Regionali, niente alleanze col M5s. Ora per il Pd è rischio disfatta: può regalare tre regioni a Salvini
Si sente spesso dire che in politica il tutto non è uguale alla somma delle parti. Se due partiti come Pd e M5s si presentano separati alle elezioni, fare la somma tra i rispettivi voti in quest’ottica avrebbe poco senso. Eppure, le profezie di sventura sui probabili esiti di una corsa separata alle elezioni regionali di settembre erano state lanciate da più fronti, specie tra i dem e persino dal segretario Nicola Zingaretti. Ora che i sondaggi cominciano a emettere le prime sentenze pre-voto, il centrosinistra vede stagliarsi all’orizzonte uno scenario a dir poco preoccupante, con la divisione tra Pd e Cinque Stelle che in molte regioni potrebbe rivelarsi esiziale.
In Puglia, stando alle intenzioni di voto registrate dagli istituti demoscopici, il governatore uscente e candidato del centrosinistra Michele Emiliano sarebbe indietro di oltre 7 punti rispetto al suo sfidante Raffaele Fitto, della coalizione di centrodestra. Il principale incomodo per Emiliano è rappresentato proprio dalla candidata del Movimento Cinque Stelle Antonella Laricchia, stimata attorno al 16 per cento. Il mancato accordo tra dem e pentastellati per una candidatura comune rischia insomma di rivelarsi un fattore determinante per la vittoria della destra.
Difficile, del resto, convincere Emiliano a fare un passo indietro per favorire una convergenza coi pentastellati. Un problema che probabilmente non si porrà in Campania, dove la popolarità di Vincenzo De Luca è tale da permettere una (vincente) traversata in solitaria. Ma basta spostarsi nelle Marche ed ecco che ci si trova di nuovo di fronte a una potenziale debacle del centrosinistra. Maurizio Mangialardi, candidato della coalizione, secondo i sondaggi è infatti staccato di 7-8 punti dal meloniano Francesco Aquaroli. Anche questa regione, insomma, potrebbe cambiare bandiera, e anche qui la presenza di un candidato M5s può rivelarsi decisiva, con il grillino Gian Mario Mercorelli accreditato attorno al 15 per cento dei consensi.
Con la Liguria e il Veneto saldamente in mano al trittico Lega-FdI-Forza Italia e le quasi scontate riconferme di Toti e Zaia, si profila all’orizzonte la seconda battaglia di Stalingrado in meno di un anno. Perché il fronte più caldo, a settembre, sarà quello della Toscana. Se, come probabile, la mancata alleanza coi grillini costerà al Pd almeno due regioni, per evitare una catastrofe e potenziali ripercussioni persino sulla tenuta del governo Conte sarà necessario fermare l’avanzata leghista almeno in riva all’Arno.
Il candidato renziano Eugenio Giani è dato in vantaggio nelle intenzioni di voto, ma il margine rispetto alla sua avversaria, la leghista Susanna Ceccardi, si assottiglia di settimana in settimana. Le analogie con le elezioni del gennaio scorso in Emilia-Romagna, come si vede, non mancano. Ma Giani non ha la personalità politica di Bonaccini e non è escluso che, stavolta, la tenuta del centrosinistra in una roccaforte storica possa venire meno. Magari, anche qui, col “contributo” decisivo della candidata pentastellata Irene Galletti.
Pd e M5s, insomma, sembrano marciare divisi non tanto per colpire uniti, quanto piuttosto per andare a schiantarsi. E all’orizzonte, il prossimo anno, ci sono le elezioni per il sindaco di Roma. È di ieri l’annuncio di Virginia Raggi, che ha rotto gli indugi e ha ufficializzato la sua ricandidatura. Ancora una volta, è un nome che rende sostanzialmente impossibile una convergenza tra dem e grillini. Salvini e Meloni gongolano: anche prendersi Roma, in questo scenario, sembra un’operazione sempre più alla portata.