità che vivono in Turchia.
Erdogan ha minacciato ancora una volta di non riconoscere i risultati nei comuni in cui hanno vinto quelli che lui reputa “candidati vicini ai terroristi”.
Dopo i risultati delle elezioni amministrative i curdi sono considerati ancora più di prima dei nemici dal presidente Erdogan perché hanno aiutato il CHP a vincere e hanno sottratto alla coalizione di governo alcune grandi città.
Il presidente turco non sa cosa sia la democrazia, non accetta che il popolo voti liberamente, ma le sue minacce questa volta non sono che parole vuote. Il suo tempo secondo me è finito: è ora che faccia i bagagli e se ne vada.
L’Unione europea farà qualcosa?
Per adesso l’Ue non interverrà, ma aspetterà di vedere come evolverà la situazione e farà qualcosa solo se e quando Erdogan sarà troppo debole per continuare a governare. Per l’Ue gli interessi economici vengono prima di tutto.